MUSICA




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La signorina Antonioli era stata rievocata cinque anni fa

Se l’obbligo scolastico diventasse retroattivo

26 marzo 2005

Mitoccherà tornare a scuola per completare la quinta ragioneria. Sì perché, dimenticavo, il provvedimento governativo sull’obbligo scolastico ha effetto retroattivo. Volesse il cielo!

Tutti gli interrotti in schiera, con strumenti scolastici del loro ricordo, o comunque del loro passato, si presenteranno all’appello. Cartelle, cinghie per i libri, sussidiari, scartafacci, pennini lombardi, gomma pane, righe, quadretti, fogli di protocollo. Tutto rispunta dalla memoria e dalle soffitte a rigenerare discenti nelle solite scuole, inadatte da cinquant’anni a contenere e ad elargire ciò che dovrebbe essere istituzionalmente garantito: l’istruzione. Siccome non ci si riesce alle elementari e alle medie, allora proviamoci fino alla fine delle superiori. Le buone intenzioni, la malafede di ritorno, le illusioni, le nobilissime e agguerrite sirene elettorali picchiano il monotono e stonato tasto.

Si risveglia attonita e curiosa la signorina Antonioli, mia adorata professoressa di italiano. È soddisfatta, perché questa volta ce la farà a tenerci legati ai nostri banchi per un tempo lunghissimo. Disporrà di saecula saeculorum per inculcarci la voglia e il godimento per Dante, Leopardi e tutti gli altri giganti della nostra amazing letteratura. Ma lei, che non ha visto né Sessantotti né conati di riforme, si troverebbe un po’ spaesata nel baillame della scuola che ha nell’azienda una gamba d’appoggio per essere al passo coi tempi. Insensibile alle sirene della videoscrittura, insisterebbe a infliggerci compiti da consegnare in bella grafia amanuense. Li chiama ancora «temi». Su fogli di protocollo, rigorosamente divisi a metà, ci chiederebbe, con un lieve imbarazzo, di elencare in rassegna la lirica d’amore, da Saffo a Sandro Penna. Le analisi testuali, che sminuzzano il gusto delle parole nel frullatore dello strutturalismo, non sa neppure dove stiano di casa. Anche se i ministri le richiedono all’esame finale. Lei è nata decenni prima di De Saussure e qualche millennio prima della scrittura funzionale, fatta solo per redigere curricula di lavoro.

Il ministro la obbligherà a frequentare qualche corso d’aggiornamento. Necessario per far fronte ad un’utenza (non si dice così, oggi?) allargata, poco avvezza alla scrittura in bella prosa e all’uso acconcio del punto e virgola. La signorina Antonioli, che è «ante litteram» e non solo, si siederà pur’ella sui banchi, e ascolterà qualche funzionario dissertare sulle teorie della didattica in un’epoca di istruzione non più elitaria. Lo farà, remissiva. Senza nulla pretendere.



Mina
www.lastampa.it

I professori bravi meritano un premio Ma non quello improvvisato dal governo

da Il Fatto Quotidiano di sabato 20 novembre 2010

I professori bravi meritano un premio Ma non quello improvvisato dal governo

di Marina Boscaino

È mancanza di rispetto verso i docenti spacciare la resistenza che parte della scuola democratica e attiva sta esprimendo nei confronti del piano-valutazione Gelmini-Brunetta-Aprea come tentativo di sottrarsi al giudizio.

Le molte persone serie, in nome delle quali mi sento di poter parlare, non hanno questa intenzione. Ma criticano le soluzioni improvvisate: siamo docenti e conosciamo il valore di ricerca e di riflessione. Nella consueta medietà dei toni – dopo “la riforma epocale” ecco “un giorno storico per la scuola italiana: si iniziano a valutare i professori e le scuole su base meritocratica” – la meritevolissima Gelmini (quale cursus honorum le avrà garantito la poltrona di ministro?) ha annunciato la fase 2 della strategia. Dopo aver delegittimato i docenti in ogni modo, amplificato il dramma del precariato, ridotto le scuole in ginocchio e alienato agli studenti il diritto allo studio, con una scrematura che ha fruttato allo Stato 8 miliardi di euro e alla scuola 140.000 posti di lavoro tagliati, ecco il premio.

Si tratta di due diversi progetti: il primo , rivolto alle scuole medie (per ora delle province di Pisa e Siracusa), prevede di valutare gli istituti. Considererà i risultati dei test Invalsi e una serie d’indicatori (tassi di abbandono, rapporto scuola-famiglia, scuola-territorio, virtuosità nella gestione delle risorse). Valutatori: un ispettore ministeriale e due esperti indipendenti (perché, ci sono quelli dipendenti?). Le relazioni finali definiranno una graduatoria.

ALLE SCUOLE MIGLIORI premi fino a 70 mila euro. Un secondo progetto – che riguarderà i docenti di Napoli e Torino – prevede di individuare quelli che si “distinguono per le capacità e le professionalità dimostrate”. Dirigente, due docenti eletti dai colleghi e, come osservatore, il presidente del Consiglio di Istituto (un genitore) valuteranno. Il curriculum e un misterioso “documento di valutazione”, nonché l’indice di gradimento presso studenti e genitori, costituiranno gli elementi di giudizio.

Quali i finanziamenti? La sperimentazione sarà pagata con parte del 30% dei risparmi ottenuti grazie a “razionalizzazioni” di spesa, al netto delle risorse per il recupero degli scatti biennali (questa la buona notizia). Di tale somma si parla già dall’inaugurazione della “cura da cavallo” per la scuola (i tagli) che avrebbe da tempo consentito il “premio” ai meritevoli. In questa strana politica in cui tagli, fannullonismo, inefficienza, semplificazione e razionalizzazione sono artatamente finiti in un solo calderone, assestando un colpo definitivo alla credibilità sociale di scuola e docenti; in questo strano Paese che non è ancora in grado – a 3 anni da un documento di Fioroni in merito – di certificare seriamente e oggettivamente le competenze degli alunni, come l’Europa chiede di fare e fa da anni – la rincorsa a misurazione che non transiti attraverso una seria cultura della valutazione (inaugurata nei sistemi scolastici di alcuni Paesi UE più di 30 anni fa attraverso studio e finanziamenti) appare un re-styling frettoloso e pericoloso.

COME TENER CONTO della differenza abissale che implica l’insegnare in una zona o nell’altra del Paese? Come non trasformare le scuole in meccanici progettifici, per essere più concorrenziali sul mercato della premialità? Come ponderare i risultati di un test Invalsi a Scampia o ai Parioli a Roma? Come evitare la costituzione di cordate di potere nelle scuole, e il diffondersi di competizione senza competitività? Non ci s’interroga, infine, sul fatto che l’“utenza”, talvolta, potrebbe non avere ragione? Basta pensare alle ristrettezze in cui gli istituti versano e ai salari degli insegnanti per intuire che la lotta sarà tra dediti al volontariato o seguaci del neoliberismo. Comunque una guerra tra poveri. La tanto decantata Finlandia non ha mai riformato la propria scuola, che fornisce performance eccezionali. Ha solo mantenuto alta la considerazione sociale dei propri docenti.



www.aetnascuola.it