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Il biopic su Amy Winehouse: molto dramma, poco racconto musicale

Il biopic su Amy Winehouse: molto dramma, poco racconto musicale
"Back to Black" non è interessato alla musica della grande cantante

Il biopic su Amy Winehouse: molto dramma, poco racconto musicale


Di Elisa Giudici

Che fine ha fatto la musica di Amy Winehouse in “Black to Black”, il film biografico musicale che si propone di raccontarci ascesa e caduta, genio e sregolatezza di una delle cantautrici più iconiche dell’ultimo secolo? Nominalmente, sin dal titolo, il film diretto da Sam Taylor-Johnson non manca nessuna delle tappe della carriera musicale dell’artista. Avendo un’impostazione vecchio stile, la pellicola racconta tutta la parabola artistica e umana di Winehouse, dagli inizi nei localini jazz di Camden fino all’ultimo, drammatico giorno della vita di una cantante di fama mondiale.


C’è un accenno al rapporto burrascoso con le case discografiche con Amy che ripete fiera “I am no Spice Girl”, c’è la sua celebre esibizione a Glastonbury nel 2008, fino al toccante discorso di ringraziamento che la cantante fa quando vince il suo quinto Grammy in una sola serata: quello per il miglior album a “Back to Black”. Ci sono ovviamente tante canzoni cantate sul palco, interpretate dalla stessa attrice Marisa Abela, che fa un grande lavoro per non sfigurare al confronto con la voce emozionante e piena di graffio, di dramma e di vissuto della cantante che interpreta.

Abela esagera un po’ nel calcare sull’accento di Winehouse, nel riprodurne certe smorfie ed espressioni distintive, ma una volta prese le misure, la sua interpretazione decolla. L’attrice riesce a mettere a fuoco l’artista che interpreta: è lei la vera forza di un film, che fatica invece a starle dietro.

In “Back to Black” manca il processo creativo di Amy Winehouse
Film da cui manca l’artista, la cantautrice. Non è mai facile rendere per immagini e dialoghi il processo creativo di un artista in generale, sia un musicista, uno scrittore, un pittore. C’è qualcosa che gli artisti stessi faticano a mettere a parole nel loro rapporto con creatività, ispirazione. C’è uno stacco ineffabile tra l’idea e la sua trasformazione in qualcosa di concreto e, spesso, commerciabile. Gli antichi risolvevano questo dilemma narrativo con le Muse, le invisibili fonti d’ispirazione che sussurrano all’orecchio dell’artista, stanno al suo fianco, lo guidano e la proteggono.


Il cinema ha altre vie. Il problema di “Back to Black” è che sceglie la più convenzionale di tutte. La giovanissima Amy che imbraccia la chitarra e, nella sua cameretta, scrive in fretta e furia un testo, strimpella due note sulla chitarra e voilà, la canzone è pronta. Non è che necessariamente le cose non siano andate così, almeno all’inizio.

Tuttavia il film fatica davvero a restituire uno dei grandi talenti di Amy Winehouse, palese anche a livello visivo, nei suoi look e outfit. Winehouse è un’icona non tanto e non solo per la sua originalità nel vestire e nel fare musica, ma per come ha fatto propri una serie di elementi vintage da più epoche, mescolandoli con ciò che è familiare al pubblico contemporaneo, fino a ricavarne qualcosa di profondamente suo.

Il film si limita a citare Salaam Remi e Mark Ronson, i due produttori con cui Amy Winehouse ha lavorato regolarmente, fino a perfezionare il processo attraverso cui ha sublimato nel pop il suo crescere tra i vinili e le leggende del jazz.

“Back to Black” racconta per immagini banalità una personalità fuori dagli schemi
“Back to Black” preferisce invece concentrarsi sull’altra sua fonte d’ispirazione: la tormentatissima storia d’amore con Blake Fielder-Civil, “il suo uomo” protagonista di una bella fetta delle canzoni del repertorio di Winehouse.


È una scelta di campo in sé e per sé neutrale. Blake è un personaggio talmente ricorrente nelle canzoni di Amy Winehouse e del racconto mediatico della sua persona che è impossibile negare la logica dietro al raccontare come gli alti e bassi del rapporto con lui abbiano influenzato la musica di lei. È una precisa scelta di campo, che però porta all’esito peggiore, seppur alimentato dalle migliori intenzioni.

“Back to Black” infatti non ha che rispetto per la donna che racconta. Documenta con dovizia di particolari la sua natura refrattaria alle convenzioni, la sua attitudine da “cattiva ragazza”, senza giudicarla. Il film la segue nel suo inesorabile avvicinarsi a dipendenze di varia natura, aggravato dalla perversa codipendenza dal rapporto con Blake, abituale consumatore di droghe pesanti.

Il problema è appunto quell'“inesorabile”: “Back to Black” non punta il dito su nessuno, finendo per descrivere, una banalità dopo l’altra, l’autodistruzione di Amy come inevitabile, già scritta, uno sfortunato destino avverso. Un ritratto che stride con quello che le stesse canzoni di Amy Winehouse raccontano di sé e delle persone che la circondano. Il padre e Blake qui sono personaggi più simpatetici che problematici, che amano sinceramente Amy e sono in gran parte disinteressati al ritorno economico che starle vicino comporta. I paparazzi e i media sono figurine di cartone con il volto distorto dalla cattiveria: anonime, stereotipate, relegate a un rumore costante di sottofondo.


“Back to Black” non si prende rischi, a differenza dell’artista che racconta

A parte la colonna sonora curata da Nick Cave, la vera assente è, ancora una volta, la musica. O per meglio dire, il mondo musicale che circondava Amy Winehouse, che come il resto del pianeta ha assistito in diretta al suo lento distruggersi. Un mondo musicale che è rimasto in disparte, tirandole fuori dalla gola quanto più dolore possibile sublimato in canzoni che sono rimaste e che oggi celebriamo, anche se chi le ha create ci ha lasciato. Il caso di Winehouse è la summa di altre storie tristemente simili raccontate di recente in altri biopic musicali a partire da “Elvis” di Baz Luhrmann. Film che si posiziona all’opposto dello spettro, mettendo al centro proprio la manipolazione e lo sfruttamento dell’industria musicale nei confronti di un giovane artista, facendo leva sulle sue debolezze.

“Back to Black” non manca di raccontare le debolezze e le insicurezze di Amy, con rispetto, infilando una sequela di scene stereotipate e banali per farlo. Una scelta stilistica diametralmente opposta allo stile di un’artista e una donna che è diventata celebre proprio per come cantava se stessa con un’onesta disarmante, “with her heart of her sleeve”, amplificando le proprie emozioni, anche quelle scomode e sgradevoli, anziché nasconderle.


Amy Winehouse in vita sua non ha fatto che prendersi rischi, musicalmente e umanamente. È un peccato che il film che la racconta non abbia nemmeno il coraggio di puntare il dito sulle tante circostanze e persone che quantomeno non le sono state d’aiuto nei suoi momenti difficili, addossandole anche tutta la responsabilità dell’epilogo della sua storia artistica e umana.

“Back to Black” è nelle sale italiane dal 12 aprile 2024.