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Daniele Silvestri, un acrobata della parola

Daniele Silvestri, un acrobata della parola
Con "Acrobati" il musicista romano si guadagnò il primo posto in classifica


Daniele Silvestri, un acrobata della parola
Di Redazione
Il 26 febbraio 2016, otto anni fa, Daniele Silvestri pubblicava uno dei suoi album più riusciti: "Acrobati". Il primo che portò il musicista romano in vetta alla classifica. Quella che segue è la nostra recensione del disco.


Daniele Silvestri è uno che soppesa le parole. E’ un acrobata della parola, se vogliamo usare il titolo di questo nuovo disco. Non è uno di quegli artisti che presentano sempre il proprio nuovo lavoro con iperboli o con autocertificazioni di qualità. Così, se per una volta dice che il suo nuovo album è il migliore, c’è quantomeno da riflettere o da soppesare a nostra volta le sue parole.


C’è sicuramente che “Acrobati” è un disco fuori dal normale, nella carriera di un artista che di normale ha poco.


Per la storia: l’ultimo album di studio è “S.C.O.T.C.H.” del 2011, poi un Sanremo nel 2013 a cui seguì solo un EP, poi ancora l’esperienza con Max Gazzé e Niccolò Fabi. Un disco che è una sorta di ripartenza dopo un periodo felice. E per il modo in cui è stato realizzato: scritto direttamente in studio, assieme per lo più ad una serie di musicisti nuovi, che vanno dal “giro milanese” (Dellera, D’Erasmo, Gabrielli. Sebastiano De Gennaro), a quello romano (Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion) ad amici pugliesi (Caparezza e Roy Paci, nei cui studi si è svolta la prima parte delle registrazioni), ad ospiti vari (come Diodato).




Anche il “Live in studio”, così come “Il disco migliore della mia carriera” è un grande canovaccio narrativo di presentazione di un lavoro. Ma quando un disco è stato registrato in maniera particolare, si sente eccome. Ed è proprio il caso di “Acrobati”. Se è il disco migliore della carriera di Daniele sarà il tempo a dirlo. Ma intanto è una raccolta varia eppure compatta, in cui Silvestri gioca con i suoni e con le parole, ma mirando dritto al risultato.

La mente corre dritta al terzo disco di Daniele, il monumentale “Il dado”, e non solo per la dimensione quantitativa: là, 19 canzoni e 81 minuti, qua 18 e 74 minuti.


Ma proprio per la dimensione qualitativa: il flusso di idee e di parole, la leggerezza e la libertà compositiva: che va dal rock di “La mia casa” (compensato dal testo riflessivo sull'identità e i luoghi), all’elettronica delicata di “Acrobati” (altrettanto commovente, anche questa per come racconta la condizione odierna, senza giudicare), agli esperimenti sonori quasi jazz de “Il monolocale”, alla canzone retrò di “A dispetto dei pronostici”, all’hip-hop di “Bio boogie” con i Funky Pushertz, ai giochi di parole di “La guerra del sale” (immaginate cosa succede a mettere assieme due maghi del calembour, Silvestri e Caparezza? Ecco).


In “Acrobati” ci sono così tanti suoni, storie e idee che basterebbero per tenere in piedi diverse carriere. Ma la varietà non diventa mai fine a se stessa: questo è un disco di canzoni-canzoni, alla fine. E di ottime canzoni. Acrobazie, sì: perfettamente riuscite, e alla fine tornando sempre in piedi.