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Il senso della melodia di James Blunt

Il senso della melodia di James Blunt
James Blunt oggi compie 50 anni, il suo viaggio musicale ebbe inizio 20 anni fa con "Back to Bedlam"


Di Redazione

James Hillier Blount noto alle cronache musicali come James Blunt compie oggi 50 anni. Il musicista inglese esordì discograficamente, non più giovanissimo, nell'ottobre 2004 con l'album "Back to Bedlam". Alle sue spalle sei anni nell'esercito di sua Maestà britannica dove raggiunge il grado di capitano. Nel 2002 James si congeda, nel 2003 firma un contratto discografico grazie ai buoni uffici di Linda Perry, produttrice statunitense ex leader dei 4 Non Blondes, e nel 2004 pubblica il suo primo album che, grazie al singolo "You're beautiful", si impone all'attenzione generale. Ad oggi sono sette i dischi pubblicati da James Blunt. Noi vogliamo tornare a "Back to Bedlam" dove tutto ebbe inizio con la recensione che scrisse per noi venti anni fa Luca Bernini.


Gioca bene le sue carte, James Blunt, in questo album d’esordio onesto e disarmante, fatto “soltanto” di 10 canzoni semplici, prevalentemente acustiche e registrate con un gusto tutto particolare per il grande pop-rock degli anni ’60 e ’70. “Back to bedlam” potrebbe sembrare un disco vintage, al primo ascolto, e del resto il mondo musicale a cui Blunt si ispira sembra essere proprio quello: un immaginario crocevia tra la lezione dei Beach Boys e quella di Elton John da un lato, e la vena acustico-romantica che accomuna Jeff Buckley, David Gray e Damien Rice dall’altro. Senza dimenticare dei forti riferimenti al suono più country della west coast come ai Led Zeppelin di Bron-y-Aur.


L’elemento che, in un contesto simile, gioca ancora di più a fare la differenza è, neanche a dirlo, la voce di Blunt, davvero particolare.


Una voce alta, stridula, sostenuta da un marcato accento, a tratti sin troppo elegante, eppure capace di fare egregiamente il suo dovere, caratterizzando in modo inconfondibile le canzoni di questo album d’esordio. Che, per il resto, vivono di testi interessanti, a volte crudi (“Goodbye my lover” racconta di un addio in termini molto diretti) e risentiti (“Wisemen”), altre volte squisitamente romantici ( è il caso dell’iniziale “High” e della successiva “You’re beautiful”, ma anche di “Cry”) o capaci di tratteggiare in poche parole personaggi (“Billy” e “So long, Jimmy”, quest’ultima ispirata da Jimi Hendrix) e stati d’animo (“No bravery”, il brano conclusivo dell’album – e l’unico prodotto da Linda Perry – è un testo desolante dedicato alle vittime della guerra del Kosovo).


“Back to bedlam” è un album fatto di poche cose, che però sono in grado di valorizzarsi l’un l’altra: parole, voce, strumenti e arrangiamenti da classico pop-rock album (pianoforte, chitarre elettriche e acustiche, quel po’ di batteria che non guasta, cori), melodie capaci di rimanere impresse da subito. Da parte di critica e (soprattutto) industria, “Back to bedlam” ha fatto gridare subito al capolavoro e al disco “destinato a entrare tra i classici della musica pop contemporanea”: parole esagerate per definire un buon esordio come questo. James Blunt è senza dubbio un artista interessante, e merita di essere seguito con attenzione. Ma a volte è proprio creando aspettative eccessive di questo tipo, che si demoliscono incoscientemente buoni dischi e ottimi talenti.