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Maurizio Vandelli racconta la storia di "29 settembre"

Maurizio Vandelli racconta la storia di "29 settembre"
La canzone di Mogol-Battisti venne interpretata dalla Equipe 84 nel 1967


L’Equipe 84 aveva respirato l’aria dell’alta classifica solo una volta, prima del 1967: con “Bang bang”, cover italiana del brano di Sonny Bono cantato da Cher che, nel dicembre 1966, nella versione del complesso era salita fino al secondo posto (in quella di Dalida invece era arrivata in vetta); con “Resta” (cover di “Stay” di Maurice Williams) e “Io ho in mente te” (cover di “You were on my mind” di Crispian St. Peters) non erano riusciti a salire sul podio dei primi tre 45 giri.



“29 settembre”, invece, entrata in Top Ten il 29 aprile 1967, al settimo posto, la settimana seguente era quarta, quella dopo seconda, e il 10 maggio aveva conquistato la vetta, restandoci tre settimane consecutive, e uscendo dalla Top Ten solo il 12 agosto, dopo 15 settimane (anzi, si era riaffacciata al decimo posto il 26 agosto); ed era stata, fino a quel momento, il maggior successo di vendite del complesso modenese, e nella classifica dei 100 45 giri più venduti dell’anno si era piazzata all’ottavo posto (sul lato B aveva “È dall'amore che nasce l'uomo”, scritta da Francesco Guccini). “29 settembre” era invece firmata da Lucio Battisti e Mogol: una canzone all’avanguardia per il tema del testo, la musica, e anche per quella trovata dell’inserimento della voce di uno speaker del Giornale Radio che, se proprio non era una novità assoluta - già sentita in “Il treno del sole” di Otello Profazio: “Ultime notizie della notte. Una grave sciagura si è verificata in Belgio nel distretto minerario di Charleroi...” - ne costituiva una peculiarità sorprendente e inconfondibile.



Ecco il racconto di Maurizio Vandelli:

"Incidere “29 settembre” è stata una mia scelta. C’era una storia col flashback, e in quel periodo mi piacevano molto i film col flashback...Lucio me la fece sentire al pianoforte, e io ho detto: ‘Fermi tutti!’, perché l’ho immaginata come sarebbe potuta venire. Ed è una canzone che ha il suo acme magico in quell’apertura melodica, ‘Poi all’improvviso lei sorrise...’: è lì che risiede il fascino di quel pezzo. La voce del Giornale Radio? Io volevo lo speaker quello vero, quello del Giornale Radio, ma non c’era, o non è venuto, o non l’hanno cercato... c’era uno che aveva la voce simile, e mi sono accontentato. L’idea del Giornale Radio è mia, anche se la paternità dell’idea se la sono poi rivendicata cento persone... E non fu un’aggiunta dell’ultimo momento. Era stato Lucio che facendomi sentire la canzone, nell’ufficio della Ricordi dove c’era un pianoforte - sul muro ci eravamo firmati Maurelli Vandizio e Lusti Batticio - aveva detto, parlando, ‘29 settembre, 29 settembre’, e così mi era venuto in mente il Giornale Radio.

La copertina di “29 settembre” e forse anche quella di “Nel cuore nell’anima” e di STEREOEQUIPE, sono opera di Mario Schifano.


Sicuramente lui ha fatto quella di “29 settembre”: quella in cui siamo riflessi era una carta dorata che mettevamo ai muri di casa nostra, in via Giambattista Bodoni 19 a Milano, e la fotografia della copertina fu fatta lì. La casa la si vede in un filmato della RAI che c’è su Youtube , una specie di video di “Wanna pray”, la nostra versione in inglese di “Un giorno tu mi cercherai”, in cui i cori li hanno fatti alcuni attori del Living Theatre, che all’epoca dormivano in dodici a casa nostra. Ce l’aveva af*****ta una farmacista: era una bellissima villa liberty con i vetri colorati, ma tenuta male. La porta era sempre aperta, non solo metaforicamente: non si chiudeva proprio, le ragazzine scappate di casa entravano, e dovevamo riaccompagnarle in questura.

Si era sparsa la voce, e in quella casa venivano cani e porci.


Donyale Luna, con la quale ho avuto una storietta - quattro mesi - tornava ogni tanto a Londra e diceva ai suoi amici: ‘se capiti a Milano vai lì’, e quelli venivano. Erano tutte camere, una specie di albergo gratuito. Lì ho conosciuto Georgie Fame, che io non sapevo neanche chi fosse. C’è stato Jerry Malanga, è venuto mezz’ora Andy Warhol, è venuto Allen Ginsberg, è venuto Keith Richards con Anita Pallenberg, è venuto Ravi Shankar, è venuto Allarakha Khan che mi ha regalato i tabla. tutta roba che mi è stata rubata: un sitar me l’ha ciuffato Brian Jones, il tambura non so chi, la Les Paul me l’ha rubata Gerry Calà, me l’ha detto lui. I sitar me li aveva portati un nostro amico, forse si chiamava Vinciguerra, o Cacciaguerra, che andava spesso in India e faceva la spedizione da là. Arrivavano in una cassa di legno che sembrava una bara. Me n’è rimasto uno, di sitar. In quella casa di via Bodoni è venuto parecchie volte anche Jimi Hendrix. Hendrix in quel momento per me non era Dio: Dio per me era Paul McCartney. Jimi per me era uno molto bravo, ma non è che non lo apprezzassi molto. A parte “Hey Joe”, non mi ha mai fatto andare fuori di testa. Fra parentesi ero convinto che fosse inglese.".