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Spike Lee: "Non sarò io a girare Il film sulla vita di Jackson"





Il regista del docufilm a Venezia - Il 18 settembre esce il cofanetto "Bad" con DVD del concerto di Wembley nell'88 e "Bad" rimasterizzato





«Qualcuno sta per girare un film sulla vita di Michael Jackson. Purtroppo non sarò io», sussurra Spike Lee con un sorriso dispiaciuto. Dunque un film vero sull’esistenza avventurosa e controversa del Peter Pan del pop, è in preparazione. Un film che magari Venezia accoglierà a suo tempo in modo meno sbrigativo, nella presentazione ai media, di quanto sia accaduto ieri al Lido per «Bad25», docufilm promozional-umano fuori concorso che il regista statunitense è venuto a presentare a 25 anni giusti dall’uscita di «Bad», album che seguiva il successo planetario di «Thriller» (100 milioni di dischi venduti) e precedeva il primo tour solista, rimasto pietra miliare del genere. A tre anni dalla scomparsa di Jacko la famiglia Jackson, in collaborazione con la Sony, rilancia la figura dell’uomo nel suo picco creativo, con un’operazione-monstre che dopo Venezia proseguirà il 18 settembre con l’uscita di «Bad25», un cofanetto che conterrà in DVD l’intero concerto tenuto a Wembley nell’88, l’album «Bad» rimasterizzato, altro materiale inedito con demo personali e un cd dalla regia audio di Wembley. Materiali succulenti per collezionisti, ma (anche) utili per riscoprire il versante artistico di un personaggio a lungo ricoperto dalla polvere equivoca di infinite vicende giudiziarie, onerosi risarcimenti economici, paternità e comportamenti assai discussi.

E’ ovvio dunque che «Bad25», docufilm di due ore abbondanti affidato al regista Spike Lee, finisca per rivelarsi una celebrazione di Jackson, colto nei suoi processi creativi attraverso immagini inedite e testimonianze copiose di ingegneri del suono, musicisti, amici, Martin Scorsese regista dello "short film" legato al singolo «Bad», l’emerito produttore Quincy Jones, Sheryl Crow che fu corista nel tour, Justin Bieber visto come un fan e Stevie Wonder come amico; con anche pregevoli rivelazioni sull’ispirazione complessiva del suo mondo: lo studio per esempio del film di Vincente Minnelli «The Band Wagon» con Fred Astaire che viene qui accostato al video di «Smooth Criminal» e suona omaggio aperto all’attore/ballerino. Tutto questo Spike Lee lega con un trasporto affettuoso, carico anche di pathos nel finale, quando ciascun testimone, ricordando il momento in cui Jacko se n’è andato, fa scorrere lacrime da guance rudi e solcate di rughe.

Lei, gentile Spike Lee, è un regista-fan...

«Non lo nascondo. Ho solo un anno più di Michael, sono cresciuto con la musica dei Jackson Five, e quando è morto ho accumulato nel mio iPod tutto quello che aveva scritto. Alcune opere più recenti passate in sordina saranno riscoperte dalle generazioni future. E ogni ragazzo non potrà mai fare a meno di "Thriller" o "Bad"».

Questo suo viaggio musicale dentro il talento di Jackson ne mostra risvolti umani: la gioia, la timidezza verso le donne sul set

«Volevamo focalizzare sulla sua musica ma anche sulla creazione. Non vediamo qui "Bad" finito, ma le idee che nascono, le lacrime, la fatica. Il fine era far emergere la figura attraverso chi lavorava con lui».

Non compare alcun membro della famiglia nel documentario. Solo Jermaine, il fratello, che ne annuncia la morte

«Qui la famiglia non c’entra nulla, siamo su "Bad". Tra l’altro "Bad25" non è ancora stato visto dai figli Prince, Paris e Blanket (di 15, 14 e 10 anni, ndr) perché l’ho appena terminato».

Come descriverebbe il suo lavoro?

«Mi sono concentrato sull’intera gamma delle emozioni: gioia, dolore, pene, felicità, sesso. Ho voluto che si capisse che dietro la musica c’è un essere umano normale».

Lei come descriverebbe Michael?

«Gentile, con doni da Dio che non si troveranno a lungo in altre persone. Suonava un poco il pianoforte, ma creava cantando in un registratore e sapeva concepire tutte le parti strumentali per ogni canzone. Mi sono divertito tanto: mi piace la ricerca, guardare le vecchie foto, intervistare».

Il suo lavoro si conclude con «Man in the Mirror» da Wembley.

«Quando è morto cantavano tutti questa canzone, come di Lennon cantarono «Imagine». In quell’interpretazione non fa più parte di questo mondo».



Marinella Venegoni



www.lastampa.it