MUSICA




​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​



​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
​​​​​​​

​​​



MUSICA
Start a New Topic 
Author
Comment
Indignados nostalgici - La canzone di protesta è ferma agli anni ’60

di Alessandro Gnocchi


Il movimento degli anni Sessanta ha avuto una colonna sonora eccezionale e ha lasciato una discografia enorme, a partire dai capolavori di Bob Dylan, Joan Baez, John Lennon, Jefferson Airplane, Fugs, Byrds e tantissimi altri tra cui perfino i supercinici Rolling Stones (Street Fighting Man) solitamente refrattari alla politica.

Negli anni Settanta la rabbia del punk ha prodotto inni anti-sistema firmati da Sex Pistols, Sham 69, The Clash. Negli anni Novanta, la delusione e le contraddizioni della cosiddetta X Generation hanno prodotto le canzoni individualiste e antiretoriche di Nirvana e Sonic Youth o quelle al contrario militanti e idealiste dei Pearl Jam.
Quello degli Indignati, curiosamente, sembra essere un fenomeno musicalmente «afono». Chi potrebbe indicare un brano simbolo dei giovani di Occupy Wall Street o dei ragazzi che hanno invaso pacificamente le piazze spagnole? Nessuno. E infatti molte riviste musicali si interrogano: è finita la canzone di protesta? Può darsi. Qualcuno, sui giornali statunitensi, ha teorizzato che Occupy ha obiettivi molto concreti, e chi ne fa parte è più interessato all'economia rispetto all'arte. Altri mettono in discussione la centralità della musica: oggi le idee viaggiano in rete, la creatività ha trovato altre vie, si sfoga nella genialità di un cinguettio su Twitter. Altri ancora hanno segnalato nomi ancora sconosciuti al grande pubblico che potrebbero però emergere nei prossimi mesi. Ma chi in questi mesi ha avuto davvero occasione di ascoltare We Are the Many del chitarrista hawaiano Makana? Il mensile britannico Mojo, venduto nelle edicole di tutto il mondo, di recente ha scelto una foto che riassumesse il significato dei recenti scontri in Inghilterra. Nell'immagine, una ragazza sulle barricate sfida i poliziotti in assetto antisommossa, sullo sfondo il Parlamento. Il giubbotto della giovane lascia intravedere una maglietta promozionale di Meat is Murder, album «vegano» degli Smiths, una grande band legata indissolubilmente agli anni Ottanta. Possibile che i ventenni scelgano le stesse icone dei loro genitori?
Non che le rockstar non abbiano fatto capolino dalle parti di Wall Street. Sono stati avvistati a New York Tom Morello, chitarrista di Rage Against the Machine, David Crosby, Graham Nash, Patti Smith, Kanye West, Lou Reed mentre a Londra si sono fatti vivi tra gli altri Radiohead e Massive Attack. Quasi tutte vecchie glorie. Nessuna delle quali ha trovato però l'ispirazione per comporre qualche brano ad hoc. Latitanti, da questo punto di vista, anche grossi nomi notoriamente «impegnati», dai Green Day agli U2. Al contrario qualcuno ha trovato l'ispirazione per sfruttare i manifestanti, altro che criticare la Borsa e il capitalismo. Il rapper Jay-Z, ad esempio, ne ha approfi ttato per produrre t-shirt con gli slogan di Zuccotti Park. I ricavati, ha specificato a scanso di equivoci, finiranno per intero nelle sue tasche.
Cantava Fabrizio De André che certi suoi colleghi avevano «tradito», esibendosi «per l'Amazzonia e la pecunia». Quest'ultima non manca di certo ai gruppi felicemente coinvolti in quella che il Wall Street Journal ha definito «la battaglia delle band». Le grandi aziende hi-tech hanno infatti trovato un nuovo modo per mostrare al mondo di essere in salute: contendersi, a suon di assegni milionari, le star più famose al fine di intrattenere dipendenti e clienti. Per avere artisti come Sting (gettonatissimo), Tom Petty, Elton John, Billy Joel, Bon Jovi, Eric Clapton, Dave Matthews, Christina Aguilera, Black Eyed Peas, The Shins, Modest Mouse, gli amministratori delegati di Microsoft e altri giganti sborsano cifre che oscillano tra i 500mila e il milione e mezzo di dollari.

Non solo pagano profumatamente pur di battere la concorrenza, ma si sottomettono volentieri ai capricci dei cantanti. Tutti i divi impongono per contratto regole restrittive sui convenevoli con i dirigenti (venti minuti) e soprattutto sulle strette di mano (non più di cinquanta). I Metallica hanno inoltre preteso da Salesforce.com che alcune centinaia di fan potessero partecipare gratuitamente all'evento accanto ai colletti bianchi. Poi, via internet, si sono lamentati del pubblico impiegatizio.
Beh, il rock non avrà occupato Wall Street. Però ha trovato il modo di spillarle dei soldi.

www.ilgiornale.it