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Da Bologna parte la ballata miracolosa di Sir Paul McCartney

Da Bologna parte la ballata miracolosa di Sir Paul McCartney

Di Roberto Brunelli

27 novembre 2011


Partito da Bologna il tour di McCartney: piangono e urlano gli 11milia spettatori. Oltre 30 brani, omaggi a George Harrison e a John Lennon.



Questa, signore e signori, è la ballata del grande orchestratore dei nostri sogni. Il suo miracolo, la leggenda dell'impossibile che ogni volta, ogni sera, si fa realtà, la materializzazione sonora e furente dell'utopia, è un viaggio, un viaggio che riesce a non finire mai: eccolo, il “Magical Mysteri Tour” di Paul McCartney, l'uomo che per diritto e nobiltà può incarnare l'eredità di un fenomeno senza tempo chiamato Beatles. Nessuno l'avrebbe detto, quaranta e passa anni fa, eppure eccolo ancora qua: lui, nerovestito come i primissimi fab four, il suo basso Hofner, e la migliore band che abbia avuto dopo i Beatles.

Qui a Casalecchio gli undicimila di ogni età e appartenenza, piangono, ridono, urlano e cantano come se fosse l'ultimo (o il primo) giorno della vita: sir Paul ha aperto ancora una volta la sua Wunderkammer, realizzando l'incanto della incoronazione del nostro immaginario. Parte proprio con Magical Mystery Tour, e non a caso: perché, con le sue gianciotte ormai paffute e il capello tinto, così mostruosamente capace a quasi settant'anni, quasi uno sberleffo a quelle che è la fisiologia e le leggi della vita umana, ti trascina per la sua strada delle meraviglie. C'è tutto quello che i ragazzi cresciuti a pane e Beatles possano sognare, e McCartney sembra divertirsi come non faceva da decenni, come se si fosse liberato di una antico senso di pesantezza per tutto quello che lui e i suoi sodali Lennon, Harrison e Starr hanno rappresentato per milioni di persone. C'è Got to get you into my life, c'è una lunga e tiratissima Paperback Writer, una struggente Long and Winding Road che batte nei cuori come se fosse la prima volta.

Ovviamente non mancano incursioni nel repertorio solista di Paul e dei Wings, ma c'è solo la créme de la créme, e lui se lo può permettere: Maybe I'm amazed è uno squarcio di luce, Let me roll it è asfalto bollente, Live and let die è fuochi d'artificio e gioia. Il concerto inizia come finisce: “the love you take is equal to the love you make”, l'amore che hai è uguale a quello che hai dato. Che poi è l'ultimo verso dell'ultima canzone dell'ultimo album registrato dai magnifici quattro, Abbey Road. Come nella tournée che ha preceduto questo “On the run tour”, per la prima volta Paul suona per intero pezzi-icona di John e George: A day in the life, un altro miracolo assoluto del Novecento, “l'universo amministrato in poco più di quattro minuti”. E poi una folgorante Day Tripper, con cui Paul gioca, come gioca con The Word, forse una delle gioie meno citate a firma Lennon, accoppiata ad All You Need is Love, che fa solcare di lacrime persino i visi dei pompieri. Lui è soave e beneducato come sempre, quando parla in italiano (“bello essere qui per la prima volta”), per dare il via a “All my loving”.

E' furbo come quando racconta che compose Blackbird in nome dei diritti civili, è geniale quando tira fuori dal cilindro The night before, delizia oscura dei tempi di Help. Appunto: il canzoniere dei Beatles è tale che puoi permetterti di aggiungere ogni volta un piccolo dono in più ed è ogni volta un tuffo nei cuori. And I Love Her è ancora oggi una carezza d'amore come ce ne sono state poche nella storia, Obladi Oblada è un gioco per bambini che funziona a meraviglia ancora oggi con tuo figlio di quattro anni e mezzo, Yesterday è uno strepitoso colpo basso che arriva quando meno te lo aspetti, l'accenno a Foxy lady è un inatteso omaggio a Hendrix.

La sua prestazione vocale, lui quasi settantenne, è strabiliante, la sua abilità al basso, alla chitarra e al pianofore, portentosa. Lui lo sa, e amministra tutto con rinascimentale sapienza. Lo sa che tu sai che lui sa che noi sappiamo che dopodomani sono passati esattamente dieci anni dalla morte di George Harrison: Paul attacca, come sempre, Something all'ukulele, e poi entra, a sorpresa tutta la band, per una delle versione più intense che si siano mai sentite da quel sideralmente lontano 1969 in cui fu scritta per quella stessa donna a cui l'amico Eric Clapton avrebbe dedicato “Layla”. Altri tempi, forse, eppure se c'è qualcuno che è sinceramente capace di trascinarci dentro quella “tempesta perfetta” di invenzione, mutazione sociale e culturale che furono i sixties, quello oggi è sir Paul. La sua forza, nel 2011, è che è tornato a divertirsi con la sua musica, come un ragazzino, come faceva quattro decadi fa: I've got a feeling è puro rock-soul, e la trascina verso l'ignoto, come prima non avrebbe osato. Nei vecchi tour l'unico limite è che sentivi “il pacchetto Beatles” in edizione de luxe un po' troppo lucido rispetto alla forza imaginifica dei Fab four.

Oggi Paul sa che gestisce, come nessuno dopo di lui potrà fare, una specie di patrimonio dell'umanità, ma ne ha ritrovato l'essenza: se Hey Jude o Let it be sono concessioni alla leggenda, la violentissima Helter Skelter è un pugno in faccia. Sì, ne fa quello che vuole, Paul, con la nostra anima: e la strazia, facendoci cantare come fosse l'ultima volta “and, in the end, the love you take is equal to the love you make”. Forse il segreto è questo: questa lunga ballata è la sua, la nostra vita.

http://www.unita.it/culture/da-bologna-parte-la-ballata-br-miracolosa-di-sir-paul-mccartney-1.356921

Paul McCartney - Helter Skelter // Unipol Arena 26.11.11 – Bologna

Paul McCartney - Helter Skelter // Unipol Arena 26.11.11 – Bologna