MUSICA




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Pausini, per "Inedito", comanda lei - Ballads, Fossati, Nannini, la sorella

Chissà se Laura Pausini avrà consultato la Cabala (o almeno la Smorfia) prima di decidere di uscire con il nuovo disco oggi, nel fatidico 11-11-11, al quale profezie dissonanti assegnano equamente un valore di rigenerazione collettiva, o al contrario l’inizio della catastrofe da completarsi entro il famigerato 2012. Nessuna di queste ipotesi riguarda comunque «Inedito», undicesimo (ancora) album di studio della popstar italiana più accreditata al mondo. Imbottito di 14 canzoni, annunciato dal singolo «Benvenuto» che non è stato quella gran vetrina, «Inedito» è lavorato con accuratezza internazionale da una gran pletora di produttori fra i quali Celso Valli, con alcune ballads che si imporranno («Non ho mai smesso», «Bastava» presa da una ragazza brava e come al solito scartata a Sanremo, «Ognuno ha la sua matita»), e una breve vena che vira al rock, curata da Corrado Rustici, il cui punto più basso è proprio in «Inedito», duetto con Gianna Nannini (lei lo definisce «il più tamarro»).

Molte altre le collaborazioni. Primo, il cantautore Niccolò Agliardi a parole e musica, poi il compagno di vita chitarrista, Paolo Carta; ma ci sono Cheope, e Niccolò Fabi alle liriche di «Nel primo sguardo», duetto con la sorella minore Silvia; il gioiello è «Troppo tempo» di (e con) Ivano Fossati, che non a caso costringe la lanciatissima Lauretta a sfide vocali brillantemente risolte.

E’ un lavoro meno lamentoso del precedente, con qualche caduta e al centro a tutto tondo i sentimenti: vera arma da guerra nelle mani della popstar che li tratta con sempre maggior padronanza, dalla cabina di regìa dove pare ormai perennemente insediata. «Sono un polipo», proclama dal trono dell’hotel a 7 stelle dove tiene una conferenza di un’ora, senza alcuna interruzione rilevante, di fronte a un centinaio di persone compreso un tavolo di supermanager e addetti ai (suoi) lavori con il segno del dollaro nella pupilla, alla zio Paperone.

Lungo e glorioso sarà il tour internazionale, che con la regìa di Marco Balich avrà un prologo dal 22 dicembre al 6 gennaio prima a Milano e poi a Roma, per volare poi il 21 gennaio a San Paolo in Brasile e nel resto d’America, poi ancora in Italia. Un anno di lavoro per uno show dove c’è la mano di Mark Fisher che curò i Pink Floyd, Stones e U2. Scenografie spettacolari, tecnologie non note in Italia, corpo di ballo con Laura ballante nel corpicino smilzo che si ritrova dopo una dieta tirannic

Laura è semplice, autoironica, non se la tira. A patto che sia chiaro che è lei che comanda, assumendosi l’intera responsabilità. Dice di essere un polipo perché la sua mano è nella scrittura dei testi, delle musiche, perfino nella produzione («Mi rende felice la ricerca del suono»). Racconta sorridendo implacabile la sua avventura di questi due anni lontano dalle scene: «Mi sono fermata dopo 16 anni per conoscere la normalità della vita che non ricordavo. Il mio sogno era di fare pianobar e per fortuna sono salita su questo treno, e per carattere non mi siedo nell’ultimo vagone. La mia certezza è che sono una cantante: se un giorno non avrò il Madison Square Garden o San Siro, tornerò al pianobar».

«Inedito» è nato in casa dei genitori: «Sarà mieloso ma non m’importa, ho passato due anni svegliandomi e facendo colazione con mia mamma che preparava. Abbiam fatto discorsi da adulte, auguro a tutti di poter dire cose che da adolescente taci. Il disco è l’espressione di ciò che vivo e penso, le canzoni le scelgo solo io, anche sbagliando. Diranno che sono la solita Pausini, ma io ho bisogno di essere trasparente». Conclude di esser lontana dalla politica, ma ricorda il presidente Ciampi: «Quando presi il Grammy, fu veramente rock». Speriamo che prima o poi lo diventi pure lei, un poco.



Marinella Venegoni

www.lastampa.it

Laura Pausini "Troppo tempo" feat. Ivano Fossati