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Il sole sorse piano 40 anni fa e il ritornello si diffonde ancora

Il sole sorse piano 40 anni fa e il ritornello si diffonde ancora


di Katia Riccardi

IL 1971, l'anno in cui uscì "La canzone del sole", è un anno prodigioso. Mentre l'Italia brucia, si muove e protesta, la musica è infuocata, viva, esce fuori dai confini in cui nasce e si espande, ispira, contagia. Quell'anno Battisti e Mogol sono i più ascoltati e i più influenti artisti del Paese. "Pensieri e parole" domina le classifiche. Nella Hit Parade italiana ci sono Lauzi, Dalla di "4/3/1943", Mina di "Amor mio", George Harrison di "My sweet lord", "Che sarà" di José Feliciano, "The Ballad of Sacco and Vanzetti" di Joan Baez.

Giulio Rapetti Mogol fa ordine nei suoi sentimenti, ritorna sul passato, progetta, mette a posto e conserva in versi una vita alla quale, tempo dopo, si è definito "attaccato come una zecca". La sua penna è quella di un grande regista. Nei primi anni Settanta torna alla sua infanzia in tre canzoni, "I giardini di marzo", "Pensieri e parole" e "La canzone del sole". Quarant'anni fa, in un pomeriggio che divenne notte di fine ottobre, Mogol ascoltò gli accordi di Battisti. E scrisse di colpo.


Le bionde trecce gli occhi azzurri e poi. Punto, a capo. E poi. Otto parole e Mogol traccia un ricordo, un'immagine immediata che esce come un sussurro. E' una certezza prima della pausa. E poi. Un momento per annullare l'illusione e continuare a ricordare. E poi, le tue calzette, le gote, la cantina. La forma inizia a prendere vita. Con le corse, con la voce, con i no, con intenzioni troppo acerbe per diventare azione. Un incontro di bambini si trasforma, i capelli si sciolgono, i colori cambiano. L'innocenza dell'azzurro, del rosso e di un'acqua trasparente, diventa scuro, s'inquina, cambia, entrano le ombre, il passaggio del passato verso il presente è veloce come nuvole che coprono all'improvviso una giornata di sole.

E nel cambiamento c'è la gelosia. Battisti la rende vibrante come solo lui sa fare. Quante braccia ti hanno stretto per diventar quel che sei. La sfiducia. Che importa tanto tu non me lo dirai purtroppo. La ricerca di un'antica complicità. Ma ti ricordi l'acqua verde e noi. Il passato s'intreccia col presente. Il tempo perde senso, le onde del mare portano avanti e indietro due persone che si erano lasciate piccole e si ritrovano grandi. Sul finale la musica si ferma, poi riparte. La pausa serve a decidere il futuro, a scastrarlo da un passato troppo lontano, troppo vivo. Il sole quando sorge sorge piano e poi. Torna la luce, le ombre e i fantasmi non sono che alberi e cespugli ancora in fiore. Sono occhi nuovi. Forse diversi ma - ancora -, pieni d'amore. Mogol e Battisti virano verso l'ottimismo, sono in perfetta sintonia, si riconoscono e si completano. Possono farlo, e stavolta lo fanno.

"La canzone del sole" è la canzone dei colori base e la fantasia gira sogni, paure e speranze su quegli stessi colori, come un vinile gira sul piatto restando nero. I suoni si attaccano alla memoria come le parole, ed è un meccanismo naturale perché appartiene a ogni persona. Per questo "La canzone del sole" è diventata la canzone di tutti. Una chiave universale talmente semplice, che averla trovata quarant'anni fa ha contribuito a rendere Mogol l'alchimista eccellente. In grado di fermare il tempo, di passeggiarci avanti e indietro, veloce come solo i ricordi possono fare. "Non sono mai stato un uomo di fantasia", ripete spesso Mogol, che non è più un nome d'arte da quando nel 2006 un decreto del ministro dell'Interno ha permesso fosse l'aggiunta ufficiale al cognome, Rapetti. "Ho sempre raccontato la vita". Continua a farlo.

Per Giulio Rapetti Mogol le parole contano come la terra, come l'acqua pulita, come la gentilezza, l'onestà, la schiettezza. Non vuole sentire parlare di "paroliere" ("E' diminuire il lavoro, l'essenza e la vita di un autore"), fissa nel vuoto se la musica viene definita "leggera" e non "popolare", non lascia passare le finte modestie, non apprezza le abbreviazioni, le scappatoie verbali, le frasi a effetto senza sostanza, i "titoloni". Per lui ogni cosa è in grado di avere un nome, ogni nome un suono, ogni suono deve avere un senso. E "il testo di un brano deve avere quello della musica", spiega. Battisti era la musica, Mogol aveva parole per quello che lui esprimeva in note. Insieme sono stati il suono e il suo senso.

"La forza de 'La canzone del sole' è nella melodia. Battisti era un genio. Era veloce, era avanti. Soprattutto era onesto, lo era in maniera disarmante. A quei tempi lavoravamo a un album in una settimana, giorno e notte. Era come un flusso continuo", racconta. E la canzone di quel sole che ha scaldato anni di piombo, ha visto la luce di colpo. "Scrivo così, sono sempre stato veloce, non sto giorni su una parola, racconto le cose che ho vissuto, ognuno hai suoi metodi e io sono così", dice ancora Mogol. Che la vita l'ha vissuta plasmando i contorni della musica italiana.

Gli accordi di Battisti 6(la maggiore, mi maggiore, re maggiore, mi maggiore) hanno dato fiducia a apprendisti musicisti che per quarant'anni sono stati in grado di cantare e suonare una canzone non da principianti. "Perché è una storia normale, e perché musicalmente Lucio era avanti", spiega Mogol. "C'era una bambina che era mia vicina di casa, abitava sullo stesso pianerottolo. Era bellissima, aveva un anno o due più di me, Titti". La bambina del sole. Giulio Rapetti ne era innamorato dell'amore infinito dei piccoli. C'è Titti anche ne "Il salame" (nella raccolta "Le avventure di Lucio Battisti e Mogol 2"). Parla di un bimbo e una bimba che si aggirano per casa, "Fra un anno io vado a scuola/Dopo mi sposo con te", dice lui. Mogol continua a raccontare. Lo fa seduto per terra, vicino al divano della sua casa che è anche la sede del Cet, il centro dove insegna da oltre vent'anni. "Quella canzone finisce con l'apertura del frigo, che per loro è molto più interessante dei giochi per i quali sono ancora troppo piccini". E alla fine la grande scoperta viene introdotta dalla parola "Urca!". Titti torna con le sue trecce ne "La canzone del sole". La memoria di Mogol è sparsa senza tempo nei testi che compone da sempre.

Nei primi anni Settanta Milano fa da sottofondo alle sue canzoni. C'è sempre, con i carrettini di gelato, i campi di grano, gli orti alla periferia, il cinema di via Pacini. Quell'anno Battisti e Mogol scrissero praticamente una canzone ogni 15 giorni. Uscirono anche "Vendo casa" per i Dik Dik, "Eppur mi son scordato di te", "Nessuno nessuno" e "Mi chiamo Antonio tal dei tali e lavoro ai mercati generali" per la Formula 3, "Amor mio" e "La mente torna" per Mina, "Amore caro amore bello" e "L'aquila" per Bruno Lauzi e "Un papavero" per i Flora Fauna Cemento. Tutte in classifica, un mitragliata di poesia e di note. Solo "Dio mio no" fu esclusa dalla programmazione radiofonica di allora. Lelio Luttazzi che presentava alla radio 'Hit Parade', dovette leggere un comunicato in cui la Rai spiegava i motivi della censura (a causa della frase "la vedo in pigiama e lei si avvicina"). Mogol rise, se lo aspettava. Battisti anche rise, però meno forte.

Quei brani restano tutti. Dopo quarant'anni sono ancora tutti vivi. Ma "La canzone del sole" resta la più toccata, la più suonata, la più maneggiata. La più popolare. "Ho sempre fatto la mia battaglia per la musica popolare", dice Mogol. "E' lo scopo della mia vita. Combattere per quello che sta scomparendo. Non mi stancherò mai di dirlo. Non smetterò mai di insegnarlo. La musica popolare è la nostra anima, scomparsa questa cosa resta?", continua l'autore che dal 1992 insegna la sua arte ai giovani del Cet, il centro europeo di Toscolano che si trova in Umbria. Sul sito ufficiale 7 nel menù dei corsi, alla voce 'Autori' e a quella 'Interpreti' sotto 'Insegnamenti fondamentali', c'è la voce: "Essere per scrivere, tecnica dell'isolamento". L'importanza della pausa. Di quel "e poi".

"Per 'La canzone del sole' mi sono ispirato a Silvi Marina", ricorda Mogol. Una località in provincia di Teramo dove dal 2008 è cittadino onorario. "Quando ero piccolo, venivo spesso con la mia famiglia a passare le vacanze estive su quella spiaggia. Il testo è nato proprio pensando a quei luoghi e alle emozioni vissute in riva al mare di Silvi". Registrata sul lato A - nel retro era incisa "Anche per te" - "La canzone del sole" è il 13esimo singolo della coppia Battisti-Mogol, registrato a Roma, nei mitici studi RCA di via Tiburtina, proprio a metà ottobre. "Anche per te" fu registrata invece alla fine dello stesso mese al Fonoroma di Milano. Il disco è il primo inciso con etichetta Numero Uno. Esistono versioni del brano in inglese (The sun song, inclusa nell'album destinato al mercato inglese "Images"), e in spagnolo (La canción del sol, inclusa nell'album "Emociones"). Sei anni dopo l'uscita, il brano fu incluso nella prima antologia dell'artista, "Il meglio di Lucio Battisti vol. 1". Le cover sono tantissime. "La canzone del sole" è stata ricantata da tutti. Da Mina a José Feliciano.

Le immagini di copertina e retrocopertina 8 del '71 ritraggono Battisti mentre cammina in un prato, con una valigetta in mano e una margherita in bocca. Il fiore in bocca de "La canzone del sole" (più allegro tutto sembra), è anche il buon augurio all'esordio della sua nuova etichetta, la Numero Uno. Le fotografie sono opera di Cesare Montalbetti (con il nome d'arte Caesar Monti): "Radunammo un po' di gente e andammo nel parco di proprietà di una conoscente di Giulio, vicino a Como. Fu più che altro una scampagnata tra amici. Lucio, finite le foto, prese la chitarra e nel verde del parco, tra una tazza di tè e una fetta di torta, si mise a cantare, con tutti quanti noi che gli facevamo da coro. La valigia che Lucio teneva tra le mani era la mia borsa delle macchine fotografiche". Un borsone che leggenda vuole il fotografo buttò via nel 1998, l'anno in cui morì Battisti. Le copertine delle prime copie del singolo sono realizzate in carta lucida, mentre quelle successive sono tutte opache.

"Allora non ci interessava la politica", ricorda Mogol. "E in quegli anni era difficile restarne fuori. Noi però eravamo interessati a suonare, le connotazioni non ci preoccupavano. Di alcune canzoni dissero che nascondevano un messaggio di destra", sorride. Il mare nero per esempio fu interpretato da qualcuno come metafora della simbologia fascista. "Macché fascismo", ride più forte Mogol. "Era il nero della fine dell'innocenza se vogliamo essere poetici, ma anche pratici. Io sono sempre stato un ambientalista convinto. Per me la natura incontaminata è fondamentale. Mi ispira, devo vivere così. Se vedo una macchia di petrolio nell'acqua, sto male", continua. Il mare nero è la metafora di una cicatrice.

Quando parla Mogol non trasmette nostalgia. Non si ripete, non si parla addosso, non impone il proprio passato senza che ci stata una domanda. Ha storie da raccontare per chi vuole ascoltarle. Non è la casa dei dischi rotti la sua, ma di album ancora da registrare. Come quello di Gianni Bella ("Uno dei tre geni che ho conosciuto nella vita"), come quelli che scriveranno i suoi allievi. Il 24 settembre di quest'anno, in piazza del Campidoglio il Comune di Roma ha festeggiato i suoi 50 anni di successi 9, Giulio Rapetti ne è stato felice. E' stato un altro giorno importante per non disperdere una parte di quella musica, che mai leggera, lui ha sempre definito "popolare" e, quindi, degna di un re.

(24 ottobre 2011)
www.repubblica.it

Lucio Battisti - La canzone del sole