MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Il mistero della canzone italiana - di Claudio Antonelli

Per me è un mistero: novanta volte su cento, i cantanti italiani che la radio (CFMB) ci propina non sembra che stiano cantando ma che facciano una parodia di quello che è il normale cantare. Capisco l’espressione artistica, capisco l’estro creativo, ma alle mie orecchie giungono in realtà voci alterate, petulanti, esasperate, che però, a quanto pare, piacciono immensamente alle masse. Alle masse della penisola occorre precisare, perché la canzone italiana è oggi sconosciuta al di fuori dei confini nazionali (fatti salvi noi espatriati, tenuti in ostaggio).
Il motivo musicale non rivela alcuna ricerca di armonie musicali, alcun desiderio di piacere, di accarezzare, d'innalzare, ma solo gusto della provocazione vandalica. Il testo, il "messaggio", spesso densamente "filosofico", somiglia ad un concitato discorso da bettola, tra avvinazzati: vedi, ad esempio, il "rap" all'amatriciana, furoreggiante alla radio. Qualcuno di questi cantanti nostrani tenta poi vanamente di tirare fuori dalle trippe una voce negra, con effetti di vera e propria parodia.

Il tono è concitato, forzato, sgangherato, beffardo. Le loro voci sono sempre tese all’esagerazione, alla provocazione, al cinismo, alla caricatura. Con un sottofondo di rabbiosa denuncia moralistica, contro tutti.

Devo dirvi che dalla mediocrità non si salva neppure la "divina" Mina, questo mostro sacro totalmente sconosciuto all’estero ma adorato dagli italiani che vedono in lei l’espressione più alta della “classe” e della sofisticazione “made in Italy”. Mina Mazzini, da gattona sovrappeso e in là con gli anni, continua a far le fusa, un po' strillando come un gallinaccio, e un po' cadenzando e strascicando parole e frasi con un tono petulante che vorrebbe invece essere snob e sexy: fa insomma la parodia di se stessa. Tra gli scroscianti applausi delle masse estasiate.

A parte il tono forzato e innaturale di questo buon novanta per cento dei cantanti, i testi delle canzoni, carichi di frasi che si accavallano, sono densi di pensieri grumosi che vorrebbero essere filosofici alla “così parlò Zarathustra”. Qualche volta i cantanti sono addirittura stonati, come stonata mi è sempre parsa la voce, per me da tortura, di un "grande" – “big” in lingua italiana - della canzone: Lucio Battisti, compianto idolo sia del popolino sia delle élites, in un'Italia finalmente unificata grazie al culto della canzone sgangherata.

A questo punto mi chiedo umilmente: che siano le mie orecchie a deformare i suoni? che vi sia in me un’incapacità congenita a recepire, senza alterazioni e interferenze, voci valide, la cui bellezza è riconosciuta da tutti gli altri? Sono costretto a concludere che no, che il difetto non sta in me, perché dopotutto i veri “big” internazionali, di sicura fama, nati in altre lande, piacciono anche al sottoscritto. E le loro voci giungono alle mie orecchie con fedeltà, senza deformazioni. Quindi il mistero persiste su questa passione del pubblico d'oggigiorno per l'imitazione, la deformazione, l’esagerazione, il ridicolo.
Lo strano fenomeno di una canzone all’italiana eccessiva e parodistica, del tipo da osteria o da circo equestre, forse si può cominciare a capire tentando di rischiarare, in parallelo, un altro mistero: il successo di pubblico, nella penisola, di programmi di varietà e di chiacchiere in cui domina il tono becero, urlato, ripetitivo, su uno sfondo di tette e di chiappe rifatte dal chirurgo, e con un pubblico estasiato che applaude e si applaude, freneticamente.

Chiedo venia al lettore per questo mio sfogo, a lungo represso.

http://www.corriereitaliano.com/Rubriche/Losservatorio/2011-10-11/article-2773596/Il-mistero-della-canzone-italiana/1