MUSICA




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Gino Paoli e la classe dei suoi 78 anni - "A Sanremo solo se mi arrivano 2 pezzi"



Esce il bellissimo live "Due come noi che...", voce e pianoforte con il grande Danilo Rea


Una firma subito per arrivare ai 78 anni così come li ha appena compiuti (il 23 settembre) Gino Paoli, cantautore, viaggiatore instancabile per palchi italiani e pure da qualche tempo contadino in Toscana, fiero delle sue olive e del suo olio («Verrò al Salone del Gusto di Torino come produttore», annuncia con orgoglio). Quest’uomo che non conosce soste né anagrafe, che dal 1963 ha come compagna una pallottola accanto al cuore, per un fortunamente sfortunato tentativo di suicidio, sembra continuare a vivere di sfide. L’ultima, ampiamente annunciata, è quella di ripresentarsi al prossimo Sanremo in gara, invitato da Fabio Fazio: «Non dico mai di no, agli amici», ha spiegato. Soltanto che ora si scopre che non è detta l’ultima parola: può essere di sì, ma può pure essere di no.
«Io due canzoni nuove per adesso non ce le ho. Se mi arrivano, volentieri. L’ho detto a Fabio», ha spiegato ieri con un pizzico di malizia, strizzando gli occhi come uno dei suoi amati gatti. «Ho detto anche a Fabio che se queste canzoni arriveranno, pongo come unica condizione di salire sul palco soltanto voce e pianoforte, senza orchestra né nient’altro. Ormai c’è solo la canzone televisiva, non si compongono canzoni ma prodotti».

Si scatena: «Oggi conta come porti i capelli o che giacca indossi. Chi scrive canzoni lo fa pensando a un target. Ma quando avevo 16 anni Lester Young mi disse: "fare il jazz è come pisciare". L’espressione artistica nasce da un bisogno profondo. Se andrò a Sanremo, lo farò dunque a modo mio, per dire a tutti: "Signori, son tutte cazzate: questa è la musica"». E’ entusiasta di Danilo Rea, che altre volte ha detto di no a Sanremo ma ora è pronto a cedere: «Fra noi c’è un’alchimia che mai è esistita».

Tale alchimia è palpabile nell’album in uscita in questi giorni che Paoli ha presentato ieri sera appunto con Rea all’Auditorium della Musica di Roma. «Due come noi che...» è un piccolo gioiello di eleganza suprema e raccolta, costruito appunto sulla voce immutata e scabra di Gino e sulla poesia del pianoforte, che asseconda e anticipa il cantar quasi recitando dell’interprete. In scaletta, brani da riscoprire come «Perduti» che apre l’album, o «Averti addosso» che è quasi un recitato; ma anche successoni come «La gatta» un po’ jazzy o «Il cielo in una stanza». E poi omaggi ad altri genovesi che hanno nobilitato il mondo della musica popolare e se ne sono tutti andati, lasciandolo solo: di De André una struggente «Canzone dell’amore perduto» e «Bocca di Rosa» solo strumentale, di Umberto Bindi una sommessa «Il nostro concerto», di Luigi Tenco «Vedrai vedrai», di Bruno Lauzi «Se tu sapessi».

Un album che è come un riflettore riacceso sulla scuola genovese che però secondo Paoli non esiste: «Una scuola implica che ci sia un professore e degli allievi, noi eravamo solo degli amici. Anche adesso, con Antonio Ricci, Renzo Piano, Grillo, c’è una specie di mafia ligure. Ci aiutiamo e ci sosteniamo a vicenda». Ma sul Grillo agitatore di popoli prudentemente si sottrae: «Non ho mai approfondito il coté politico, non saprei proprio cosa dire»; si sa in realtà che ha più volte dichiarato di non condividere le sue posizioni, e di aver anche cercato di convincerlo a desistere. «Mia moglie, che fa acquagym con la sua, mi ha detto che si è messo in testa di attraversare lo Stretto di Messina a nuoto, e si sta allenando», sorride.

Ora, a ottobre, Paoli sospenderà il tour: «C’è la raccolta delle olive. Il lavoro della terra è un relax, usi le mani e pensi ad altro. Ha una funzione di concentrazione, può darsi che venga fuori qualcosa».



Marinella Venegoni



www.lastampa.it