MUSICA




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Gli Anni Zero non avranno bisogno di archivi in tv - di Andrea Scanzi

Gli Anni Zero non avranno bisogno di archivi in tv - di Andrea Scanzi

C’è un programma, il sabato notte in Rai, che si chiama Memorie dal bianco e nero. E' fatto di niente, solo immagini d'archivio contrappuntate da Maurizio Costanzo ed Enrico Vaime. Va in scena la tivù del tempo che fu. Scorrono icone, meteore, mostri sacri. Pezzi di storia d'Italia. La timidezza invalicabile di Lucio Battisti, il duetto tra Mina e Il Signor G, i primi passi di Gianni Morandi. Le incursioni di Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman. I «bravi presentatori», al tempo bravi davvero. Una delicata carrellata, dal retrogusto malinconico.

Il paragone tra quella e questa tivù viene naturale. Se fra trent'anni, per una misteriosa e fulminante forma di masochismo, qualcuno volesse fare un'operazione analoga d'affettuoso modernariato, affronterebbe qualche difficoltà. Come sono stati raccontati questi Anni Zero dal piccolo schermo? Cosa rimarrà delle molte e troppe istantanee? Poco o nulla. Il blob è aumentato, gli highlights diminuiti. Qualcuno salverebbe la puntata eretica di Satyricon con Marco Travaglio e Daniele Luttazzi (altri la brucerebbero). Qualcuno - i soliti alternativi - direbbe Report, lo speciale di Che tempo che fa su Fabrizio De André, Il caso Scafroglia. Su Romanzo Criminale ci sarebbero più consensi trasversali, ma già non è più servizio pubblico. C'è qualcosa che merita di essere eternato negli ultimi dieci anni di Raiset, a parte le intercettazioni di Masi e i pedinamenti al giudice Mesiano? «Ieri intervistavo Sordi e oggi ho Riccardo Scamarcio: che me ne faccio?» La battuta è di Costanzo. Il fatto è che oggi, almeno in tivù, esistono solo gli Scamarcio (quando va bene). Soprattutto nella fascia popolare. Cosa lascerà ai posteri questa tivù assaltata e non di rado vile? Il nulla colpevole di Barbara d'Urso? Lo sguardo fieramente autistico di un tronista colpito a tradimento da un congiuntivo? L'ubiquità di Lady Ventura, infaticabile nella sua pervicace opera di minare dalle fondamenta tutto ciò che sia o sembri cultura? Sarà questa la tivù vintage del 2040 o piuttosto quella del plastico di Cogne? Farà rivivere il Cangurotto, il Divino Otelma o la grandefratella Floriana, Nostra Signora delle Burine?



Dal minimalismo di ieri, democristianamente pedagogico e onestamente nazionalpopolare, al mare magnum di presentatori equilibristi, politici abbaianti e tuttologi canuti, buoni per ogni occasione in virtù di una lungamente inseguita vacuità. Da una parte le baruffe chiozzotte, dall'altro elaboratissime elucubrazioni sull'argomento più disinnescato del momento (per non disturbare i manovratori). E' così che la tivù si è messa in scacco da sola: spolpandosi da dentro. Tronfia dell'assenza di contenuto, scevra da qualsivoglia forma di eleganza. Ilare e sghignazzante come quei passeggeri del Titanic che tintinnavano i bicchieri, un attimo prima del disastro.

Del doman non v'è certezza, della tivù del futuro sì: di sicuro, non avrà bisogno di archivi.

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