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MINA,IL MITO,IL COMPLEANNO E L'INVADENTE ASSENZA DI ALDO GRASSO

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la cantante compirà 70 anni il 25 marzo
Mina: il mito, il compleanno
e l'invadente assenza
La scelta estrema della sparizione. E la Voce resta fuori dal degrado
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e l'invadente assenza

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Mina in una foto degli anni '60 (LaPresse)
L’invadente assenza. Come Greta Garbo, come J. D. Salinger, come Carlos Castaneda, come Lucio Battisti, come Thomas Pynchon, un giorno anche Mina decide di sparire, di ritirarsi dalla scena, di cominciare a coltivare il mito della diva invisibile.

C’è anche una data per celebrare la sparizione: è il 23 agosto 1978. Mina tiene un concerto a Bussola domani. Canta «L’importante è finire », una canzone piena di passione e di ambiguità sessuale scritta da Malgioglio e Anelli e regolarmente censurata dalla Rai: «Adesso/ Arriva lui/ Apre piano la porta/ Poi si butta sul letto/ E poi e poi...». Poi il finire diventa venire, secondo una leggenda versiliana. Ma un brutta broncopolmonite virale mette fine a quel concerto. Mina saluta e «sparisce» in Svizzera (vi abitava già dal 1966). Arriva un momento in cui certe star, che hanno costruito le loro fortune anche sull’immagine, entrano in crisi quando il loro volto non corrisponde più a quello dei loro successi. È il motivo più ricorrente ma non è detto che sia quello che ha spinto Mina a prendere una decisione così estrema.

«Aveva paura di fronteggiare il pubblico» (Don Lurio, il coreografo), «Quando era a dieta era intrattabile. Mangiare come voleva era uno dei diritti che le venivano negati, assieme alla sua privacy» (Augusto Martelli, l’ex compagno), «Ha attraversato dolori e delusioni, ma ne è sempre uscita più forte, dentro e fuori, a 130 o a 60 chili» (Benedetta Mazzini, la figlia): non importa quali siano stati i motivi che l’hanno spinta all’isolamento, tanto isolamento non è mai stato. Anzi, proprio la lontananza le ha permesso di colmare a piacimento un grande vuoto e di coltivare in vita alcune attitudini del mito che, di norma, si scatenano quando uno non c’è più.

Mina non è mai stata così presente da quando è assente, così invadente da quando è in esilio visivo. Non passa giorno che non si parli di lei: Interprete sublime, Icona materna dell’universo gay, Compagna di duetti memorabili, pungente Editorialista, Donna fatale, Cielo in una stanza, sempre e comunque Baby Gate.

La sparizione, in realtà, ha un’origine ben più complessa. Forte della sua vocalità, nell’era in cui tutti ambiscono apparire, ha preferito dissolversi, non frequentare più le forme degradate degli studi televisivi, affinare la fisionomia auditiva. L’abbandono delle scene, dunque, non è motivato da un ascetico sgomento ma da un calcolo ardito. L’asceta, normalmente, si ritira per mortificare la carne. Mina invece ha preferito annichilire la sua immagine. Ha rinunciato all’onore della visibilità non per punire il Corpo ma per fortificare lo Spirito. Solo così poteva raggiungere la condizione di simulacro, di Voce che può fare a meno del Volto. Il segreto è stato svelato un giorno dal grande Totò: «Quell’anima lunga che sembra un contrabbasso con tutte le corde a posto, quelle carni bianche da gelato alla crema, quella creatura recita poco e male, ride al momento sbagliato, coprendosi la bocca con la mano. Ma se si spengono le luci e lei comincia a cantare, da quella voce escono grandi palcoscenici, pianto e risate». Mina appare per la prima volta in tv nel 1959 presentando al «Musichiere» e a «Lascia o raddoppia? » la sua versione urlata di «Nessuno». Nel 1961, insieme con le gemelle Kessler, conduce «Studio Uno» e canta la sigla finale «Sabato notte». Nell’autunno del 1962 scoppia il «caso Mina»: in attesa del figlio Massimiliano senza essere sposata, viene allontanata dalla Rai (altro che Aldo Busi!). Nel 1964, uscita dalla «quarantena», appare nel programma «La fiera dei sogni» e poi ancora a «Teatro 10». L’anno seguente, è l’incontrastata mattatrice di «Studio uno» con Lelio Luttazzi, Luciano Salce, Milly e le gemelle Kessler; la sigla finale è «Soli». Nel 1968 è protagonista di una indimenticabile edizione di «Canzonissima» in compagnia di Paolo Panelli e Walter Chiari, dove dimostra le sue qualità di show girl; la sigla finale è «Vorrei che fosse amore». L’ultimo show di Mina risale al 1974: «Milleluci» con Raffaella Carrà, sigla del programma «Non gioco più»; quattro anni dopo, l’addio alla Bussola.

Ebbene, questi frammenti circolano ogni giorno, ritornano in eterno. Ogni lacerto tenta di apporre il proprio sigillo, di riscrivere Mina a propria immagine e somiglianza; di fatto si accontenta di alimentare quel piccolo mistero che è l’assenza presente di Mina. L’icona ricorda Mina e le assomiglia; nel suoi molti Volti e nella sua unica Voce si concentra l’enigma dell’assenza presente (del soggetto), della presenza assente (del senso). La sua genialità istintiva, sempre sospesa fra la trasgressione e il perbenismo, le ha permesso più esistenze contemporanee: con la radio, con i dischi, con le copertine dei dischi, con le sigle, con la tv, con gli editoriali in prima pagina e le risposte alle lettere in ultima, con il Web. Nella pienezza trascinante della virtualità.

Aldo Grasso