MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Mina, elogio della Voce del Silenzio - di Federico Vacalebre

Mina, elogio della Voce del Silenzio - di Federico Vacalebre

La Voce d’Italia compie 70 anni il 25 marzo 2010, anno della Tigre, ma le voci, si sa, non hanno età e quella di Mina non conosce, quasi, l’usura del tempo, forse un poco meno agile che in gioventù, ma più saggia, profonda, adorabile tra discese ardite e risalite, perfino più sensuale quando reclama il diritto al sesso anche nella terza età, con ben più sfacciata rivendicazione della Zanicchi del Sanremo 2009. Ma l’esplosione conosciuta all’anagrafe come Anna Mazzini è anche corpo: tanta, alta, curvilinea, le gambe lunghe, altre discese ardite e risalite. E il corpo ha età, impietosa per lei come per tutti, ancor di più per lei che è stata lady peccato, per la vita privata, ma ancor di più per le parole cantate, censurate: «L’importante è venire» divenne nelle maglie della censura democrista «L’importante è finire», e lei venne-finì con voce-orgasmo incensurabile, ineludibile, supremo gemito-suono. Sul binomio Voce/corpo la dice lunga uno dei suoi primi 45 giri, un Italdisc del 1959: da un lato c’è «Tua», dall’altra «Nessuno», due brani proposti a Sanremo. Il primo, di Malgoni e Pallesi, l’aveva cantato la caramellaia di Novi Ligure Tonina Torrielli e non era successo niente, ma anche Julia De Palma, e un brivido caldo aveva scosso le case degli italiani, turbati da quell’erotismo vocale, tutto sospiri e legati. La seconda, di De Simone e Capotosti, era celestiale e virtuosistica promessa d’amore eterno nella versione della Pizzi, melodicamente «urlata» in quella della Curtis. Quando Mina intona «Tua» il sesso è ancora più esplicito, ma nun è peccato: dove la De Palma allunga le «u» lei le butta via, si sofferma sulla «a» di «tua», che però significa «mia». Con «Nessuno» nasce la leggenda della Tigre di Cremona, che rinnega testo e devozione, spezzetta la linea melodica, accelera due volte - anzi tre - il ritmo, canta senza apparente interesse per le parole-apostrofo rosa tra un bacio insapore e un altro. Le parole divise in sillabe come nello scat, sottolineate con la partecipazione del corpo, le movenze delle mani, il sorriso della bocca «grande grande grande». Ci sono canzoncine - «Tintarella di luna», «Una zebra a pois» - che lei trasforma in classici, come Ella Fitzgerald con «A-tisket a-tasket», le parole si rompono, sono suono. Non a caso, quando è ancora Baby Gate, inizia con «Be bop a lula». Agli esordi la voce di Nostra Signora della canzone è garrula, argentina, da bambola dominatrice, signorina per bene che ha scelto la cattiva strada, sofisticata ma sfacciata. Il virtuosismo inarrivabile («Le mille bolle blu») è così irresistibile che la salva: nel ’61 la sua relazione con Corrado Pani esplode sui rotocalchi, nel ’63 lei resta incinta: «Attendo un figlio», racconta a «Gente», «spero che la gente che sa che cos’è l’amore, soprattutto le donne che amano, mi comprendano». La Rai la sostituisce a «Studio Uno» con Rita Pavone, l’ex moglie di Pani la denuncia per concubinaggio. Ma il processo pubblico termina quando nasce Massimiliano, anzi Paciughino. «È l’uomo per me», ringhia la Tigre, mettendo a tacere beghine e benpensanti. Le storie d’amore (Martelli, Crocco, Cerruti, sino a Quaini) vanno, Voce e corpo s’impongono in tv: «Brava, brava, sono tanto brava». Dopo aver sovvertito la melassa sentimental-nazional-provinciale, Mina è voce allo specchio, ugola-narciso che cancella il proprio corpo, si fa fantasma del palcoscenico. Così vicina e così lontana dal caro angelo Lucio Battisti annuncia l’addio alle scene nel 1972, con una serie di concerti estivi alla Bussola di Marina di Pietrasanta, di cui rimane una mitica registrazione del 16 settembre. Ma nel ’73 si fa vedere negli spot della cedrata Tassoni, a cui non rinuncerà fino al ’77, e canta «Lamento d’amore» in tv, nel ’74 cesella «Milleluci» complice Raffaella Carrà e nella sigla intona con presagio: «Non gioco più, me ne vado davvero». L’addio è lento, progressivo, ci sono ancora spot e programmi radio, mentre lei, dal buen retiro di Lugano, impara a giocare con i giornalisti che la attendono al varco come il gatto con il topo. E incide dischi buoni, così così, capolavori, sempre meglio cantati. Firmati da carneadi e caposcuola. Di successo e non. In italiano, inglese, francese, spagnolo, napoletano. Da sola, con partner illustri, come Celentano. Piano piano il fantasma diventa meno evanescente, firma articoli, dice come la pensa, appare on line. Ma resta fedele a se stessa, Voce senza tempo che ha anche il suono orgoglioso di un corpo corrotto. A settant’anni è facile accettarlo, lei l’ha fatto molto prima, lasciando l’ugola a tutti e il privato (il «personale» che era «politico») solo a se stessa e garantendosi anche la più straordinaria, e gratuita, e duratura, campagna pubblicitaria.

Federico Vacalebre

www.ilmattino.it