“Stories of Surrender”: Bono e l’arte di togliersi la maschera
Abbiamo visto in anteprima il film “solista” del cantante degli U2 - e ne abbiamo parlato con lui
Di Gianni Sibilla
“Il rock and roll dipende molto dall’artificio, dipende dall’atteggiamento, e io sono sempre stato molto bravo in questo”, racconta Bono a Rockol in collegamento via Zoom da Cannes. È al Festival del cinema per presentare “Stories of Surrender”, il film in cui prova a fare esattamente l’opposto di quello che fa con gli U2: nessun oggetto di scena, nessun effetto speciale, solo storie e canzoni, senza maschera, senza artifici.
Il film è diretto da Andrew Dominik – che ha lavorato con Nick Cave – ed arriva su Apple TV+ il prossimo 30 maggio, anche in una versione immersiva per Apple Vision.
Lo abbiamo visto in anteprima, ne abbiamo parlato con lo stesso Bono via Zoom – l’intervista completa di Rockol verrà pubblicata tra qualche giorno.
Intanto però c’è da raccontare il film, che trasforma il tour teatrale in un racconto per immagini che unisce il concerto al teatro, all’opera e alla psicanalisi di fronte a un pubblico. È stato girato in parte a New York, in parte nella data finale al Teatro San Carlo di Napoli che vi avevamo raccontato due anni fa.
“Stories of Surrender” è stato mostrato ieri sera in anteprima in un evento speciale a Cannes: “Ho dormito su quella spiaggia, ho fatto ogni genere di cose in questa città e non mi sono mai sentito lontano da Dio. Forse solo un paio di volte”, scherza Bono – che dice di non sentirsi affatto un attore, e che per girare questo film ha imparato a smettere di recitare.
Lo showman decostruisce la sua immagine
Bono nel film racconta la sua storia e le relazioni umane che lo hanno formato: il rapporto complesso con il padre, la moglie Ali che ha conosciuto la stessa settimana in cui sono nati gli U2. Al cuore di questo progetto solista c’è la volontà di Bono di decostruire la sua immagine, di uscire dallo stereotipo della rockstar-superuomo, di mostrare le sue ferite e le sue insicurezze.
Ma anche questa volta ha fatto le cose in grande. “Surrender”, l’autobiografia uscita tre anni fa, è diventata prima un audiolibro con sound design e canzoni, che poi sono confluite in un album acustico degli U2. Poi ancora un book tour, che è diventato uno spettacolo solista – il primo della sua carriera – che ha girato America ed Europa. Che è diventato questo film, che a sua volta diventa una nuova versione del libro – che esce solo nei paesi anglosassoni, e più fedele alla storia “solo palco”. Ma libro, spettacolo e film cominciano tutti con la stessa scena: Bono su un tavolo operatorio, con il cuore che rischia di cedere, con l’aria che manca e la fede che vacilla.
Andrew Dominik, che arriva dai film crudi ed essenziali di Nick Cave che elabora il lutto della morte del figlio, trasforma il tour teatrale di Bono in un racconto ibrido, in cui racconto teatrale e performance musicali si fondono, ripresi con un bianco e nero duro, come dura è l’autoanalisi di Bono. Sullo spettacolo passato sono innestati dei monologhi che rompono la quarta parete, con Bono che si rivolge direttamente ai suoi spettatori, facendoli entrare nella sua mente. “Mentre filmavamo, Andrew Dominik, il regista, mi diceva sempre: ‘Smettila. Stai recitando. Smetti di recitare’. Mi ha spinto verso una performance veritiera, per esempio quando racconto la morte di mio padre”, racconta Bono a Rockol.
Le canzoni come frammenti di una confessione
Chi si aspetta un classico concert-film si troverà spiazzato: la musica live c’è ed è notevole, ma è al servizio del racconto. Non c’è il pubblico dei palazzetti e degli stadi in cui si muovono gli U2. C’è invece un uomo – non solo una rockstar – che ha deciso di raccontare se stesso, tra parole, immagini e canzoni che diventano confessione, quasi una seduta di psicanalisi in cui racconta il rapporto con il padre, con la moglie, con gli altri membri della band.
“Stories of Surrender” è soprattutto questo: una confessione. Di un uomo che ha passato la vita a costruire una mitologia – quella degli U2, quella dell’attivista globale, quella del performer – e che adesso cerca di smontarla, pezzo per pezzo, per vedere cosa rimane sotto.
Rimanendo nel campo musicale, le canzoni spesso non sono eseguite per intero. Ma il lavoro è notevole: classici degli U2 riarrangiati da Jacknife Lee (produttore di R.E.M. e Snow Patrol), con il violoncello di Kate Ellis e l’arpa di Gemma Doherty al posto della chitarra elettrica. Brani come “With or Without You”, “Where the Streets Have No Name”, “Desire” vengono decostruiti come l’immagine di Bono. L’effetto, in alcuni momenti, è ipnotico. In altri, straniante: il confine è sottile, e “Stories of Surrender” lo percorre con intelligenza.
Tre di queste canzoni usciranno in un EP digitale il 30 maggio: "Sunday bloody sunday", " Desire" e "The showman", che chiude il film e che si può già ascoltare ora
New York, Napoli e un finale da film
Il grosso del film è stato girato al Beacon Theatre di New York, durante la residency americana del tour, con un pubblico in piedi. Ma ci sono inserti significativi girati al Teatro San Carlo di Napoli, nella data finale del tour: il più antico teatro d’opera del mondo, un luogo che dà un’atmosfera unica alla storia, in particolare al finale: Bono che canta “Torna a Surriento”. È la redenzione finale, Bono che rende omaggio al padre, finalmente con quella voce da tenore che il padre, a sua volta cantante, gli aveva sempre rimproverato di non avere. È il momento in cui il film, da bianco e nero, passa a colori, inquadrando la platea del San Carlo. Poi la telecamera porta lo spettatore sul tetto del teatro con una vista di Napoli e della marina di Sorrento. Sui titoli di coda, Bono canta “The Showman” nel teatro vuoto. Tornando a indossare quella maschera che per un’ora e mezza si è tolto.
“Surrender” è la parola chiave
“Surrender” non è solo una parola chiave di diverse canzoni di Bono, a partire da “Bad”, una delle più belle degli U2. Non è il titolo del libro, del tour e ora del film. È la parola chiave: non significa solo resa, ma abbandono, accettazione, lasciar andare. Bono la usa per raccontare tutto quello ciò a cui ha dovuto rinunciare – il controllo, la retorica, la distanza – per arrivare a parlare in prima persona. E lo fa con una lucidità che, almeno a tratti, disarma.
E allora, alla fine, “Stories of Surrender” funziona? Sì, se si accetta il gioco attraverso cui autoanalisi e spettacolo si fondono. È una narrazione costruita, certo, ma sincera nella sua costruzione. Come il miglior Bono: teatrale e istrionico, ma intenso e coinvolgente.
“Ho intitolato tutto questo ‘Surrender’ non perché capissi cosa volesse dire questa parola”, racconta, “O perché sapessi come metterlo in pratica, ma perché sapevo di dover affrontare questo tema”, conclude Bono
Il rapporto con gli altri U2, Springsteen come fonte di ispirazione, il rock ’n’ roll come una chiesa e l’assurdità della fama: L’intervista completa di Rockol a Bono verrà pubblicata nella settimana di uscita di Stories of Surrender, che arriva il 30 maggio su AppleTV+