Fabi: “Lo sguardo da bambino si conserva con le avventure”
Fabi: “Lo sguardo da bambino si conserva con le avventure”
Il cantautore racconta “Libertà negli occhi”, nato tra le montagne della Val di Sole. L’intervista.
Di Claudio Cabona
Per Paolo Sorrentino, ne “La grande bellezza”, la felicità, a volte, può nascondersi in un ricordo di gioventù. Per Niccolò Fabi, tra le pieghe del tempo, invece si possono trovare granelli di libertà perché il sentimento giocoso adolescenziale è capace di mettere le ali alla scrittura di nuova musica. “Libertà negli occhi”, il suo nuovo album in uscita il 16 maggio, profuma di tutto questo: avventura, condivisione, naturale propensione a non seguire sentieri già battuti. Il progetto è figlio di una vera residenza artistica avvenuta tra i laghi, la neve e le montagne della Val di Sole in Trentino. Il cantautore ha voluto con sé dei compagni di viaggio che ha scelto per la realizzazione del disco: Roberto Angelini, cantautore e suo ventennale compagno di musica, il raffinato cantautore Alberto Bianco e il batterista Filippo Cornaglia, con cui condivide il palco e collabora da quasi dieci anni, Emma Nolde, nuova perla del cantautorato italiano, Cesare Augusto Giorgini, cantautore e producer conosciuto grazie all’esperienza all’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini dove Fabi insegna. Scorrendo le foto di quel periodo, una di queste è diventata la copertina, sembra di rivedere i CSI.
“Quando facevano viaggi pazzeschi, come quello in Mongolia? – sorride Fabi – beh, sì, noi abbiamo vissuto un’analoga ‘condivisione in viaggio’. Viaggio verso una meta che nessuno di noi conosceva. Quindi eravamo più recettivi. Nella nostra chat, prima di partire, ci siamo chiesti di tutto: portiamo il sacco a pelo? La pistola per spaventare gli orsi? Ognuno alla fine ha optato per tanti strumenti diversi. L’aria era elettrica, stavamo per vivere un’avventura, e questo si percepiva di più rispetto all’idea di registrare un disco. All’album, l’ascoltatore troverà allegato un libro fotografico per rivivere quel viaggio con noi”. Quanto è nato lì, in quella condivisione, e quanto era stato pre-costruito? “Sarebbe bello poter dire ‘è nato tutto lì’, ma sarebbe stato impossibile – prosegue Fabi – io mi ero portato dietro 4-5 canzoni più o meno finite, 3-4 cose registrate non convincenti e mozziconi di frasi qua e là. Ero consapevole che avrebbe potuto esserci una jam magica da cui far nascere qualche cosa, come no. Quindi ho portato con me pezzi come ‘Acqua che scorre’ che, nei momenti in cui non nasceva nulla, poteva diventare un punto per ritrovare un equilibrio. Ma qualcosa di totalmente inedito è arrivato, e in questo blocco c’è anche la mia canzone preferita…”.
Si tratta di “Alba”, che ricorda i Sigur Rós, le atmosfere ghiacciate della loro Islanda: si fonda su un’elettronica distesa e su un’unica frase mantra, “Io sto nella pausa che c’è tra capire e cambiare”. È uno dei gioielli nati completamente tra quelle montagne. “Non poteva che nascere lì – ammette Fabi – è un pezzo post rock che mi riporta a band che amo come i Mogwai. Prima di partire, c’eravamo fatti una playlist di artisti che ci mettessero d’accordo e tutto quel mondo era presente. È stato il primo pezzo che abbiamo registrato. È il mio ideale di canzone: parole pochissime, immaginazione al massimo. Io vorrei sempre più scomparire con le mie storie e lasciare all’ascoltatore la possibilità di volare, di costruire il suo racconto. Andrò sempre di più verso quella direzione”. Il disco, in più momenti, riavvolge il nastro della vita del cantautore, parla di adolescenza, di dialogo tra generazioni, c’è interazione tra il Fabi di oggi e quello di ieri. E questo è stato possibile anche grazie alla dimensione “gioco” affrontata durante la lavorazione.
“Abbiamo vissuto il tutto come una grande gita di classe – ammette – questa impostazione ha avuto un peso, esattamente come l’hanno avuta i brani che avevo in testa o che sono nati lì, legati alla dimensione della gioventù. Ma sempre in maniera né nostalgica, né distaccata. Lo sguardo cristallino di un bambino, che nel tempo si corrompe, si può conservare vivendo avventure, testimoniando la propria libertà. Io ho voluto fare questo: difenderlo. Emma Nolde ha rappresentato il me stesso di trent’anni fa, averla accanto mi ha aiutato tantissimo a creare un dialogo tra generazioni, esattamente come la presenza di Cesare Augusto Giorgini, che è stato un mio alunno alla Pasolini”. “È finita la pace” di Marracash e “Ranch” di Salmo nascono da un momento di isolamento: staccare la spina dalla frenesia dell’oggi può riaccendere la creatività? “Sono sempre stato uno da telescopio, con cui guardare le cose da distante – conclude Fabi – ho vissuto in campagna a lungo. Sono sempre stato sereno fuori dalla macchina, ed è un ruolo che ho voluto e cercato. Gli artisti che sono stati citati sono dentro il mercato per i numeri giganti che fanno, possono staccarsene per un po’ perché soffocati, ma poi devono tornare dentro certe dinamiche. Io no”.