MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Dieci canzoni che parlano del lavoro

Bruce Springsteen - Factory
Springsteen è un eroe, un portavoce della “working class”, colletti bianchi e ancor più colletti blu.

Il lavoro, soprattutto quello manuale è sempre stato parte del mondo springsteeniano, un lavoro che non soddisfa, un lavoro da cui poter evadere, che diventa però necessità e spesso vissuto come obbligo, routine.

Ed è proprio quest’ultima che racconta “The Factory” (La fabbrica). la storia di un blue collar, di un padre alle prese con la routine quotidiana del rito di preparazione e del lavoro. È un brano sostanzialmente “senza speranza”, una visione “adulta” della vita lavorativa e dei suoi guai
(“la fabbrica si prende il suo udito
la fabbrica gli dà la vita”)


Il brano è estratto da “Darkness on the edge of town” (1978) e il suo incipit dice così:

La mattina presto suona la sirena della fabbrica
L'uomo si alza dal letto e si veste
prende il suo pranzo, esce alla luce del mattino
È il lavoro, il lavoro, solo vita di lavoro

La canzone poi si conclude con l’uscita dai cancelli della fabbrica ma senza felicità e molta accettazione


Gli uomini varcano di nuovo i cancelli
con la morte negli occhi


Nel successivo album “The River” la storia narrata nella tittle track fa riferimento al lavoro come momento rituale della vita, strumento necessario per il protagonista al mantenimento della sua Mary appena sposata perché incinta, salvo poi finire disoccupato per la chiusura della ditta di costruzioni in cui il protagonista aveva trovato impiego.


Diverso invece è l’approccio del rock’n’roll di “Working on the highway” dove il protagonista è un operaio che lavora sulle autostrade

Lavoro sull’autostrada spianando l’asfalto
lavoro sull’autostrada tutto il giorno senza sosta
lavoro sull’autostrada rompendo il manto stradale

L’attacco della canzone è però ben diverso rispetto a “The Factory”. Bruce infatti dice

Venerdì sera è giorno di paga
i ragazzi escono allegri dal lavoro
parlando del weekend
e grattandosi via lo sporco
alcuni andranno dalle loro famiglie
alcuni in cerca di guai”

e poi fa dire al protagonista

Tutto il giorno impugno una bandiera rossa
e guardo il traffico che mi sfreccia accanto
nella mia testa ho l’immagine di una ragazzina carina
un giorno, amico, farò una vita migliore di questa.


Segue la fuga in Florida per una vita migliore con l’amata ma lei è molto giovane e il protagonista finisce nei guai. C’è speranza ma alla fine anche questa svanisce.


Maggie’s Farm - Bob Dylan
Dalle fabbriche e dal lavoro sulla strada di Springsteen ci spostiamo alla fattoria di Bob Dylan. “Maggie’s Farm” è un brano dell’album “Bringing It All Back Home” pubblicato nel marzo 1965, il primo disco in cui Mr Zimmerman lascia il folk e che precede di pochi mesi la famosa svolta elettrica di Newport che vide questa canzone in apertura di scaletta.

In “Maggie’s Farm”, come spesso capita con le canzoni di Bob Dylan i piani di lettura possono essere molteplici. Il primo, il più immediato, è sicuramente quello che parla di lavoro o, meglio, di sfruttamento, quasi schiavistico a cui viene sottoposto il protagonista del brano che subisce vessazione ed angherie da parte dei vari componenti della famiglia proprietaria della fattoria, a partire proprio da Maggie. Il brano ha la struttura ripetitiva del blues e quindi delle canzoni di lavoro.


Non voglio più lavorare nella Fattoria di Maggie
No, non voglio più lavorare nella Fattoria di Maggie
[....] è una vergogna il modo in cui mi fa strofinare il pavimento

E così per il fratello, il padre e la madre di Maggie, ognuno dei quali sottopone il protagonista ai propri voleri e arbitrarie vessazioni.

La strofa finale contiene le conclusioni di quanto raccontato

Non voglio più lavorare nella Fattoria di Maggie
Beh, ho fatto del mio meglio
per essere ciò che sono
ma tutti vogliono che tu
sia proprio come loro
cantano mentre mi schiavizzano e ciò m'infastidisce

Ma queste parole aprono anche agli altri significati della canzone. Qualcuno ci legge il rifiuto di Dylan di essere considerato il folksinger di protesta e il suo dover per forza far i conti con quel “personaggio”, ruolo da cui rifugge platealmente con il concerto di Newport.

Ma ancora ci può essere un ulteriore significato: una protesta contro la società, la sua “violenza” di classe e la continua omologazione a discapito di una libertà di scelta.


Noi, in questa occasione, ci limitiamo a considerare il suo aspetto di “work song” consci che Dylan non è mai univoco.



9 to 5 - Dolly Parton
Con questa canzone di Dolly Parton ci spostiamo negli uffici, dove lo standard lavorativo va dalle 9 alle 17 (soprattutto nel periodo in cui fu scritta la canzone).

Parton l'ha composta per l'omonimo film del 1980 (in Italia uscito come “Dalle 9 alle 5...orario continuato“). La pellicola, che rappresentava il debutto della cantante country come attrice, vede protagoniste Jane Fonda, Lily Tomlin e Dabney Coleman e tratta della vita (al femminile) in un ufficio americano. La Parton scrisse la canzone durante le riprese del film.

In un'intervista del 2009 la autrice ha parlato dell'incredibile ispirazione per questa canzone: le sue unghie. Aveva unghie molto lunghe, acriliche e scoprì che sfregandole tra loro riusciva a creare un ritmo che sembrava quello di una macchina da scrivere e, dato che il film parlava di segretarie, riuscì a usare quel suono per comporre la canzone sul set. Ha persino “suonato” le sue unghie come parte del suono delle percussioni quando ha registrato il brano.


Sia il film che la canzone "9 to 5" denunciavano la disparità di genere sul posto di lavoro con le protagoniste femminili che affrontano il loro capo stereotipato e denigratorio. Il film, con una grande forza comunicativa, era comico in modo da permettere al suo messaggio di raggiungere un pubblico di massa.

La canzone ha un tono leggero che si adatta al film, ma il testo racconta di una condizione valida per molte donne:

Usano solo la tua mente e non ti danno mai credito
È abbastanza per farti impazzire se glielo permetti.

In diversi momenti della canzone si sente il suono di alcuni colpetti seguiti da un campanello. Si tratta del suono di una macchina da scrivere, che nel 1980 era lo strumento di lavoro delle segretarie. La campanella indicava alla dattilografa che si stava avvicinando alla fine della pagina e che doveva riportare il carrello a sinistra e iniziare una nuova riga.

La canzone raggiunse il primo posto nelle classifiche country e nel febbraio 1981 anche quello delle chart pop e adult-contemporary, ottenendo così un triplo numero uno. La Parton divenne una delle poche cantanti country ad avere un singolo al numero uno nelle classifiche country e pop contemporaneamente.




Career Opportunities - The Clash
Sicuramente i Clash sono stati un’evidente espressione del proletariato giovanile dell’Inghilterra a cavallo tra i ’70 e gli ’80, periodo non certo facile per il Regno Unito.

Da rappresentanti di una classe sociale spesso disagiata i Clash hanno dato la loro visione del lavoro volgendo lo sguardo verso la disoccupazione (anche questa fa parte del mondo del lavoro) e quello che oggi viene definito “lavoro povero”. Tutto questo lo hanno racchiuso nel testo di “Career Opportunities”, un lavoro senza prospettive, che critica la cultura che demonizza i disoccupati, suggerendo che accettare un lavoro di basso livello, mal pagato sia meglio che rimanere disoccupati.

Mi hanno offerto l'ufficio, mi hanno offerto il negozio
Hanno detto che avrei fatto meglio a prendere tutto quello che avevano

Mick Jones, chitarrista della band, in un'intervista all’epoca ha espresso il suo disappunto riguardo all'idea che qualcuno debba svolgere lavori sporchi e umili, sottolineando come la tecnologia avesse ridotto la necessità di lavoro manuale. Ha anche parlato dello stigma sociale associato alla disoccupazione, notando che molti giovani, soprattutto nel nord dell'Inghilterra, si sentivano in imbarazzo per la loro condizione.

Alcuni versi della canzone, in particolare "I won't open letterbombs for you", sono ispirati dall'esperienza di Jones come addetto all’apertura della posta in un periodo di alta allerta terroristica e di “pacchi bomba”.

La sintetica canzone (in perfetto stile punk) è stata scritta rapidamente, in circa mezz'ora, durante una prova e inizialmente doveva contenere anche dei concetti riguardanti le pensioni, che alla fine sono stati esclusi. "Career Opportunities" è stata registrata in diverse versioni prima di essere inclusa nel loro album di debutto del 1977. Una versione remixata, completamente diversa dall'originale, è apparsa nell'album "Sandinista!" del 1980.



Working in the Coal Mine - Lee Dorsey
Quella di Lee Dorsey è una figura appropriata per sintetizzare il binomio musica-lavoro. Infatti il cantante americano di New Orleans (1926/1986) prima di stare davanti a un microfono lavorava in una carrozzeria e lì è tornato dopo l’esperienza nel mondo musicale (con un discreto successo). Era quindi “titolato” a cantare di lavoro manuale, non che il cantante, l’artista non sia un lavoro.

Dietro le sue canzoni, ai suoi successi, c’era un gigante della scena di New Orleans, Allen Toussaint (1938/2015) che nel 1965 scrisse una prima canzone per Dorsey intitolata "Work, Work, Work" che ben si adattava alla sua condizione di cantante e lavoratore e che racconta di una persona alla ricerca di un lavoro, qualunque esso sia.



Ma il picco del successo per Dorsey arriva l’anno successivo nel 1966 con "Workin' in a coal mine”, sempre firmata da Toussaint.

Si sa, l'estrazione mineraria è un lavoro molto sgradevole e la canzone riguarda la sofferenza di un uomo che si alza ogni mattina prima delle 5 per lavorare in una miniera di carbone, cinque giorni alla settimana, dove le condizioni sono molto dure e pericolose, ma è l'unica prospettiva di un impiego retribuito. In sottofondo cadenzato il rumore di quello che sembra un piccone che picchia sulla roccia. Il cantante chiede ripetutamente al Signore: "Fino a quando potrà andare avanti?" e si lamenta che quando arriva il fine settimana è troppo esausto per divertirsi.

Curiosità: nel 1981 i Devo fecero una cover del brano inclusa nella colonna sonora del film d'animazione “Heavy Metal”. La loro versione raggiunse il numero 43 negli Stati Uniti.



The Banana Boat Song (Day-O) - Harry Belafonte
Andiamo ancora più indietro nel tempo, nel 1956, anno in cui Harry Belafonte (portavoce musicale della cultura caraibica) portò al successo, con una sua versione, “The Banana Boat Song”.

Si tratta di una canzone tradizionale giamaicana che veniva cantata dai lavoratori portuali che lavoravano tutta la notte per caricare le banane sulle navi. Quando si fa giorno attendono l’ok del tally man (che farà l'inventario delle banane stivate) per poter tornare a casa.

Belafonte ha eseguito questa canzone per la prima volta in televisione, come guest star della terza stagione del Muppet Show. Durante l'esibizione, spiegò il significato del tally man a Fozzie Bear: "è il ragazzo che conta le banane quando vanno nella stiva della nave".

In un'intervista rilasciata Belafonte ha dichiarato: "La cosa più importante per me di 'The Banana Boat Song' è che prima che l'America la sentisse, gli americani non avevano alcuna nozione della ricca cultura dei Caraibi. Pochissimi la conoscevano e c'era della prevenzione culturale sulle persone provenienti dai Caraibi, che in molti ritenevano bevitori di rum, sessuomani e pigri e non che fossero coltivatori della terra, raccoglitori di banane per i proprietari delle piantagioni. Ho pensato: Lasciatemi cantare una nuova definizione di queste persone. Lasciatemi cantare una classica canzone di lavoro, che parla di un uomo che lavora tutta la notte per una somma pari al costo di una bottiglia di birra, un uomo che lavora tutta la notte perché fa più fresco che di giorno."

Lavorare tutta la notte con un drink di rum
La luce del giorno viene e io voglio andare a casa
Impilare banane fino al mattino
La luce del giorno viene e io voglio andare a casa

Vieni, Mister tally man, tally me banana
La luce del giorno viene e io voglio andare a casa



Prima di spostarci sulle canzoni italiane ci sono da segnalare (almeno) altri tre brani dal panorama internazionale:

“Matthew And Son” di Cat Stevens,
“Rox In The Box” dei Decemberist (ancora sul lavoro in miniera) e
“She Works Hard For The Money” di Donna Summer (storia reale dell’incontro tra l’artista e la donna delle pulizie di un bagno che faceva più lavori per mantenersi)

Una miniera - New Trolls
Qui si scende nuovamente in miniera con una drammatica canzone del 1969 firmata dal gruppo genovese con il testo di Giorgio D’Adamo.

Il brano, in cui lavoro, amore, speranza e morte (sul lavoro) si mescolano, fu ispirato dalla tragedia della miniera di Marcinelle in Belgio dove per un incidente l’8 agosto 1956 trovarono la morte 262 lavoratori sui 275 in turno in quel momento. Molti di questi minatori erano italiani emigrati per poter lavorare.

Negli occhi, nel cuore c′è un vuoto grande più del mare
Ritorna alla mente il viso caro di chi spera
Questa sera come tante in un ritorno

Tu quando tornavo eri felice
Di rivedere le mie mani
Nere di fumo, bianche d'amore

Ma un′alba più nera, mentre il paese si risveglia
Un sordo fragore ferma il respiro di chi è fuori
Paura, terrore, sul viso caro di chi spera
Questa sera come tante in un ritorno

Io non ritornavo e tu piangevi
E non poteva il mio sorriso
Togliere il pianto dal tuo bel viso



Il minatore di Frontale - Davide Van De Sfroos
A Frontale, frazione di Sondalo, in Valtellina, nella provincia di Sondrio, il lavoro di minatore è tradizione familiare. Da parecchi decenni gli abitanti di quel paese scavano la quarzite nelle viscere della terra. Un duro lavoro, ma di cui gli abitati del paese sono ormai dei maestri e così lo stare in miniera ha dato loro l’occasione per lavorare in giro per il mondo, ma sempre sotto terra.

Di questa storia, questa dura tradizione, Davide Van De Sfroos, cantore delle zone, ne ha fatto canzone. Un testo molto poetico dove i ricordi reali sono l’elemento narrativo, uniti alla consapevolezza della durezza di quel lavoro, visto con gli occhi di chi lo stare in galleria lo ha fatto per una vita tra rischi di crolli e malattie professionali.

Molto toccante il verso in cui un ex minatore riflette:

voglio guardare il sole me lo son meritato
prima di ritornare dove son sempre stato
fin quando tornerò dove son sempre stato

Il brano ha anche una ripetizione onomatopeica della parola “Pica!” (picchia, riferito allo scavo), parola che dà anche il titolo al disco del 2008 che contiene il brano.

Il cantautore lombardo Davide Van De Sfroos spesso ha toccato nelle sue canzoni il tema del lavoro raccontando (più volte) dei contrabbandieri, figura epica della sua zona di confine con la Svizzera, del portiere del Grand Hotel, del guidatore della corriera, del camionista ma anche del costruttore di motoscafi, tutte storie legate alla tradizione popolare della sua terra.



Vincenzina e la fabbrica - Enzo Jannacci

Nel 1974 esce il film “Romanzo popolare” con la regia di Mario Monicelli, nel 1975 esce il nuovo album di Enzo Jannacci: il bellissimo (a tratti triste) “Quelli che…”.

Il legame tra queste due opere d’arte è stretto intorno alla canzone “Vincenzina e la fabbrica” un brano firmato da Enzo Jannacci e Beppe Viola, giornalista sportivo RAI e all’epoca grande amico (amicizia poi terminata) del cantautore milanese, scritto per la colonna sonora del film.

“Vincenzina e la fabbrica” è un brano intriso di tristezza, una presa di coscienza di un’operaia di fronte al suo posto di lavoro, utile ma spersonalizzante, luogo di sofferenza ma anche di sostentamento per quanto disumanizzante (torna ciò che racconta Springsteen).

Vincenzina vuol bene alla fabbrica,
e non sa che la vita giù in fabbrica
non c'è, se c'è com'è ?



Saluteremo il signor padrone
Nella nostra tradizione musicale spesso le canzoni che parlano di lavoro sono anche canzoni di protesta, di denuncia di sfruttamento o di pessime condizioni di lavoro. Esempio in questo senso è la vecchia e ricca tradizione folcloristica dei canti delle mondine. Spesso durante le lunghe giornate della raccolta del riso le lavoratrici intonavano canti per alleviare il lavoro ma anche per denunciare le loro condizioni.

Una delle composizioni che ha passato il tempo e che, oggi forse un po’ dimenticata, ha accompagnato altre stagioni musicali del pop rock è “Saluteremo il signor padrone”

Saluteremo il signor padrone
Per il male che ci ha fatto
Che ci ha sempre maltrattato
Fino all'ultimo momen'
Saluteremo il signor padrone
Per la sua risera neta
Pochi soldi in la casseta
Ed i debiti a pagar

Macchinista macchinista faccia sporca
Metti l'olio nei stantuffi
Di risaia siamo stufi
A casa nostra vogliamo andar

Con una struttura ripetitiva ed accrescitiva tipica delle work song il brano fu portato al successo, fuori dal suo contesto, da Giovanna Daffini ma molte altre versioni ne seguirono, tra cui quella di Giovanna Marini, poi reinterpretata con Francesco De Gregori nell’album comune “Il fischio del vapore” (album di canti popolari). Ci furono poi le versioni dei più “barricaderi” Gang e Modena City Ramblers. Ma c’è anche la versione di Anna Identici.

Ma il brano ebbe anche una sua lettura rock a cura di Eugenio Finardi che la eseguì in chiave elettrica con la sua band per includerla nel suo primo album “Non gettate alcun oggetto dai finestrini” del 1975, con un piccolo aggiustamento del testo in cui si parlava anche di lavoro in fabbrica.



Il lavoro - Piero Ciampi
Chiudiamo con la segnalazione di un brano jazz dal repertorio del mai sufficientemente ricordato Piero Ciampi. Cantante, poeta, pittore, Ciampi visse una vita ai margini, pieno di difficoltà con problemi di dipendenza e una tendenza all’autodistruzione. Una vita segnata dalla mancanza del riconoscimento del suo vero valore artistico.

Tra i temi che trattò Ciampi ci fu anche quello del lavoro con cui il poeta livornese ebbe, nella sua forma “tradizionale”, in una visione perbenistica della società, un rapporto molto difficile.

“Il lavoro”, contenuta nell’album del 1973 “Io e te abbiamo perso la bussola”, è la visione poetica della vita lavorativa difficile, sbandata, precaria, sempre sul filo in attesa di un lavoro che non arriva. Ed allora il poeta rifugge (come spesso capita nei testi di Ciampi) nell’amore (anch’esso alla fine fonte di malessere) e nella fuga.

Il lavoro? Ancora non lo so
Mi hanno preso? Non mi hanno detto niente
E allora? Ti ho detto, non so niente
E allora? Allora non lo so

La canzone è anche un’occasione di critica sociale, così come lo sarà la successiva “Andare camminare lavorare”. Ma le difficoltà lavorative, la mancanza di soddisfazione e la voglia di non essere allineato vengono traslate poi nella sfera personale e nella vita dell’artista abbattendo i confini tra realtà ed arte.