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Chiello: “Ascolto Buscaglione: i nuovi cantautori mi deludono”

Chiello: “Ascolto Buscaglione: i nuovi cantautori mi deludono”
L'intervista all'ex trapper riscopertosi (wannabe) rockstar: "Sono un verme, come i miei fan".

Di Mattia Marzi

Ascolta solo cantautorato «vecchio», perché «quello nuovo fa cagare». Ha scritto una canzone contro i suoi discografici, perché «vogliono che scriva canzoni leggere», ma la leggerezza proprio non gli appartiene. Del resto, ha scelto di aprire il suo nuovo album, “Scarabocchi”, uscito oggi a distanza di due anni dal precedente “Mela marcia” e a quattro da quell’”Oceano paradiso” che segnò la sua svolta da (ex) trapper pentito - dopo gli esordi con gli FSK Satellite, il controverso trio che componeva insieme a Sapobully e Taxi B - a wannabe rockstar del nuovo cantautorato italiano, con una canzone, “Insetti”, il cui primo verso recita: «Uno di questi giorni mi ammazzerò». Le apparenze ingannano: dietro il volto spesso imbronciato e ricoperto di tatuaggi di Chiello, vero nome Rocco Modello, classe 1999, si nasconde un’artista dotato di tanta sensibilità. Preso sotto la sua ala protettiva da quel Tommaso Ottomano che abbiamo visto all’ultimo Sanremo al fianco di Lucio Corsi, che ha affiancato Chiello nella scrittura e nella composizione dei 13 brani di “Scarabocchi”, nel nuovo disco il cantautore flirta con il rock italiano degli Anni Duemila, l’indie e pure con lo swing, duettando con Rose Villain su “I miei occhi erano i tuoi” e con Achille Lauro su “Succo d’ananas”.

Nel tuo ultimo album c’erano riferimenti ai Verdena e nelle interviste di quel periodo citavi tra i tuoi ascolti preferiti gli Underground Youth, band indie-alternative di Manchester. Stavolta l’ispirazione da cosa ti è arrivata?
«Un riferimento vero e proprio non c’è stato. Non c’era neppure in “Mela marcia”, ad essere onesto: nelle interviste sparai a caso dei nomi di artisti che ascoltavo in quel periodo (ride). Nelle canzoni di “Scarabocchi” mi sono avvicinato al cantautorato italiano. Quello vecchio, perché quello nuovo fa cagare».


Onesto. Quando parli di “vecchio cantautorato” a chi ti riferisci?
«Gino Paoli, Luigi Tenco. La scuola genovese. Ci metto dentro anche Piero Ciampi, che anche se era di Livorno frequentava quel circuito. Ho studiato i loro dischi, mi sono fatto una cultura».

Cosa ti affascina?
«La cruda verità che c’era nella loro musica. C’era sincerità, sensibilità».

Nelle canzoni di oggi, invece, cosa senti?
«Non saprei. Ascolto poco. E quel poco che ascolto mi fa sentire deluso. Magari è un limite mio, ma trovo più fascino nelle canzoni del passato che in quelle di oggi».

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In che modo pensi di aver alzato l’asticella con “Scarabocchi”?
«“Oceano paradiso” e “Mela marcia” li scrissi da solo in cameretta in periodi in cui uscivo solo per fare la spesa, chiudendomi in casa per mesi. Stavolta ho lavorato con una squadra, quella composta da Tommaso Ottomano, Mr. Monkey (Matteo Novi, produttore, ndr), Fausto Cigarini. Un team perfetto, con il quale ho condiviso idee, spunti».


I discografici hanno rinunciato a chiederti di scrivere canzoni leggere, come canti in “Malibu”?
«Sì (ride). A volte hanno anche provato a farmi cantare cose scritte da altri. Mi sono rifiutato di farlo. Alla fine hanno capito come sono fatto. Ho un carattere difficile».

In effetti una canzone firmata da un collega c’è. In “Stupida anima” il tocco di Blanco si sente pesantemente. L’avete scritta insieme prima o dopo il post con il quale lo scorso anno lo accusasti di essere “troppo impegnato a guardare i tuoi numeri e a imparanoiarti sullo sviluppo della tua carriera”?
«Prima. Comunque dopo quella mia uscita ci siamo sentiti. Magari non siamo amici come prima, però».

“Voglio cambiare la musica italiana, ma mi sento solo”, hai detto. Ti senti ancora solo?
«Dico un sacco di cazzate comunque…».

Vabbè. Ti senti capito, Chiello?
«Mi sento visto».

Che vuol dire sentirsi “visto”?
«Qualcosa di positivo. È una bella sensazione. Tutti hanno bisogno di sentirsi visti, di sapere di esistere».


Okay. Tra i pezzi più sorprendenti c’è “Scintille”, uno swing stile Buscaglione. A chi ti sei ispirato?
«Ascoltavo proprio Buscaglione quando l’ho composto. È lui che ha fatto scattare qualcosa dentro di me. Ho ripreso il suo stile, le sue sonorità».


E il punk di “Succo d’ananas”, in duetto con Achille Lauro?
«È nato da una serata insieme ad Achille a casa sua. “Rolls Royce” ha segnato uno spartiacque nella musica italiana di questi anni».

Con Lucio Corsi, con il quale condividi il braccio destro, Tommaso Ottomano, non c’è stato modo di fare qualcosa?
«Ci siamo divertiti tante volte in jam sessions».

Con Rose Villain hai duettato, prima che nel disco, già a febbraio a Sanremo. Per caso avevi provato a partecipare?
«L’idea c’era. Ma alla fine non c’è stato l’atto pratico: non l’abbiamo presentato. Il pezzo, comunque, non è nel disco».


Te lo tieni per l’anno prossimo?

«No, no. Non è detto che io debba essere per forza su quel palco l’anno prossimo. Ci andrò quando avrò la canzone giusta».

Il 4 maggio partirà da Senigallia il tour nei club che poi farà tappa a Napoli (6 maggio, Casa della Musica), Roma (7 maggio, Atlantico), Milano (11 maggio, Alcatraz), Firenze (14 maggio, Teatro Cartiere Carrara), Nonantola (16 maggio, Vox Club), Padova (18 maggio, Gran Teatro Geox), Venaria Reale - Torino (19 maggio, Teatro Concordia. Un aggettivo per descrivere i concerti?
«Posso dare un’immagine».

Prego.
«Un verme che si gode la pioggia fino all’ultima goccia (è una citazione del testo di “Insetti”, ndr)».

Il verme sei tu?
«Sì. E anche tutti quelli che mi ascoltano».