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Afterhours: vent’anni di “Ballate per piccole iene”

Afterhours: vent’anni di “Ballate per piccole iene”
Il disco, che verrà celebrato con un tour, resta uno dei migliori della band. Ecco perché.


“Fra piccole iene anche il sole sorge solo se conviene”: una fotografia mai schiarita, indelebile, del cinismo e della mediocrità della società in cui viviamo. “Ballate per piccole iene”, uno degli album più rappresentativi della musica alternativa italiana, ottavo progetto degli Afterhours, resta uno dei migliori dischi della loro carriera: sarà ristampato in primavera in un’edizione speciale e celebrato con un tour ad hoc a partire da giugno. Per festeggiare i vent’anni dall’uscita, infatti, Manuel Agnelli ha deciso di tornare sul palco con la band di allora, composta da Andrea Viti (basso), Dario Ciffo (violino, chitarra) e Giorgio Prette (batteria). Perché “Ballate per piccole iene” è diventato, con il tempo, uno dei gioielli degli After? Quando è uscito, nonostante le ottime posizioni in classifica, ha patito il confronto con il suo glorioso predecessore, pubblicato tre anni prima, “Quello che non c’è”, e quindi non se ne è percepita subito la luce.



Ma questo è un po’ un classico dei fan degli After che, su diversi dischi in un primo momento criticati, si sono poi ricreduti. Quella di “Ballate per piccole iene” è una luce che oggi, infatti, è nitida e cristallina: “Ballata per la mia piccola iena”, il pezzo simbolo del disco, è diventato uno dei brani più ascoltati e amati della band. Su Spotify, in termini di ascolti, è secondo solo a “Non è per sempre” e ha oltre sei milioni di stream. L'album all'epoca è stato lavorato per la maggior parte del tempo negli studi del The Cave di Catania e coprodotto da Greg Dulli, ex leader degli Afghan Whigs, che ha anche registrato diverse parti del progetto e ha partecipato attivamente alla tournée successiva: il disco, come ha più volte spiegato Agnelli, è stato “figlio di un preciso periodo” e risulta essere musicalmente molto diverso da “Quello che non c’è”. È più oscuro, più reattivo e soprattutto black: proprio quest’ultimo elemento, percepibile in pezzi con ritmiche particolari come “La vedova bianca” o “Carne fresca”, che offre il titolo anche alla rassegna per nuovi talenti lanciata quest’anno da Agnelli, è figlio del tocco magico di Dulli, che ha portato la band verso un funk corrotto e dark. E in generale ha offerto un’iniezione di groove alla formazione.

Dentro ci sono altre perle: la strappacuore “Ci sono molti modi”, che Agnelli in carriera ha proposto più volte solo al piano, l’esplosiva “Il sangue di Giuda”, la psichedelica “La sottile linea bianca”, che apre la tracklist. C’è anche un pezzo più malinconico ed etereo, “Il compleanno di Andrea”, oltre a “Chissà com’è”, una delle canzoni meglio interpretate vocalmente da Agnelli e rimasta ingiustamente un gradino sotto, rispetto ad altre, nel percepito generale. L'album ha quattro copertine differenti che rappresentano le sagome dei componenti del gruppo con le loro compagne/mogli, tuttie le sagome sono state oscurate. Gli scatti sono stati curati da Guido Harari e da Thomas Berloffa. Sul fronte della classifica il disco superò il record del precedente “Quello che non c'è”, raggiungendo il secondo posto nelle graduatorie di vendita. Prima del tour negli Stati Uniti del 2006, sempre su spinta di Dulli, ne uscì anche una versione in inglese, “Ballads for Little Hyenas”, contenente un inedito.