MUSICA




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"Rimmel" ha 50 anni. Cosa ne pensano 18 cantautori

"Rimmel" ha 50 anni. Cosa ne pensano 18 cantautori
I colleghi di Francesco De Gregori dicono la loro sull'album

Di Franco Zanetti


Niccolò Agliardi

Ho gli stessi anni di "Rimmel".

Li porto bene, come lui. Non c’è dubbio.

Ho raggiunto i 50 anni con le migliori maniere che conoscevo. Non so attraverso quali altri stratagemmi o rimedi, ma ci sono arrivato e so che più di una volta sono stato felice.


Come "Rimmel".

Non ho soppesato troppo le stagioni passate, nè ceduto a bilanci sugli anni andati; e il mio corpo, i tratti del mio viso, e la mia emotività non sono cambiati irreversibilmente negli ultimi tempi.

Come "Rimmel".

Forse è successo tutto gradualmente o forse tutto deve ancora accadere.

So che alcune delle mie parole hanno confortato qualcuno, da qualche parte, anche se sul momento non me ne sono accorto.

Come è successo a "Rimmel".

Non sento il bisogno di rifiutare le convenzioni perchè finora non ho aderito a nessuna di esse solo per compiacere gli altri o per timore di essere escluso da qualcosa.

Come "Rimmel".

Così come non ho sulle spalle grandi crociate che, potendo tornare indietro, avrei adottato molto prima.

Mi concedo soltanto qualche infelicià. o frustrazione di meno e mi rende pieno vedere che i miei sogni di quando avevo venti, trenta e anche quarant’anni, a modo loro,- o nel modo in cui non avevo previsto - si sono compiuti.

Come "Rimmel".

Da quando De Gregori l’ha inciso è stato testimone, complice, affiliato e socio di ogni tempo della mia vita. Sono passati 50 anni. Giorno più, giorno meno; fortuna più, sventura meno. In qualsiasi viaggio ho sempre portato con me le sue vedute. Si dice che i poeti siano quelli che pensano e dicono le stesse cose che diresti tu, con la sottile differenza di saperlo fare molto meglio di te.


Ma non provochiamolo; s’arrabbia.

Il poeta non è un cantautore, e le canzoni non sono poesie. Ci terrebbe a puntualizzare.

Sempre meno “Principe” e sempre più “Monsieur”. Un Signore. Perché la sua fortezza è diventata il mondo, il fuori, e non più solo un castello eremitico dove barricarsi.

Il suo perimetro è l’orizzonte.

Scrivere di lui, per me, è come scalare una roccia a mani nude e trovare un approdo e qualche graffio ad ogni livello di altitudine. Così come l’effetto che le sue canzoni hanno su di noi, poveri e strapazzati fans. Costretti a subire i suoi cambi di rotta, i suoi tradimenti. Pronti ad accogliere ogni sua sentenza e poi ritrovarci un decennio più tardi ancora d’accordo con lui e con le sue sconfessioni.

Noi, pronti alle barricate quando cercavamo invano di cantare all’unisono Rimmel che cambiava ad ogni concerto e che alla fine, per fortuna, modificava anche il nostro sguardo, spostandolo ogni volta un poco più in là.

Ricordandoci - ogni volta - che non esiste alcuna verità acquisita, ma che soltanto mancando una verità si può proseguire nella ricerca, non trovandone altre.



Gian Piero Alloisio

Nel 1975 “Rimmel” me lo sono perso. Probabilmente perché all’epoca, per noi ragazzi di periferia, l’urgenza delle cose era enorme: da un lato incombevano la violenza politica, la guerra fredda, il moralismo ideologico, dall’altro sbocciavano, a un ritmo a dire il vero frenetico, cento fiori di creatività plurale in parte politica in parte rockettara, ma sempre e comunque contro qualcosa. Così, nel 1975, “Dietro le sbarre”, il primo album della mia Assemblea Musicale Teatrale che voleva “liberare tutti”, non prevedeva la strana dolcezza delle canzoni di De Gregori.


Però l’ho recuperato in seguito, insieme al mio amico Claudio Lolli. Nei tanti viaggi, durante i tre tour che abbiamo fatto insieme, ascoltavamo tutto il De Gregori possibile, “Rimmel” compreso.

Naturalmente Claudio non aveva smesso di cantare i suoi zingari felici, né di brindare all’anarchia con “Anna di Francia”. Però non smetteva di dirmi che De Gregori era il suo cantautore preferito. Forse, dopo quelli che Gaber e Luporini chiamavano gli “anni affollati”, avevamo bisogno pure noi di un po’ di dolcezza. Non a caso il nostro spettacolo si intitolava “Dolci promesse di guerra”. O, forse, nel mistero della musica che ci gira intorno, prima o poi ci sta tutto. E così ormai, per colpa di Claudio Lolli, “Pablo”, “Buonanotte fiorellino”, “Quattro cani”, “Una piccola mela” e pure “Rimmel… le so. Che poi tra l’altro lui De Gregori non l’aveva ma incontrato, mentre io sì, se pur in una dimensione quasi onirica. Stavo provando in qualche teatro, forse al Club Tenco, forse a Sanremo e, tra le tende del fondale è sbucata la sua faccia sorridente. Me lo ricordo così, un giovane giovane dal volto lieto.



Luca Barbarossa

Conservo ancora il vinile di “Rimmel” consumato durante l’adolescenza. De Gregori è stato spesso esaltato o criticato per i suoi testi ma raramente ho sentito parlare della sua capacità di tracciare linee melodiche originali, indimenticabili, con una doppia matrice, popolare e colta. In Italia si discute molto sui testi e poco o nulla sulla musica. Le tracce di quest’album parlano da sole, evidentemente. De Gregori è pop, “Rimmel” è pop, perfino nel titolo. E questa per un cantautore è già una notizia. La verbosità di certa musica d’autore “impegnata” ha fatto invecchiare male molti dischi degli anni ’70. Non è accaduto a canzoni come “Pablo”, “Pezzi di vetro” o “Buonanotte fiorellino”. Allora era obbligatorio saperle suonare e cantare, con la speranza che qualche ragazza cadesse sotto i colpi micidiali di versi come:

“Ti potresti innamorare di lui
forse sei già innamorata di lui
cosa importa se ha vent'anni
e nelle pieghe della mano
una linea che gira

e lui risponde serio, "È mia"
sottintende la vita…”

E dire che erano anni molto poco romantici, dal massacro del Circeo al terrorismo rosso e nero, uno scontro continuo con follie collettive che videro anche De Gregori tra le vittime di fantomatici processi proletari. Ma il Principe per fortuna volava alto e non scadeva mai nelle semplificazioni che tanto stanno a cuore alla cattiva politica di ieri e di oggi. Sapevi da che parte stava, sempre e per sempre, e questo ti doveva bastare.

Tornando all’album, i brani che lo compongono restano, a distanza di cinquant’anni, patrimonio comune. Sono attuali perché fuori dal tempo, non schiacciati sul presente. Merito di un grande artista, che ha saputo attingere alle migliori espressioni musicali e letterarie, alla cultura popolare, al di là e al di qua dell’oceano Atlantico.


Buon compleanno, “Rimmel”!



Brunori SAS

Un grandissimo disco: quello che abbiamo avuto con Riccardo Sinigallia nel nostro album “L’albero delle noci” ha a che fare con quell'approccio lì, in cui si cerca di catturare un certo tipo di naturalezza sia nel suono che nel canto che nella scrittura. Per me è sicuramente un enorme riferimento: che anni, quelli… La mia mente e il mio cuore stazionano un po' in quel periodo storico. Tra le canzoni del disco scelgo "Pezzi di vetro", indubbiamente: la posso sentire anche 180 volte ogni volta è un brivido.



Sergio Caputo

Quando si parla di De Gregori - direttamente o indirettamente - mi sento sempre un po' in imbarazzo, perchè ogni cosa che si dice potrebbe essere la cosa sbagliata da dire. Ed essendo io artista nella sua stessa linea di pensiero - le canzoni non vanno spiegate, che ognuno ci veda ciò che vuol vedere - posso però dire che De Gregori ha cambiato per sempre la canzone italiana, portandola ad un livello poetico che mai prima di lui si era raggiunto. Ermetismo? Surrealismo? Astrattismo? Così è se vi pare. Resta il fatto che le canzoni di De Gregori emozionano sempre, anche quando non si riesca a capire bene cosa voglia intendere, o quanti livelli di lettura ci siano in ogni frase. Egli ha messo fine alla canzone "temino scolastico" dove tutto deve avere senso e riferirsi a qualcosa di specifico. Ma nell'arte, in qualsiasi forma d'arte, c'è una regola aurea: l'armonia. Ovvero, gli elementi di un'opera devono stare bene insieme. Nella canzone, le parole devono avere la loro musicalità, che si sposi con la melodia, anche anche a costo di lasciare le strade illuminate ed avventurarsi in vicoli oscuri.

Avrei comprato “Rimmel” anche solo per il titolo, ma avevo sentito la canzone, e quindi volevo sentire anche le altre. L'album è semplicemente un capolavoro, in particolare se lo si colloca nel panorama musicale dell'anno in cui uscì. Lascio a voi andare a "googlare" le classifiche di quel periodo, per capire quanto “Rimmel” fosse lontano dalle logiche commerciali e dal livello artistico che regolavano il mercato discografico di qual tempo. In “Rimmel” ogni canzone è un film, e ogni film è la continuazione di quello che lo precede. Quando musica e poesia si svincolano dal loro tempo, si liberano dei luoghi comuni e viaggiano in una loro dimensione, diventano dei classici.

E “Rimmel” è un album di classici che potrebbe uscire fra dieci o anche venti anni ed ancora essere attuale. A me, come autore, ha insegnato a fuggire dalla banalità. E il modo di non cadere nel banale è scrivere di storie vere, emozioni vere, sogni sognati veramente, tutto questo col proprio linguaggio musicale e letterario. Sembra facile, ma non lo è.



Fabio Concato

Intanto, grande “lacuna”: non ho mai avuto il piacere di conoscere Francesco, e me ne dispiaccio molto.

Penso che De Gregori abbia avuto il grande merito di permettere ai ragazzi di quell’epoca, gli anni Settanta, di avere le loro canzoni d’amore. Canzoni in cui riconoscersi e ritrovarsi, dentro le quali non provare imbarazzo se non vergogna per come affrontavano l’amore.


In “Rimmel” il dolore per l’amore finito è tratteggiato in una lingua nuova, fatta di immagini, tante e precise, un susseguirsi di suggestioni sorprendenti, ma anche dolorose.

“Rimmel” è stata e rimane una grande canzone d’amore che sdogana il rimpianto e il dolore che i ragazzi, io con loro in quegli anni, facevamo fatica a permetterci di provare, davanti alla fine di una storia. Sentivamo ormai di non assomigliare più ai protagonisti delle canzoni di molti artisti che avevano dominato classifiche e non solo, con tutto il rispetto che meritavano, naturalmente.

E vorrei anche aggiungere che chiunque avesse fatto le carte al nostro Poeta ci aveva visto giusto!

Grazie, Francesco.

Cesare Cremonini

“Rimmel” è un capolavoro di un autore che a 24 anni ne aveva già mille. Una canzone d’amore e dignità, ventosa e ambigua come le migliori di Dylan, ma anche profumata e sentimentale come le grandi canzoni di musica leggera italiana. È un cruciverba di immagini ermetiche eppure orecchiabili. Una battaglia persa per qualunque autore, e siamo in tanti, che volesse avere in repertorio non dico una sua copia ma almeno un souvenir. La grazia vocale di Francesco De Gregori è sempre stata sottovalutata a mio parere, per via dell’attenzione che diamo alle sue parole, ma io credo che De Gregori sia un cantante e un melodista eccezionale oltre che un formidabile paroliere.

Gianluca De Rubertis

È forse su dei sedili in velluto di una vecchia Alfa che ho ascoltato “Rimmel” per la prima volta: in auto, in gita, si poteva indulgere ad una certa leggerezza dell’ascolto (a casa mio padre faceva suonare l’Ottocento tedesco). E così quei cantanti popolari di un’Italia che pullulava di intellettuali in cappotto di lana a me apparivano gli strampalati portavoce d’una musica inesperta. Poi che i significati da criptici si illuminavano di sensazione, poi che l’adolescenza si faceva sesso e sapore, solo allora intravvedevo in quel suono e in quella narrativa popolare una poesia che mi avrebbe talmente avvinto da spingermi ad imboccare la strada del cantautore. E mentre quelle canzoni vibravano, in un mondo perduto di posaceneri e nastri in cassetta, tra il puzzo di benzina super a buon mercato, in un’Italia che si dava qualche aria e si sparava addosso, il mio cuore si accordava alle leggi dell’armonia; imparavo che poesia è anche sublime finzione, come “Rimmel”, che è un trucco.



Alberto Fortis

Nel periodo in cui ero sotto contratto per la IT Records di Vincenzo Micocci facevo spesso anticamera e un bel giorno incontro Francesco De Gregori con cui, peraltro, due anni fa ho condiviso il parco a Piombino. Francesco mi dice “stai aspettando il dottor Micocci, vero?”, e mi invita ad ascoltare qualcosa per ingannare il tempo. Andiamo nella saletta ascolti della IT in via Ugo Banti a Roma, zona Corso Francia, Francesco assesta le due bobine sul Revox e mi dice, testuali parole, “non far caso a come canto, ma dimmi se ti piacciono queste canzoni”. Io comincio ad ascoltare e parte “E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure…”. Mi sono sentito tutto l’album seduto accanto a Francesco prima ancora che fosse pubblicato. Un’esperienza che non ho mai dimenticato



Gianluca Grignani

“Rimmel” è un album che non può mancare in nessuna playlist. È un album che non si può non considerare una pietra miliare della musica italiana tanto quanto possono essere, ad esempio, le opere di Carducci per la letteratura in italiana. È un album che ha fatto cultura in Italia e che riecheggia in ogni generazione. Ricordo quando incontrai De Gregori in un aeroporto ai miei esordi e mi disse una cosa molto personale, come quella che mi disse De André quando lo conobbi in camerino durante il Premio Tenco. Sono cose che in entrambi i casi ci tengo a custodire per me. Per quelle parole lo ringrazierò sempre, perché ogni volta che mi vengono in mente mi danno carica. De Gregori è un artista che ha scritto delle poesie, delle cose indelebili di cui la discografia italiana non potrebbe fare a meno. Lui ha fatto sì che la sua musica cambiasse la cultura italiana. È arte, e l’arte in quanto tale è impagabile perché rimane indelebile nell’eternità.



Ligabue

Hai quindici anni. Intorno a te c’è smania di cambiamento e quasi tutti, te compreso, pensate che questa è la volta buona in cui il mondo verrà reso un po’ più giusto. Da pochi mesi sulla tua radio non c’è più solo la Rai ma è stato aperto l’uso dell’FM e, di conseguenza, sono nate quelle che chiamano radio “libere”, aperte da gente poco più grande di te che, parlando la tua stessa lingua, racconta il fermento attorno e trasmette finalmente la musica che stavi aspettando.

In modo particolare passa parecchio le canzoni dei cantautori, questa specie di nuova categoria che canta le canzoni che si scrive. Fino a ieri i cantanti e gli autori di canzoni erano ruoli ben distinti, oggi invece ci sono questi che si preoccupano più di quello che vogliono dire che di come lo cantano. Oltre a Guccini, c’è un altro Francesco che da poco sta circolando con le sue canzoni. L’effetto che ti ha fatto la sua Alice quando di anni ne avevi circa dodici lo ricordi bene: ti aveva scaraventato in un mondo nuovo, inaspettato e pieno di promesse. Ebbene ora che di anni ne hai quindici e tutto attorno a te c’è il contesto che ti sei appena ricordato, di quel certo De Gregori, sta per uscire un album nuovo. Si chiama Rimmel.

Preparati. Se puoi.



Marco Masini

Ho scoperto “Rimmel” negli anni Ottanta, ero troppo giovane quando è uscito nel 1975, avevo 10 anni e non ero ancora in grado di capire i grandi cantautori. Quando iniziai a fare piano bar insieme a Bob Rose, lui mi ha fatto scoprire i grandi cantautori italiani e cantavamo a turno Guccini, De Gregori, De André. Il brano “Rimmel” è stato uno dei primi che ho cantato, e anche “Buonanotte Fiorellino” che cantava Bob mentre io facevo le armonie. “Rimmel”, al di là delle valutazioni tecniche e artistiche, che non possono che essere meravigliose, è stato uno dei miei punti di riferimento per iniziare a cantare, insieme agli album di cantautori forse po’ più “pop” come Fabio Concato, Claudio Baglioni e Lucio Battisti. In questo album a mio parere Francesco dà un’interpretazione particolare ai testi, soprattutto per chi in quegli anni imparava a dare peso alle parole. Quindi è un album che ho imparato a conoscere attraverso la professione, attraverso il piano bar, che tra l’altro curiosamente è anche il brano (ndr: “Piano Bar”) che chiude l’album. Qualche mese fa sono andato a trovare Venditti e De Gregori in occasione di un loro concerto: conosco Antonello dagli anni Novanta, da poco dopo il mio esordio al Festival di Sanremo, ma non avevo mai conosciuto Francesco. Quando l’ho visto mi è venuto incontro per salutarmi e farmi i complimenti e ho provato una profonda emozione: avevo di fronte la storia della musica italiana e la soddisfazione è stata davvero grande… Devo dire grazie perché la musica mi ha dato l’opportunità di conoscere da vicino chi mi ha guidato da piccolo e i miei punti di riferimento da adolescente.



Morgan

Quando il truccatore di scena mi chiede cosa fare sugli occhi rispondo: “Sotto la matita e sopra il rimmel”. Quasi sempre mi dice: “Intendi il mascara?”. Sì, certo, lo so, Rimmel è una marca di mascara; ma io lo chiamo così perché sono legato a quella parola per l’album di De Gregori, non per altro.

È un disco meraviglioso che oggi più che mai mostra la sua bellezza e infonde la sua luminosità in una realtà peggiore di quella in cui è stato generato, ossia cinquant’anni fa, perché oggi le canzoni sono brutte e la società è disumana e ignorante, cosa che non riesce a comprendere chi non c’era in quegli anni ed è nato direttamente nel mondo digitale, tranne chi ha una sensibilità speciale e una profondità che ha sviluppato indipendentemente dall’ambiente sociale in cui si trova, autonomamente, impegnandosi a cercare nel passato le tracce della bellezza perduta. Dovevo scrivere qualcosa per questo anniversario dell’album e mi sono messo ad ascoltarlo, con il vinile che mi ha lasciato mio padre; mi è venuto da piangere, allora l’unica consolazione possibile per me era suonarlo e cantarlo.

Ho preso l’iPhone, l’ho messo al posto di uno spartito e ho registrato quel che mi ricordavo della canzone che si intitola “Rimmel” come l’album in cui fa l’apertura, la cosiddetta title-track.

Il senso di struggente malinconia in cui mi ha portato oggi ascoltare quel disco si è un po’ lenito dopo averla interpretata a freddo, così alla buona, con un po’ di nodo alla gola e senza badare alla perfezione.

Ora posso parlare un po’ di questo disco e dirvi perché è necessario conoscerlo e tramandarlo: è un capolavoro, un’infinita miniera di diamanti, è ricco ed è disponibile per tutti, è di tutti, ed è per sempre.

Va preso tutto insieme, le canzoni vanno viste come un tutt’uno, non separate.

E’ un’opera dove c’è la vita: amore politica realtà e sogno, fa piangere, fa stare bene, abbraccia e fa pensare, è umano. C’è la gentilezza dell’intelligenza.

E’ un disco di canzoni d’amore, ma visto da lontano, amore finito, ma non finito male, amore che ha lasciato qualcosa, che non è stato inutile. Non è disamore, è semplicemente realistico, come la vita. Ma è un disco surreale, è un’opera concettuale, anche, e la grandezza sta proprio nell’equilibrio tra la dimensione popolare e quella raffinatissima, elevata e colta, ermetica e sapiente, quella culturale nel senso intellettualistico del termine.

E’ un Album con la A maiuscola, è un disco, un capolavoro che gira su se stesso e in un minuto fa 33 giri, quindi siccome dura più o meno mezz’ora fa in totale 990 giri. Nove canzoni, brevi e lineari, semplici, astratte e nitide.

Questo tipo di oggetti roteanti sì chiamavano “long playing”, da cui l’acrostico Lp,

Ma che senso ha oggi un disco così? Quelle canzoni, con quel suono e quei testi, che senso hanno? Hanno più che un senso, ne hanno molti, e sono fondamentali, sono indispensabili, necessarie come aria fresca, in un mondo dove l’aria non c’è quasi più.

Si possono dire tantissime cose, e accenno solamente ad alcune particolarità, bizzarrie.

L’applauso su “Pablo” (canzone che suona da Dio ancora oggi).

Il “noise” su “Quattro cani”.

La repentina sfumata per chiudere la canzone “Rimmel”.

È un disco pieno nonostante sia minimalista, è un disco sofisticatissimo nonostante sia popolare e semplicissimo da ascoltare ma non semplice da costruire, per fare un disco così non solo bisogna essere grandi musicisti ma bisogna essere veri compositori e avere capito il segreto dell’armonia, ma non solo: fare tutto questo con il cuore e non soltanto con il cervello. Francesco De Gregori è l’autore di questa opera, e Francesco De Gregori è un genio ancora vivo, quando ha fatto questo disco era bellissimo, un Adone, meraviglioso fisicamente e mentalmente, dentro e fuori.

In questo disco ci sono tutti i generi musicali ed ecco perché può essere considerato un disco pop, perché è la quintessenza dell’eclettismo: contiene il country, il blues, il funky, il valzer, la beatlesianità, Il canto popolare, la ballata antica rinascimentale, il jazz e il soul.

Tocca le corde, quelle degli strumenti e quelle dell’anima



Pacifico

“Rimmel” saltò dalla radio sul mio cuscino una mattina d’inverno del 1975. Avevo 11 anni, ero a letto per un’influenza, e all’epoca potevo godermi una settimana piena - e per buona parte superflua - di convalescenza senza il minimo senso di colpa.

Allora non avevo abbastanza anni sul collo per incaponirmi a definire quello che sentivo.

Mi limitavo, appunto, a sentire.

Ma oggi mi sembra di poter definire la sensazione che provai ascoltando: “Rimmel” era un oggetto perfetto.

E irresistibile.

Questo punto dell’irresistibilità di un ascolto, di una visione, di una lettura, non dovrebbe mai passarci di mente quando valutiamo l’arte oggi. Soprattutto se “oggi” è un luogo posto sulla linea del tempo distante 30 o 40 anni dai ragazzi che siamo stati. Alcune cose, in un certo preciso momento, per l’effetto congiunto e inesplicabile della faccia dell’artista - bella o incidentata, non importa. Della voce - potente o appesa a un filo, non importa. Della promozione - capillare o sotterranea, non importa. Per la batteria, per la frase in cima o in fondo all’inciso, per il chitarrone o il sinth grasso o appuntito a zanzara. Insomma, per un insieme di ragioni che vai a capire, una canzone, è irresistibile.

Per molti, a volte per quasi tutti. Gli estromessi, per età, invidia, pregiudizio, stanchezza, oppongono resistenza.

Ma tutti gli altri battono il piede, o li muovono entrambi i piedi, e velocemente, per essere i primi a raggiungere la transenna sotto al palco.

Alcuni artisti, maturando, sono sempre notevoli, e il loro talento rimane prezioso. Ma non sono più irresistibili.

“Rimmel” mi sembra ancora oggi perfetto.

Sono sicuro che avranno riflettuto molto sul suono da dargli, avranno discusso e spulciato tra decine di dischi per ispirarsi. Ma a me arriva semplicemente un ragazzo, dotato di un talento impareggiabile, che riunisce quattro amici e suona le sue canzoni.

Romantiche e luminose in certi ritornelli, in certe strofe, che ti toccano una volta e non te le dimentichi, come quel vento che abbiamo visto passare sul collo di pelliccia e su una persona che non incontreremo mai più.

Altre righe sono invece volutamente male illuminate, così che avvicinandoti percepisci forme e significati, ma senza andartene via con la certezza di aver capito.

Dopo un anno, un’altra benedetta influenza - quanto la salute cagionevole ha inciso sulla mia cultura musicale… - mi permette di accogliere nelle orecchie “Just the way you are”, e tutto quel languore iper professionale americano, e il sax nella notte, e il sogno di sentirla da grande su un taxi che rimonta il ponte di Brooklyn. Dopo poco entrai nella saga fantasy del progressive, e quelle non erano canzoni, erano continenti musicali tutti da esplorare.

Poi, due anni dopo, un amico andò a Londra, presso una famiglia alla pari per imparare l’inglese. Tornò, con una fidanzata bellissima e scostante, e tutti e due avevano i capelli blu e rossi, portavano giubbotti di pelle e pantaloni strettissimi, tintinnavano di spille e catenelle.

E ascoltavano dischi che sembravano aggressioni, risse, pestaggi. C’erano nuove strade buie da percorrere, nuovi elementi da assimilare per poter prendere posizione nell’annosa questione di cosa fosse figo e cosa trapassato.

Ma “Rimmel” se ne sta fuori da questa dis