La musica di Venezia 81 da non perdere
Come è suonata l'ottantunesima edizione della Mostra del cinema?
La musica di Venezia 81 da non perdere
Credits: Biennale di Venezia
Di Elisa Giudici
Un inedito di Lady Gaga (nella foto) e una colonna sonora firmata da Colapesce, George Michael e Prince che fanno da sottofondo a scene amorose ai limiti del kink, un biopic sulla regina della lirica e ben due documentari dedicati ai Beatles: come sempre la musica non è mancata alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia, in duplice veste. Ha accompagnato le pellicole in anteprima mondiale con colonne sonore ricercate e citazioni musicali da intenditori, ma è stata anche protagonista di film incentrati sul racconto di artisti del mondo della musica, con una netta prevalenza del genere documentaristico su quello del biopic e del musical.
In attesa di capire se quanto ascoltato, sentito e ballato a Venezia finirà in nomination agli Oscar 2025 o ai David di Donatello, ecco le colonne sonore più belle sentite al Lido e i momenti musicali che rimarranno impressi nella memoria del Festival di Venezia 2024.
I film a tema musicale di Venezia 80
Dal punto di vista musicale, questa edizione della Mostra di Venezia ha visto una prevalenza del documentario sul biopic e la fiction. Nelle sezioni collaterali e fuori concorso infatti sono stati tre i documentari che hanno fatto parlare di sé, due dei quali dedicati agli anni americani dei Beatles e di John Lennon. A parere di chi scrive “One to One: John & Yoko” è il titolo musicale migliore dell’edizione, capace di raccontare con efficacia il rapporto contradditorio tra coppia artistica più celebre del Novecento e l’America dove arrivarono da stranieri. Il regista Kevin Macdonald è già un candidato importante alla corsa per la statuetta come miglior documentario agli Oscar 2025. Come sempre Brad Pitt in veste di produttore ha un gran fiuto: ha sostenuto questo certosino lavoro di reperimento di video inediti e lavoro di montaggio e il risultato è notevole.
Meno convincente è invece “TWST - Things We Said Today” di Andrei Ujică, che racconta il secondo sbarco americano della band, qualche anno prima degli eventi di One to One, quando ancora il gruppo non si era sciolto. Per contrasto dimostra la bravura di Macdonald nel narrare con la sola giustapposizione delle immagini.
Il documentario sui Pavement di Alex Ross Perry si rivela invece un’opera di cui non si capisce lo scopo: ombelicale e quasi masturbatorio, spiega la band alternativa per antonomasia degli anni ‘90 in maniera così auto-riferita che può dialogare e divertire solo i fan del gruppo: cui prodest? Peccato: dopo 2 reunion e oltre 25 anni di carriera, si è persa l’occasione ideale di guardare alle scelte di Stephen Malkmus con sguardo più critico, chiedendosi se siano riusciti veramente a rimanere alternativi e a che prezzo.
In concorso sono due i film a tema musicale, che si rivelano ben più retorici e meno esaltanti della controparte documentaristica. Maria di Pablo Larraín racconta l’ultima settimana di vita della divina Maria Callas. Il film del cineasta cileno a livello tecnico è, al solito, superbo. La scelta di far interpretare la protagonista ad Angelina Jolie (mai somigliante fisicamente, mai in grado di nascondersi dentro il ruolo, non esaltante per performance interpretativa) pregiudica la riuscita dell’operazione.
La vera débâcle - musicale e cinematografica - è però il “non-musical” con protagonista Lady Gaga: "Joker: Folie à Deux" è il film più brutto del concorso e nemmeno la pop star può salvarlo. Non solo è confuso nei messaggi e francamente insopportabile nel suo continuo vittimismo, ma la parte musicale risulta - a sorpresa - noiosa, ripetitiva, senza un singulto di verve. Anche l’inedito di Lady Gaga non graffia.
Le canzoni e le colonne sonore più belle di Venezia 81
Il regista a cui far curare la playlist della festa, del relax, della vita si conferma essere Luca Guadagnino: il suo “Queer” mette insieme un’incredibile infilata di pezzi da intenditore e chicche inedite da lasciare a bocca aperta. Dopo il lavoro superbo fatto da Trent Reznor e Atticus Ross, il duo qui torna in duplice veste di compositore e cantanti, duettando con Caetano Veloso in Vaster than Empires, il cui testo è tratto dai diari di William S. Burroughs. Veloso a vele spiegate verso gli Oscar?
Viene da chiedersi come abbia ottenuto i diritti di pezzi iconici come Musicology e 17 Days di Prince, Riders in the Sky di Vaughn Monroe, Leave Me Alone di New Order. Sul fronte italiano, infila due pezzi dei Verdena: Sui ghiacciai e Puzzle. Di uno chic folle.
Sul versante opposto che la dance trascinante di “Babygirl”, l’altro film scandaloso della Mostra, che piazza l’accostamento musicale più memorabile dell’edizione. In un film in cui Nicole Kidman si sottomette a uno stagista più giovane di lei per esplorare le sue perversioni e il suo daddy issue, ecco che parte un montaggio sulle note di Father Figure di George Michael. Per non parlare di quando i due ballano in discoteca limonando mentre in cassa pompa alla stragrande CRUSH di Natte Visstick, RHYME e Yellow Claw. Avremmo voluto ballare con loro.
Sarà tutta da riascoltare la colonna sonora firmata da Daniel Blumberg per “The Brutalist”, un film per cui si può spendere senza paura il termine di capolavoro, la cui musica crea un’atmosfera unica, tesa, fuori dal tempo. Corbet per i titoli di coda della sua monumentale opera, che arrivano dopo tre ore e mezza di film, sceglie One for you, one for me di La Bionda. Pedro Almodóvar a più che sul sicuro affidandosi agli archi strazianti del suo fidato collaboratore Alberto Iglesias, che fa un ottimo lavoro per sottolineare la malinconia di fondo di “La stanza accanto”.
Sul fronte italiano, Colapesce si accredita come nuovo Diodato (ovvero vincitore annunciato del David di Donatello) grazie alla musiche composte per il film “Iddu”. Stupisce nella sezione Orizzonti il film “Diciannove”, dove si fondo Leopardi, il purgatorio di Dante e la trap che i ragazzi ascoltano con le cuffie bluetooth per le strade di Siena. Nella colonna sonora della pellicola compaiono anche Ghali e Tedua.
Infine riporto anonimamente un commento origliato all’uscita dalla proiezione stampa di “Diva Futura”, il film Netflix sull’impresa commerciale del re del porno italiano Riccardo Schicchi.
Sapete perché in Italia si fa così fatica a produrre pellicole pop dal respiro contemporaneo, ben realizzate e recitate, non relegate alla nicchia del cinema d’autore o alla povere di certe produzioni ottuagenaria di Rai Cinema? Perché di fronte a un uso pop e sbarazzino di brani come "The Final Countdown" degli Europe e "Words" di F.R. David (che compariva nella colonna sonora di “Chiamami col tuo nome” di Luca Guadagnino), l’anonimo accreditato stampa italiano ha commentato: “questo film ha una colonna sonora fatta con le canzoni che anni fa menavamo la gente che le ascoltava”. Chissà cosa ha pensato del documentario sui Pavement. Sipario.