Nel vuoto pneumatico del pop, Pino D’Angiò è una boccata d’aria
L'intervista - senza freni - alla politicamente scorrettissima voce di "Ma quale idea".
Di Mattia Marzi
Ieri è arrivata la notizia della scomparsa del cantautore Pino D'Angiò. Negli anni '80 è stato un personaggio di rottura e d'innovazione e la sua hit "Ma che idea" è diventata una canzone culto.
Lo ricordiamo con questa intervista che ci aveva rilasciato lo scorso settembre
Pino D’Angiò è un fiume: “Non ho mai avuto un ufficio stampa.
Il mio ufficio stampa è sempre stata la gente. Litigavo con le case discografiche perché non accettavo il fatto che ci fosse qualcuno a suggerirmi come mi dovevo vestire, cosa dovevo dire: era tutta gente che aveva un quarto della mia cultura e il 4% della mia intelligenza. È stata la gente a rendermi un artista di culto. Se fosse stato per la Cbs e la Emi, non sarei mai diventato Pino D’Angiò: quelle finanziavano solo le star internazionali del *****. Eppure io ho vinto 9 Dischi d’oro. E sono l’unico artista italiano presente nel dvd ‘World Tribute to Funk’, ovvero l'enciclopedia completa del funk selezionata da Sony Music. E nessuno se n’è mai accorto. Qualcuno mi ha definito ‘l’innovatore oscuro della musica italiana’. Io non sono né un innovatore né tantomeno oscuro. Sarete oscurati voi, giornalisti del *****, che non riuscite a vedere oltre il vostro naso: quelli dell’epoca scrivevano solo degli artisti internazionali delle multinazionali, da impiegati qual erano”. La voce dall’altra parte del telefono è la stessa di “Ma quale idea” (la hit del 1981 che lanciò l’artista campano), solo che è provata dalle sei operazioni alle quali Giuseppe Chierchia - questo il vero nome di .Pino D’Angiò - ha dovuto sottoporsi negli anni a causa di un cancro alla gola: “Oggi canto quasi senza corde vocali”, spiega lui, che stasera, a 71 anni, si esibirà dal vivo a Verona sul palco di “Arena Suzuki dai 60 ai 2000”, la tre giorni di revival condotta da Amadeus, in tv sabato 23, mercoledì 27 settembre e mercoledì 4 ottobre. Nel vuoto pneumatico del pop di oggi, un personaggio così è una boccata d’ossigeno.
“Ma quale idea” conta 40 milioni di ascolti su Spotify: quando è diventata un cult?
“Guardate, io non lo so. Io so solo che tredici anni fa mi ero completamente ritirato, dopo il tumore alla gola. Avevo perso la voce. Sono stato fermo per undici anni e mi sono completamente disinteressato di tutto quello che accadeva nel mondo della musica. Mi sono messo a scrivere racconti e poesie. Però nel frattempo dev’essere successo qualcosa che io ancora non mi spiego. E che non ho potuto controllare: grazie al passaparola, parecchie delle cose che ho fatto sono state scoperte dai ragazzi, che quando cantavo ‘Ma quale idea’ non erano neppure nati. Io di tutto questo non ne sapevo niente”.
E come sei venuto a saperlo?
“È successo che un tizio ha cominciato a stalkerarmi, rintracciando pure mio figlio, risalendo a lui per via del cognome. Me lo ritrovavo pure sotto casa, questo. È stato così per quattro o cinque mesi. Voleva avere mie notizie. Io non mi facevo trovare, mandavo a parlarci mio figlio. Poi un giorno mio figlio s’è stufato: ‘Papà, basta. Parlaci tu: io non ce la faccio più’. Ci parlai: ‘Pino, devi tornare a fare spettacoli. Ma possibile che tu sia letteralmente sparito?’”.
E chi era?
“Tommaso Zucchini, un dj di Milano. Oggi è il mio manager. Mi sono lasciato guidare. Tre anni fa ha organizzato una serata a Milano, all’Apollo: sold out. ‘Facciamone un’altra’, mi ha detto. Sold out pure quella. ‘Facciamone una terza’. Indovina? Sold out anche la terza. Così abbiamo cominciato a fare serate anche altrove, all’Alcazar di Roma, a Napoli. Ora non so più dove dormo, dove mangio. Mi portano in giro come una trottola (ride). E stasera sono a Verona da Amadeus, che mi ha chiesto di cantare ‘Ma quale idea’”.
Come nacque il fenomeno Pino D’Angiò?
“Per caso. Perché io non ho mai voluto fare il cantante. Avevo 23 anni. Ero uno studentello di medicina. Lasciai Pompei, dove sono nato, per andare a frequentare le lezioni a Siena. Per guadagnare qualche soldino in più, oltre a quelli che mi mandavano da casa, facevo spettacolini di cabaret dicendo scemenze inascoltabili, con la chitarra. Però la gente si divertiva. Strana, la gente. Un giorno mi si avvicinò uno e mi diede un bigliettino: ‘Mi venga a trovare a Milano’. Si chiamava Ezio Leoni. Era il produttore di Mina, ma io lo scoprii anni dopo”.
Poi?
“Niente, arrivederci e grazie. Qualche anno dopo mi trasferii da Siena a Milano. Avevo ancora quel bigliettino. Lo chiamai. ‘Ce ne ha messo di tempo a venirmi a trovare’, mi disse. Ci vedemmo nel suo ufficio. ‘D’Angiò, mi fa riascoltare quelle cose che faceva a Siena?’. Gliele risuonai, anche un po’ imbarazzato. Mi chiese: ‘Vuole fare un disco?’”.
E tu?
“Mettetevi nei panni di uno studente fuori sede al quale propongono di fare un disco. All’epoca, peraltro, nella discografia giravano parecchi soldi. Accettai. E pure di corsa. E così nel 1979 uscì il 45 giri ‘È libero, scusi? / La bottega di Mefistofele’. Vinse un concorso organizzato dalle radio libere, ma fu un flop clamoroso. Sì, qualche radio lo passò. Ma finì lì. E pensavo che fosse finita anche la mia carriera discografica”.
E invece?
“Dopo sette mesi quel Leoni mi richiamò.
Voleva parlarmi: ‘Dobbiamo metterci d’accordo, bisogna cercare dei pezzi perché abbiamo deciso che lei deve fare un lp'. Pensai: ‘Ma questo è pazzo’. Però decisi di seguirlo nelle sue follie. Fu così che nel 1981 mettemmo in piedi ‘Balla’, il disco di ‘Ma quale idea’. Dopo tre mesi mi chiamarono dalla Ri-Fi, l’etichetta che pubblicò il disco: ‘Dobbiamo andare a fare promozione in Francia, Brasile, Argentina, Spagna’. Non capivo. ‘Ma che ***** sta a succedere?’, pensai. Da quel momento in poi non c’ho capito più niente. Ho lasciato che le cose accadessero. Mi hanno detto dalla Siae che le mie canzoni generano introiti in 96 paesi”.
Il vinile di “Balla!” è una rarità: su Discogs c’è chi lo vende a 2.000 euro.
“Ma che dite? La gente è pazza”.
Quello stile, tra cantato e parlato, con sonorità a metà tra italo disco, funk e un prototipo di cantautorato rap, ha fatto scuola: conosce Franco126?
“Certo. Ci siamo incontrati un anno e mezzo fa, mi pare. Mi ha detto che è un mio fan. Voleva chiedermi il permesso per incidere una cover di un mio pezzo, ‘Gente intelligente’. E mi ha chiesto di incidere l’intro di un suo pezzo, ‘Scandalo’. Io ho colto la palla al balzo: stiamo realizzando un disco tributo in cui artisti di quel circuito ricantano le mie canzoni. Non faccio i nomi, però. È ancora presto per svelare tutti i dettagli”.
Di chi fu l’idea del riff del basso di “Ma quale idea”, che contribuì tantissimo al successo della canzone?
“Dicevano che l’avevo ripreso da ‘Ain’t no stoppin’ us now’ di McFadden & Whitehead, uscita due anni prima. Cazzate. Se prendete i due brani e trascrivete su uno spartito le note del riff, sapete quante ne coincidono? Tre. Quel riff lo inventammo io e Stefano Cerri, bassista fenomenale: veniva dal jazz ed era figlio, ne parlo al passato perché, purtroppo, Stefano non c’è più, del grande Franco Cerri. Lo inventammo canticchiandolo, seduti uno davanti all’altro: ‘Pa-pa-pa-rappappa…’. Provammo e riprovammo, finché alla fine non uscì fuori quel riff”.
“Tu sei brutta come un rospo di notte, ma sei ricca, tanto ricca e non ti lascio mai”. E ancora: “Così grassa come sei, sei salita sopra i piedi miei e m’hai fatto tanto male”, cantavi in “Così grassa come sei”. Oggi nell’era del politically correct potresti riscriverla?
“Sì.
Perché io, fortunatamente, sono politicamente scorrettissimo. Sono quello che negli Anni ’80 fumava in tv. Non lo faceva nessuno. Ma che ***** vuol dire ‘politicamente corretto’? Io non mi sono mai omologato e mai lo farò. Chi l’ha alimentata ‘sta scemenza? Sì, ho scritto quella canzone. E la canto ancora. Offendo le grasse? Magari le grasse idiote, quelle che non hanno un minimo di cervello”.
“Corri a cucinare, non c’è niente da mangiare”, dicevi in “Fammi un panino”. Le femministe ancora non se ne sono accorte?
“Ma le vere femministe non esistono più. C’è solo gente che cavalca certe tendenze per farsi pubblicità, andare in tv e dire due stronzate”.
Puoi raccontare la storia della telefonata di Mina?
“La conobbi proprio grazie a quel Leoni. Mi disse: ‘D’Angiò, mi raggiunga in ufficio con la sua chitarra: vorrei far ascoltare a Mina qualche sua canzone’. Per me era la Madonna. La trovai con una rivista in mano, seduta su una poltrona. Iniziai a cantare. Non mi guardò neppure, però alla fine mi ringraziò. Non incise la canzone: non ricordo neppure quale fosse. Dopo una decina di anni mi squillò il telefono di casa. Rispose mia moglie, perché io ero fuori. Quando rientrai mi disse: ‘Ha chiamato una certa signora Mazzini: ti cercava’. ‘E chi è questa? Io non conosco nessuna signora Mazzini’. Però poi richiamò. E stavolta risposi io: ‘Parlo con Pino? Sono Mina’. Vorrei un pezzo dei tuoi, ironici, intelligenti. Sto facendo un lp che parla d’amore’. Non la feci finire. Le mandai ‘Ma chi è quello lì’, che incise nel 1987 per l’album ‘Rane supreme’”.
E di quando Marvin Gaye venne a pranzare a casa tua?
“Io manco sapevo che fosse Marvin Gaye. Stavamo facendo un programma insieme, negli Anni ’80. Lui era uno degli ospiti internazionali. Ci conoscemmo nei camerini e questo ragazzone si presentò come Winnie. Lo invitai a casa mia, ‘sto Winnie. Voleva che gli preparassi gli spaghetti. Quando durante il programma venne presentato come Marvin Gaye, mi prese un colpo: ‘Sto stronzo’. Glielo dissi, a Winnie: ‘Ma perché non me l’hai detto?’. ‘Not for you, not for you…’, sorrise”.
Cosa accadde a Sanremo nel 1989?
“Accadde che il discografico Alfredo Gramitto Ricci quell’anno decise di mandarmi a Sanremo. Solo che io non lo volevo fare e glielo dissi: ‘A me di Sanremo non me ne frega un *****’. Insistette. ‘Vabbè, andiamo a fare ‘sto ***** di Sanremo’, mi rassegnai. Lo feci controvoglia. Mi guardavo intorno e pensavo: ‘Vaffanculo’. Siccome avevo capito che mi avrebbero eliminato prima della finale, mi inventai un modo per non passare inosservato. Finsi lo svenimento. Risultato: i giornali parlarono solo di me (ride)”.
La malattia come ha cambiato il tuo modo di esibirti?
“La malattia ha cambiato la voce, come si sente. Ma non il mio approccio. Io salgo sul palco per divertir-mi e non per diverti-re. Di tutto il resto, non me ne frega un *****”.