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"Cuore": quando Antonello Venditti inventò il dream pop in Italia

"Cuore": quando Antonello Venditti inventò il dream pop in Italia
Storia, aneddoti e retroscena di un album da riscoprire, frutto di un piccolo miracolo artistico.

Di Mattia Marzi

Il cappello di paglia è ancora integro, a distanza di quarant’anni: “L’ho tenuto dentro a una teca: è proprio quello originale”, assicura Antonello Venditti. Non si capisce davanti a cosa sia appoggiato, nella foto di copertina di “Cuore”: lo schermo di una tv? Una piccola finestra dalla quale entra una luce morbida? È il tramonto? Oppure è l’alba? Non ha tempo e non ha spazio, quella foto. Un po’ come le canzoni che compongono il disco, diventato un classico non solo della discografia del cantautore romano ma della musica italiana più in generale, tanto da meritare una speciale ristampa legata ai festeggiamenti per il quarantennale dalla pubblicazione, che uscirà domani.


Sono come sospese in una dimensione non definita: .polaroid di un sogno metafisico.

“Cuore” è il racconto di un viaggio di ritorno. Fisico, ma anche e soprattutto mentale: quello che vede la voce di “Buona domenica” tornare dalla Brianza a Roma coincide con la sua rinascita personale e artistica. Nel Castello di Carimate, a Como, “dove se credi ai fantasmi ne vedi di continuo”, come diceva Ricky Portera degli Stadio, Antonello si era crogiolato fin troppo, ripensando alla fine della storia con Simona Izzo Si era esiliato lì, nell’antica fortezza diventata una sala di registrazione dove andavano a incidere i loro dischi Lucio Dalla, Fabrizio De André, i Pooh, Mia Martini, per fuggire proprio dalle macerie di quel matrimonio fallito.


In .crisi mistica e artistica, aveva provato a tenersi impegnato rendendosi utile per altri artisti: incidendo i cori su “Montecristo” di Roberto Vecchioni, ad esempio, oppure con un intervento su “Trasparenze” del chitarrista Riccardo Zappa o ancora suonando il pianoforte in “Roma sparita” di Luca Barbarossa. “Ero completamente solo. Senza casa, senza moglie e per giunta in crisi economica. Dovevo ricostruire la mia vita partendo da fondamenta di buio. Stavo sui merli del castello e avevo giramenti di testa, strane tentazioni suicide”, avrebbe raccontato nel 2009 nell’autobiografia “L’importante è che tu sia infelice”.


Era stato proprio Dalla a tendergli una mano. Antonello lo aveva incontrato un giorno in autostrada all’altezza di Bologna, durante il suo girovagare avanti e indietro, senza un posto dove appendere il cappello.


Lucio gli aveva raccontato che aveva scovato tra i vicoli di Trastevere una casa “bellissima e in vendita”: “Se fossi in te chiamerei la proprietaria”. Antonello non lo aveva lasciato finire: aveva girato al primo casello e da Bologna era sfrecciato verso quella Roma capoccia der monno ‘nfame di cui aveva cantato pregi e difetti, vizi e virtù in quella canzone di pochi anni prima, già entrata nella tradizione musicale capitolina. A ogni chilometro aveva preso più coraggio per porre fine al suo esilio: evidentemente .tornare a muoversi tra i suoi luoghi era per Venditti un bisogno impellente. Si era disabituato alla romanità, Antonello. Lo aveva capito quando un ragazzo, incontrandolo per strada, gli aveva detto: “Anvedi Antonello. ‘Ndo vai?”. E lui da brianzolo aveva pensato: “Ma che vuole questo signore?”. Quel cuore atrofizzato che darà il titolo al primo album della sua nuova vita si era rigonfiato, stracolmo d’amore (“Innamorarsi ancora, innamorarsi a Roma”, scriverà in “Non è la cocaina”), un anno e mezzo prima dell’uscita del disco, nel novembre del 1982. Nel giorno in cui Venditti aveva messo per la prima volta piede nella casa a Trastevere, aveva fatto portare dalla ditta dei trasporti solo un mobile: il vecchio pianoforte Anelli su cui qualche anno prima aveva composto “Sora Rosa”, con i tasti laterali bruciati dalle sigarette. Come per magia, erano nate tre canzoni. Una era “Ci vorrebbe un amico”, dedicata a Lucio Dalla. La seconda “Notte prima degli esami”. La terza “Grazie Roma”, che diventerà la colonna sonora dei trionfi dei giallorossi di Nils Liedholm verso lo storico scudetto festeggiato al Circo Massimo il 15 maggio 1983.

Ero completamente solo. Senza casa, senza moglie e per giunta in crisi economica. Dovevo ricostruire la mia vita partendo da fondamenta di buio. Stavo sui merli del castello e avevo giramenti di testa, strane tentazioni suicide.

“Cuore” esce invece il 20 luglio 1984, in piena estate. Due mesi prima, il 30 maggio, sempre al Circo Massimo Venditti aveva cantato davanti a una folla oceanica per la prima volta la stessa “Ci vorrebbe un amico”. Stavolta non per celebrare la vittoria dello scudetto, ma per confortare i giallorossi dopo la scon***** nella finale della Coppa dei Campioni. La società giallorossa aveva fatto allestire nell’antico stadio romano un maxi-schermo e un palco per il concerto del cantautore a fine partita. Era andato tutto storto: rigore di Graziani sparato tra gli alberi di Monte Mario e Liverpool campione d’Europa. Non era stata proprio una “notte di sogni, di coppe e di campioni”, come Venditti cantava in un’altra canzone del disco, destinata a diventare una delle sue hit e un inno intergenerazionale.


In “Notte prima degli esami” il cantautore romano fonde il personale e il politico. La canzone è un film. Magari di Fellini, l’ultimo Fellini, quello più visionario e nostalgico. Parte come il racconto di una notte prima della maturità, poi Antonello ci mette dentro i ricordi della sua vita, dalla scuola al Folkstudio (i “quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla”, non è più un mistero, erano lui, Francesco De Gregori, Giorgio Lo Cascio ed Ernesto Bassignano).


E poi le contestazioni, le bombe. Mentre tutto intorno sembra montare il riflusso e sembra consumarsi il distacco dalle battaglie sociali che hanno segnato gli anni a cavallo tra i ’60 e i ’70, lui prova a tenere accesa la memoria, “.con la voglia ancora di cambiare”. E lo stesso fa in “Qui”, dove ricorda gli scontri del 1968 a Valle Giulia, quando finì in caserma insieme ad altri ragazzi. Lo tirò fuori il padre, reduce di guerra (gli aveva dedicato “Mio padre ha un buco in gola”) diventato un dirigente del Ministero degli Interni: “Cercammo di fuggire e finimmo in braccio ai carabinieri. Mio padre arrivò a mezzanotte, mi diede un *****tto, e mi disse: ‘Vieni a casa, cretino’. Una duplice umiliazione di fronte ai miei compagni. Che restavano dentro”, avrebbe ricordato in un’intervista al "Corriere della Sera".


In “Mai nessun video mai” risponde per certi versi ai Buggles, che cinque anni prima di “Cuore”, all’alba di MTV, cantavano: “Video killed the radio star”. Antonello reclama invece la necessità della realtà collettiva, del contatto fisico, dal vivo: “Rimane qui, come un miracolo, la stessa voglia di cantare / mai nessun video mai mi potrà ricordare”, canta. Ne “L’ottimista” se la prende con il leader socialista Bettino Craxi, l’uomo più potente d’Italia nel 1984: “A sinistra non mi difese nessuno. Eppure avevo scritto canzoni politiche come ‘Compagno di scuola’ e ‘Modena’. Mi ritrovai da solo”, dirà sempre al "Corriere". Rivendicando, inoltre, di avere la pelle più dura di tanti altri colleghi considerati più “impegnati” di lui.

Io li ho presi, gli sputi dei fascisti. Ho subito aggressioni e discriminazioni. Quando toccò a De Gregori ne fu atterrito, anche perché era fuoco amico, veniva da sinistra.

Nelle sessions ai Trafalgar Recording Studios, sulla collina di Monte Mario, Antonello - affiancato dal suo produttore Alessandro Colombini - fa un uso massiccio di tastiere, sintetizzatori, pianoforti elettrici, batterie elettroniche (l’album è il primo missato con tecnica digitale, dbx 700-Digital Audio Processor, come recita la scritta sul retrocopertina, nei crediti), tanto che verrebbe da dire che con “Cuore” Venditti ha effettivamente inventato il dream pop in Italia. Ma con un’anima: in sala il cantautore porta con sé una decina di musicisti, dal bassista Fabio Pignatelli ai fratelli Balestra (ai cori), passando per il batterista Derek Wilson, i chitarristi Renato Bartolini, Marco Rinalduzzi e Mario Schilirò, i tastieristi


Alessandro Centofanti, Marco Colucci e Roberto Giuliani (chissà se qualcuno lo andrà a trovare a Caracalla il 18, 19 e 21 giugno, quando darà ufficialmente il via al tour del quarantennale). E se di dream pop si parla, c’è una canzone, l’ultima della scaletta del disco, che è davvero il manifesto dell’estetica di "Cuore". “Stella” è una canzone ultrametafisica, una preghiera laica per scaldarsi il cuore “nel buio della notte”, per rimanere puri, immuni “dall’odio e dal potere”. “Questo cielo si rischiara in un istante”, canta con quel vocione Antonello, su un trionfo di synth e tastiere. E forse non è un caso che la parola che chiude il disco sia proprio "cuore": "Non andare via / non ci abbandonare / stella, stella mia / resta sempre nel mio cuore". Ora finalmente un posto dove appoggiare il suo cappello, Antonello ce l'ha.