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Pelù: "Cosa c... volete che faccia, io? Rock tutta la vita"

Pelù: "Cosa c... volete che faccia, io? Rock tutta la vita"
Il cantante racconta "Deserti", nuovo album solista: "Sono la persona meno competitiva della musica"

Di Gianni Sibilla

“Cosa ca zzo vuoi che faccia io a 62 anni? Ho fatto rock tutta la vita”, dice con un sorriso disarmante Piero Pelù. Il ragazzaccio è tornato, dopo l’ultimo tour dei Litfiba (concluso a fine 2022) e dopo uno stop forzato per un problema di udito che lo ha mandato in depressione. “Deserti” è la risposta a quel periodo scuro: un nuovo album solista dopo “Pugili fragili” del 2020 - ma decisamente più chitarristico. Ci sono i Calibro 35 in “Baby bang”, i FASK in “Tutto e subito” - un'impietosa critica alle logiche dei social network - e c’è pure una nuova versione solista de “Il mio nome è mai più”, l’inno pacifista inciso 25 anni fa con Jovanotti e Ligabue. Porterà il disco già in tour questa estate (qua le date): lo definisce un concept album, ma dice anche di non essere competitivo con gli altri artisti e di ascoltare ogni genere di musica.

La parola “Deserti” compare in diverse canzoni, oltre che nel titolo. A quali ti riferisci?
È una parola che ho usato anche in altre canzoni del mio passato; ho capito che poteva essere il fil rouge dell’album: la desertificazione dovuta alla crisi climatica, i deserti nelle periferie, i deserti nei rapporti interpersonali, ormai totalmente distorti dai social, i deserti affettivi: questi argomenti sono presenti in tutto l’album.


L’album ha un inizio e una fine strumentale: una scelta inusuale di questi tempi, quasi come un concept album.
… E sul CD sono collegati, vanno in loop… Sì, alla fine è questo è diventato un concept album, con diverse canzoni che sono legate tra di loro. Come sarà un concept anche il concerto, farò dei mash-up tra vecchio e nuovo.

Questo è il secondo capitolo della tua “trilogia del disagio”: una formula che hai usato spesso, nella tua carriera. Come mai?
Allora: negli anni ’80 la "trilogia del potere”, negli anni '90 la “tetralogia degli elementi” più il quinto elemento, il tempo. Poi la “trilogia dei sopravvissuti" negli anni zero, poi una con la reunion del Litfiba e ora questa. Non so, sono un pazzo, non è normale… cioè, come si fa a pensare a delle trilogie quando oggi non si sa nemmeno se si farà un altro singolo, per come funziona il mercato discografico? Evidentemente è una cosa che mi stimola: ogni decennio me lo devo in qualche modo disegnare all'interno di un trittico.

Che rapporto hai con il modo di fare musica oggi e con questo mercato? Senti la competizione con gli artisti più giovani che dominano le classifiche?
Guarda, io sto scoprendo con stupore di essere una delle persone meno competitive attualmente in giro anche nel mondo della musica. Mi rendo conto che c'è una forte tendenza alla competitività, ma proprio non riesco a farla entrare nella mia filosofia di vita, nemmeno quando gioco a bocce in spiaggia, figurati quando faccio musica…
Naturalmente sono attento a quello che succede, ammiro e posso invidiare in senso positivo la creatività di qualcuno.


Lo vivo come una forma di stupore creativo.

Però è cambiato tutto. Una volta il rock era il genere giovane e ribelle per eccellenza. Oggi lo suonano anche persone di 70-80 anni e qualcuno rischia pure di sembrare la parodia di se stesso. Tu ti sei mai posto il problema?
Cosa ***** vuoi che faccia io a 62 anni? Ho fatto rock tutta la vita...
Il mio obbiettivo, semmai, è quello di rinnovarmi e di cercare di rimanere legato all'evoluzione della musica in generale. Io sono un fruitore di musica a 360 gradi, Lo sono sempre stato. Mio nonno Mario, quello che ha fatto la prima guerra mondiale e mi ha fatto diventare pacifista, mi faceva ascoltare Luis Armstrong, Mussorgsky e quella roba lì. Mi è rimasto dentro, ce l'ho proprio scolpito nel DNA.


Cosca cerchi nella musica, allora?
Io amo la musica quando c'è dentro una bella composizione, un bello sviluppo melodico, armonico, quando c'è un bel ritmo, quando ci sono un arrangiamento e una produzione che mi stupiscono, che sia rock, rap o trap. Quindi qualsiasi cosa può essere interessante per me. Poi io sono legato alle chitarre, a “Revolver” dei Beatles e a “Paranoid” dei Black Sabbath...


Questo è un disco decisamente più chitarristico del tuo precedente lavoro solista.
In realtà c'è anche molta elettronica, però questa volta calibrata più in chiave contrappuntistica. C'è anche musica etnica: è un disco di rock world. È una formula nuova; non è male riuscire a trovare qualcosa di nuovo per il mio 22° disco di studio. È successo complici gli acufeni che mi hanno tenuto fermo un anno, mandandomi in depressione. Però questo fermo per fortuna sono riuscito a tradurlo in qualcosa di positivo.

In "Deserti" c’è una nuova versione de “Il mio nome è mai più”: perchè hai scelto di reinciderla da solo? Ne ha parlato con Jovanotti e Ligabue?
Non ci eravamo risentiti con Luciano e Lorenzo riguardo al fatto di pubblicarne una versione per il 25° anniversario, ora ci stiamo sentendo per fare poi qualche cosa insieme successivamente, non sappiamo ancora in quale formula, non me lo chiedere, perché è tutto ancora un work in progress.


Questa è una versione "Unplugged", è una versione con Finaz e James Castillo, che sono i due chitarristi più importanti con cui ho suonato negli ultimi anni, ovviamente assieme a Ghigo, e per la prima volta hanno suonato insieme.
Ed è venuta poi una gran bella versione anche se dal vivo la farò più elettrica, sicuramente. Non si poteva non festeggiare il 25° anniversario di una canzone così importante, un manifesto del pacifismo: la prima canzone pacifista l’ho scritta nell’81… Sarebbe bello smettere di farlo, ma non si può, evidentemente, perché l'uomo è l'animale peggiore della Terra e lo sta dimostrando ogni giorno che passa, o almeno quell'1% dell'umanità che detiene tutta la ricchezza e tutto il potere di questo pianeta sta decidendo la sorte degli altri 8 miliardi di persone. E questa è la cosa che sicuramente mi fa più incazzare della realtà di oggi.

La tua storia di artista attivista parla per te. Oggi ci sono diverse scuole di pensiero, ci sono molti artisti che preferiscono non esporsi o quantomeno non parlare di politica. E ci sono alcuni ascoltatori che ti dicono "pensa a cantare". Secondo te è un dovere esporsi?
In “Canto”, la canzone di questo disco, dico esattamente quello: io canto i deserti, le alluvioni, la desertificazione, l'abbandono, l'indifferenza, l'odio. Ma non posso mettermi nei panni dei miei colleghi, ognuno è giusto che faccia quello che si sente di fare.

Ognuno fa quello che si sente di fare?
Ognuno fa il ca zzo che vuole.

Prima parlavi del tour, e della rielaborazione delle canzoni della tua storia. Che tipo di rapporto hai col tuo passato musicale?
Sono in pace con tutto e con tutti.
L'ultimo giro con i Litfiba è stato meraviglioso, fantastico, ci ha dato tantissime soddisfazioni; ci siamo salutati con un grande abbraccio, un grande augurio di buona fortuna con Ghigo.


Continuo a sentirmi con Antonio Aiazzi con cui siamo sempre stati molto legati, con Gianni Maroccolo. Penso sempre a Ringo, e questa cosa non mi abbandonerà mai. Sto lavorando ai mashup tra passato e presente perché mi rendo conto che la musica è una combinazione infinita di note e di atmosfere e di emozioni.