Paola Turci, tra il pessimismo e l'utopia
Con l'album "Le storie degli altri" la musicista romana chiuse una trilogia
Di Redazione
Dodici anni fa Paola Turci pubblicava "Le storie degli altri", il suo tredicesimo album. Un disco che la musicista romana presentò alla stampa in questo modo: "L'equilibrio in questo album è sottilissimo e si muove tra il pessimismo e l'utopia". Qui a seguire come lo recensì per noi Paola De Simone.
Sono turbata. E lo sono perché ho appena terminato di ascoltare “Le storie degli altri”, il nuovo disco di Paola Turci che chiude la trilogia iniziata nel 2009 con “Attraversami il cuore” e proseguita nel 2010 con “Giorni di rose”. Il mio è un turbamento esistenziale, non certo umorale, dovuto alla poetica degli otto brani che compongono il disco. Canzoni piene di fotografie scattate alla vita quotidiana, reali quanto struggenti, farcite di un sano pessimismo alternato a slanci vitali.
Quello che non ho ancora detto è che questo turbamento mi piace. Siamo abituati a lavori che spesso lasciano indifferenti, che difficilmente portiamo con noi dopo aver spento il lettore, ma non è questo il caso. “Le storie degli altri” resta dentro come un documentario crudo o un’incredibile storia che però un po’ ci appartiene, perché in quelle fotografie, magari in lontananza, ci siamo probabilmente tutti.
Gente felice di essere viva (“Ragazzi bellissimi”), altri con la certezza di essere soli al mondo (“Figlio del mondo”) e qualcuno disposto ancora a sognare (“Le storie degli altri”).
E’ il tema dell’esistenza, quindi, a primeggiare in questo lavoro; vita fatta di giorni bui, in cui, però, una piccola luce splende sempre. E’ nel testimoniare quella luce che questo disco trova la sua vera identità. Come in un tracciato, dunque, si parte dal pessimismo, per arrivare all’utopia e giungere infine a una visione ricca di speranza (“I colori cambiano”). La trilogia è valida nel suo insieme, ma questo terzo capitolo è sicuramente il più toccante e il più elaborato, dove si sente la fatica della scrittura, dell’arrangiamento e del canto.
E a proposito di canto, Paola Turci si conferma come interprete seria e credibile, con una voce che sembra assorbire tutte le sfumature delle fotografie raccontate. A produrre e arrangiare il disco, poi, si sono messi in quattro (Paola Turci, Fabrizio Fratepietro, Fernando Pantini e Pierpaolo Ranieri), gli stessi che hanno suonato con grande fusione tutte le musiche, scritte dalla stessa Turci ed espresse nella classica proposta di chitarra, basso e batteria. Fatta eccezione per un paio di brani, dove ad arricchire il tappeto sonoro intervengono l’immancabile violino di Andrea Di Cesare e il pianoforte di Michelangelo Carbonara. Anche i complimenti per i testi li dobbiamo spartire: vanno a Marcello Murru, Alfredo Rizzo (sue anche le storiche “Bambini” e “Ringrazio Dio”) e Francesco Bianconi dei Baustelle.
Ai brani inediti si aggiunge, poi, una cover - come di rito in questa trilogia - e così, dopo “Dio come ti amo” di Domenico Modugno e “Lunaspina” di Ivano Fossati, è il turno della sempre attuale “Si può“ di Giorgio Gaber, proposta in una versione più liquida dell’originale; scelta concettualmente perfetta per questo disco, che riesce così ad abbinare allo specchio del reale una critica sferzante. E, infine, riconosciamo a “Le storie degli altri” una buona dose d’istinto, complice l’averlo interamente suonato dal vivo; e seppur infarcito di libero sfogo, il risultato è delicatissimo e certamente affascinante.