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I Blur in fuga dal brit-pop alla ricerca del suono perfetto

I Blur in fuga dal brit-pop alla ricerca del suono perfetto
La band britannica 25 anni fa pubblicava l'album "13"

I Blur in fuga dal brit-pop alla ricerca del suono perfetto


Di Redazione

Venticinque anni fa, il 15 marzo 1999, i Blur pubblicavano "13", il loro sesto album. Ne festeggiamo il quarto di secolo andando a rileggere la nostra recensione ed ascoltando qualche canzone.

"Eravamo stanchi di scrivere canzoni". E’ questo in sintesi il pensiero dei Blur, oggi, 1999. E’ questo ciò che ha portato Damon Albarn e i suoi tre compagni d’avventura a pensare un disco lontano mille miglia dal pop. Se però ai Blur sembrava un gioco da ragazzi spazzare via cinque album e un decennio di pop song alla ricerca del ritornello perfetto e suonare a ruota libera, come se "Girls & Boys", "She’s So High" e "Song 2" non fossero mai state scritte, a noi, dopo aver ascoltato "13", questa virata verso il nuovo ci è sembrata un po’ azzardata.



Certo, verrebbe da battere le mani a un gruppo che, forse per vero amore della musica, ha abbandonato territori da alta classifica assicurata in onore della ricerca. Ma se ricerca vuol dire sotterrare completamente il pop (quel pop che noi tutti, poveri mortali, ci aspettiamo, consciamente o no, dai Blur) e imbarcarsi in un’avventura sonora dai contorni trip hop, post rock, ambient, dub, senza comunque riuscire a dire qualcosa di significativo in quest’ambito, beh, allora, ci viene da pensare che i Blur avrebbero fatto meglio a scrivere qualche altra pop song come "Song 2", da urlare a squarciagola in stato d’alterazione alcolica (quello preferito da Graham Coxon, il chitarrista).


Invece "13" è un disco in cui Damon biascica parole anziché cantare, dove Graham si è dimenticato cosa vuol dire "cogliere il riff" accattivante. E così, dopo il country gospel low fi del singolo ("Tender", sette minuti di musica, una dilatazione temporale del concetto di pop single visibilissima), i Blur, con la complicità di William Orbit (già responsabile della svolta "elettronica" di Madonna), architettano 13 canzoni con un solo obbiettivo in testa; il suono perfetto. Un obbiettivo che li porta verso "un’ambientalizzazione" del pop (chill out pop) che a molti fan non piacerà e che a coloro che seguono la scena elettronica e post rock con attenzione dirà ben poco.