MUSICA




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Johnny Dorelli ha smesso di fare dischi quando la gente iniziò ad andare ai concerti di Baglioni

Gianluca Guidi: "Aveva capito che il mondo stava cambiando e che lui non poteva far parte di quel nuovo che stava avanzando" - Il 3 marzo al San Leonardo lo spettacolo teatrale Sinatra, the man and his music
“Mio padre Johnny Dorelli ha smesso di fare dischi quando la gente ha iniziato ad andare ai concerti di Baglioni”
di Daniele Camilli



Viterbo – “Mio padre ha smesso di fare dischi quando vide una lunga fila di persone che andavano a vedere un concerto di Claudio Baglioni”. Gianluca Guidi, cantante, attore, regista teatrale italiano, figlio dell’attrice Lauretta Masiero e di Johnny Dorelli. Il 3 marzo sarà a Viterbo con uno spettacolo su Frank Sinatra. Il titolo: Sinatra, the man and his music. L’uomo e la sua musica. Dal Jazz allo Swing. Racconto in prosa e in musica. Appuntamento alle ore 17,30 al teatro San Leonardo di via Cavour.

“Una volta mio padre stava in macchina con me – racconta Guidi – e vide una lunga fila fuori da un teatro, abbassò il finestrino dell’automobile e chiese chi stavano andando a vedere. Gli risposero che stavano andando a un concerto di Claudio Baglioni. A quel punto tirò su il finestrino e andò via. E rivolgendosi a me disse: ‘Da oggi tuo padre non inciderà più un disco’. E così ha fatto”.


Iniziamo dallo spettacolo del 3 marzo al teatro San Leonardo di Viterbo.
“È innanzitutto uno spettacolo che nasce nel 2015 legato al centenario della nascita di Frank Sinatra. Dopodiché è un modo per far sentire le sue canzoni. Chiaramente non sentiremo mai più cantare come Sinatra e non sarò di certo io quello che metterà rimedio a questa cosa. Ma, ripeto, è un modo per ascoltare le sue canzoni. Il tutto accompagnato da aneddoti e racconti, tra cui una presunta conoscenza con mio padre che dicevano fosse il Frank Sinatra italiano. Di leggende, attorno a Sinatra e la mia famiglia ce ne sono state tante. Dalla presunta conoscenza con mio padre, che visse a New York quando Sinatra ebbe il suo primo grande successo, fino ad arrivare, 75 anni dopo, al fatto che io dovrei essere il primo cugino della figlia di Sinatra. Leggende popolari. Fatto sta che mio padre e Sinatra non si sono mai conosciuti. Infine verranno ricordati altri grandi autori Jazz e Swing”.

Perché uno spettacolo a Viterbo?
“Si tratta di una tournée e Viterbo è una delle piazze, assieme a Milano, Roma, Modena, Bologna, Napoli e altre città. 25 concerti in tutto con una pausa pasquale”.

Che rapporto ha Sinatra con la contemporaneità ovvero come viene ricordato oggi un’artista di quel calibro che ha svolto un ruolo decisivo e strutturale nella storia della musica?
“Va innanzitutto considerato l’aspetto della lingua, che in Italia rappresenta un filtro importante per approcciarsi a un artista come Sinatra. Poi oggi ci sono soluzioni musicali e armoniche completamente avulse da ciò che si ascolta. L’Italia musicale, con tutto il rispetto per Amadeus e Fiorello, non è solo quella di Sanremo. C’è un’altra Italia musicale che però in quel contesto non viene ammessa e non so per quale motivo”.

Qual è l’Italia musicale che resta tagliata fuori da Sanremo?
“Ad esempio chi suona un pop più colto e ha fatto della ricerca e della conoscenza del proprio strumento un punto di riferimento per potersi esprimere. I generi sono tanti, con la differenza che all’estero fanno sentire tutto e soprattutto sono concessi spazi a una molteplicità di modi di fare musica”.


Come nasce il suo rapporto con la musica?
“In casa non si faceva altro. I miei genitori si sono separati quando avevo solo sei mesi e ho vissuto con mia madre a Milano in una casa piena di musica. C’era un bellissimo pianoforte a coda. Ovviamente la maggior parte della discografia che c’era riguardava soprattutto mio padre, Sinatra e altri grandi artisti americani”.

Invece con i suoi genitori che tipo di dialogo ha avuto?
“Ho avuto un mondo parecchio genitori-centrico. L’unico astro solare era il proprio genitore. Più mio padre che mia madre. Quello che ho fatto invece con i miei figli è stato annullare le mie necessità per dare spazio alle loro. Ho preferito dare soprattutto a loro piuttosto che a me stesso”.

Un ricordo di suo padre e uno di sua madre rispetto al percorso che lei ha fatto e che ha caratterizzato il suo futuro.
“Il mio habitat naturale erano teatri, camerini o alberghi. A casa stavo con una tata, cosa che ho evitato di fare con i miei figli proprio per non farli crescere in mondo ‘migratorio’ privo di grandi radici. Ai miei tempi, quando ero giovane, parliamo degli anni ’70, le famiglie erano più stanziali rispetto ad oggi. Io ho invece vissuto, come dicevo, in un contesto diverso. E, a quel punto, o odi quello che vedi oppure lo ami incondizionatamente. La vita mi ha portato verso quest’ultima soluzione. Grazie anche ai miei genitori che mi hanno fatto sempre apprezzare tutto quello che facevano, e ad averne grande rispetto. Forse anche troppo”.

Sinatra, si tende sempre più a imitarlo e sempre meno a interpretarlo tirandone fuori qualcosa di nuovo. Perché secondo lei?
“All’interno stesso della nicchia di questo tipo di musica ci sono esecutori che hanno un modo del tutto personale di approcciarsi al genere tirando fuori qualcosa che ha ben poco di nuovo. Poi ce ne sono altri che hanno invece evoluto il tutto interpretandolo in maniera originale. Dopodiché va detto che certi brani nascono da un repertorio prettamente teatrale o cinematografico, da musical oppure film musicali. E si tratta di standard che hanno fatto il giro del mondo e che si tende a imitare piuttosto che interpretare”.

Negli anni ’70 il panorama musicale italiano era molto ricco, colto e spesso affermato anche a livello internazionale. Dopodiché una specie di progressivo impoverimento? Perché secondo lei?
“La musica, il teatro, il cinema, l’arte in generale sono una rappresentazione del momento sociale che si vive. Gli anni ’70 erano un derivato della bolla di benessere del secondo dopoguerra durato una ventina d’anni. E laddove c’è una crescita l’arte rappresenta tutto questo. Inoltre gli anni ’70 sono figli di una rivoluzione culturale scaduta infine in una violenza ingiustificata e ingiustificabile. Poi negli anni ’80 siamo entrati in un’altra bolla che è durata fino alla crisi del 2008. Una bolla in cui tutto sembrava possibile e facile. Quello che si sente oggi fa invece parte di un immenso meccanismo legato al profitto. Per cui il pubblico si insegue o si addestra, ma non lo si informa quasi mai. Chiunque sta fuori da questa logica non ha diritto a passare ovvero passa ma in maniera molto relativa, finché non viene ostracizzato. Viviamo in una società consumistica che impone il prodotto non più a partire dal talento ma da ciò che si deve rappresentare. Un consumismo cerebroleso in una lobotomia collettiva che lascia la finta certezza di essere persone libere. E chi si pone dei dubbi, non ha più una vita semplice”.


Anche Sinatra, però, era parte di un sistema e lo cavalcava come tale.
“Sì, senz’altro. Ma va detto anche che era una persona che veniva dalla seconda guerra mondiale. Una guerra che aveva dato agli Stai Uniti la possibilità di imporre la propria forza in gran parte del mondo”.

Che rapporto avevano i suoi genitori con il contesto sociale che vivevano e con le trasformazioni che lo hanno caratterizzato?
“Ricordo perfettamente gli anni ’70 e il clima che si respirava, soprattutto dopo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Ma nonostante questo, mio padre nel 1979 lanciava Aggiungi un posto a tavola. E fuori dal Sistina a Roma e dal Lirico a Milano c’era la fila per andarlo ad ascoltare. Poi c’è stato un episodio che mi ha dato il senso del cambiamento. Una volta mio padre stava in macchina con me e vide una lunga fila fuori da un teatro, abbassò il finestrino dell’automobile e chiese chi stavano andando a vedere. Gli risposero che stavano andando a un concerto di Claudio Baglioni. A quel punto tirò su il finestrino e andò via. E rivolgendosi a me disse: ‘Da oggi tuo padre non inciderà più un disco’. E così ha fatto”.

Le ha spiegato anche le ragioni?
“Aveva capito che il mondo stava cambiando e che lui non poteva far parte di quel nuovo che stava avanzando”.

Il sottotitolo del suo spettacolo è “dal Jazz allo Swing”. Che valenza hanno, oggi, questi due generi?
“Dovrebbero averne tanta. Lo studio dell’armonia, tipico del jazz, è fondamentale in generale. Oggi invece ci si mette davanti a una tastiera e si accende un computer”.

Per lei, interpretare Sinatra è anche un modo per rileggere suo padre e collocare se stesso lungo questo percorso?
“Assolutamente no. Non ho mai avuto il problema di essere un figlio d’arte. Anzi, ben venga”.

Daniele Camilli