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L’ultima e struggente partecipazione di Franco Califano a Sanremo

L’ultima e struggente partecipazione di Franco Califano a Sanremo
Una delle storie meno note tra tutte quelle che costellano la vita rock'n'roll del poeta maledetto.


Di Mattia Marzi

“Chi passerà a trovarla agli alberi pizzuti, cosa troverà scritto sulla tomba?”, gli domandò il giornalista (per i non romani, "gli alberi pizzuti" sono il cimitero). E lui, senza indugiare, prima di lasciarsi andare a un sorriso commovente, rispose: “Non escludo il ritorno”. Il titolo della canzone che Federico Zampaglione dei Tiromancino aveva scritto pensando a lui per Franco Califano era diventato un manifesto, la sintesi perfetta della sua poetica. Era il 2005, diciannove anni fa, quando il cantautore romano - la cui parabola umana e artistica rivivrà l’11 febbraio su Rai1 con “Califano”, con Leo Gassmann nei panni del protagonista - calcava per l’ultima volta nella sua vita il palco del Teatro Ariston, voluto dall’amico Paolo Bonolis tra i Campioni (categoria Classic) in gara al Festival di Sanremo di quell’anno.


Tra i tanti episodi che costellano la vita estremamente rock’n’roll del Califfo, la storia di quell’ultima partecipazione alla kermesse è forse una delle meno note. Non fu un successo: il cantautore .fu eliminato al termine della terza serata, senza avere la possibilità di accedere alla finale, dopo appena due esibizioni (e non la prese benissimo: “Paolo Bonolis è un mio amico e il fatto che io sia stato eliminato testimonia della sua onestà. Con Pippo Baudo questo non sarebbe successo”, sentenziò - Bonolis ringraziò per la prima parte della dichiarazione, dissociandosi però dalla seconda). Eppure a riguardare oggi il video del passaggio del Califfo sul palco dell’Ariston, l’interpretazione quasi commuove.


“Non escludo il ritorno” era fondamentalmente il testamento di un uomo che aveva spremuto la vita e dalla vita era stato spremuto, un artista fuori dagli schemi, playboy romantico e mascalzone, autore ironico, disincantato e malinconico, per certi versi scomodo, libertario e anticonformista. “Vorrei arrivare alla morte stanco. Però ‘non escludo il ritorno’ è quello che voglio scrivere sulla mia tomba”, diceva. Cinque anni prima di quella partecipazione al Festival di Sanremo aveva pubblicato un libro oggi considerato un cult, “Il cuore nel sesso”. Sottotitolo: “Libro sull’erotismo, il corteggiamento e l’amore scritto da uno pratico”. Pochi mesi dopo la kermesse sarebbe entrato nel loft di “Music Farm”, reality show, anche questo oggi considerato cult, che aveva l’obiettivo di rilanciare vecchie glorie della musica italiana. In una delle puntate del programma, condotto da Simona Ventura, fece sua “Vita spericolata”: del resto, la sua non era certo stata una vita meno rock di quella di Vasco Rossi.

Due anni prima che Federico Zampaglione dei Tiromancino gli proponesse di interpretare la sua “Non escludo il ritorno”, a riposizionare il Califfo a livello discografico ci avevano pensato i discografici della Virgin, facendogli incidere l’album “Le luci della notte” (con lo stesso Zampaglione in quel disco aveva cantato “L’ultima spiaggia”: “Questo disco è per ricordare che sono quarant'anni che faccio il cantautore. Ho scritto più di mille canzoni, ma ho sempre fatto tutto da solo, sono sempre stato un cane sciolto. E' la prima volta che una casa discografica così importante mi sostiene. In questo disco ho raccolto quello che in 40 anni gli altri non hanno mai capito”, si sfogò.

In “Non escludo il ritorno” c’era tanto dell’autore di “Due destini”, ma tantissimo anche di Califano, della sua filosofia, della sua malinconia: “Avevo scritto questo pezzo, musica e parole. Dopodiché lo portai a Franco e lui mi disse: ‘Voglio cambiare delle cose’. Il pezzo iniziata così: ‘Sai che io la notte non dormo, ma ho voluto chiamarti’. Mi disse: ‘Voglio cambiare l’inizio’. E diventò: ‘Sai che io la notte non dormo e ho voluto chiamarti’. Gli dissi: ‘Ma in che senso?’. E lui: ‘Io chiamo quanno ***** me pare’. Io avevo scritto tutto il lato romantico del ritornello, ma mancava una sola frase. Gli dissi: ‘Qui cosa ci mettiamo?’. E lui: ‘Non escludo il ritorno!’. Perché sennò lei (la donna alla quale era dedicata la canzone, ndr) si sarebbe montata la testa. Lui invece voleva dire: non si sa se torno oppure no”, avrebbe ricordato Zampaglione.


Sul palco dell’Ariston, il vecchio leone sembrò aver perso la spavalderia e il ruggito di un tempo. L’emozione non gli consentì di portare a casa un’interpretazione perfetta, ma come avrebbe sottolineato il manager dell’epoca Roberto Gregori, anche quella sofferenza contribuì alla forza di quel passaggio: “Era molto emozionato. Cercava di incrociare lo sguardo di intesa o la pacca sulla spalla dell’operatore. Era bisognoso di sentirsi incoraggiato”. Oggi “Non escludo il ritorno”, oltre a campeggiare a mo’ di epitaffio sulla lapide di Franco Califano, che riposa al cimitero di Ardea, piccolo comune a sud di Roma scelto dalla voce di “Tutto il resto è noia” come sua ultima dimora (gli amici di sempre lo hanno voluto ricordare allestendo in un locale del centro storico alcuni angoli dell’abitazione dell’artista, in una casa museo permanente), è una frase entrata ormai nell’immaginario collettivo.

Tra i primi a renderla cult,. Luciano Spalletti. Era il 2017 quando l’allenatore, oggi sulla panchina della Nazionale, chiuse la sua esperienza come tecnico della Roma così: “C’è una citazione di un cantautore romano importante, che sulla tomba ha fatto scrivere questo epitaffio: ‘Non escludo il ritorno’. Mi garba questa cosa”.