MUSICA




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Giuliano Sangiorgi: «Mina telefonò alle 3 di notte"

Giuliano Sangiorgi: «Mina telefonò alle 3 di notte, Jovanotti mi chiese l’autografo. Io? Fingo di stare sempre bene»

di Sandra Cesarale

«Vuole un caffè? Ho anche comprato le pastarelle», dice Giuliano Sangiorgi che non ha per niente l’aria della rockstar mentre scarta un vassoio pieno di cornetti e ciambelle giganti. Nell’appartamento con vista, in cima a un antico palazzo romano, vicino a un pianoforte c’è una pianola in miniatura della figlia Stella. «Questa era la casa dove abitavamo con lei e Ilaria, la mamma, poi ci siamo trasferiti e ora è diventato il mio studio dove ho messo tutte le cose lasciate in giro. Da questo balcone ho cantato durante il lockdown». E poi sì, ogni angolo della casa parla dei Negramaro: le copertine delle riviste, i dischi d’oro, le foto che ritraggono Giuliano abbracciato con Lele Spedicato guarito dall’ictus («Se non fosse tornato dal buio avrei smesso di cantare, l’ho detto e l’avrei fatto»). E la poltrona a forma di coniglio, ovviamente verde, citazione di Mentre tutto scorre, la canzone che li fece subito eliminare da Sanremo 2005 ma diede il via alla loro scalata verso il successo. Ritorneranno in gara al prossimo Festival, fra i big. «Non abbiamo mai capito se ci siamo messi insieme per fare musica o se abbiamo fatto musica per restare insieme».


Nel 2023 avete festeggiato vent’anni, e a giugno suonerete prima allo stadio Maradona e poi di nuovo a San Siro.


«Un sogno che si avvera. È il posto dei santi che ritorna: Sangiorgi, San Siro e San Diego Maradona, come l’ho ribattezzato io».

Il live di Napoli lo dedicate a Pino Daniele.

«Non potevo dimenticare chi mi ha portato fin lì e mi ha insegnato ad amare la musica. Sulla mia prima chitarra elettrica imparavo le canzoni di Deep Purple, Malmsteen e Pino Daniele, un napoletano che suonava blues come nessun altro. Lo incontrai per la prima volta a Radio2 Social Club. Quando lo vidi saltai dalla sedia. Mi disse cose stupende della nostra Solo tre minuti. Io, alla chitarra, gli feci ascoltare tutto il suo repertorio. Non ci poteva credere che un ventenne conosceva tutte, ma proprio tutte, le sue canzoni».

«Hai l’anima dello stesso colore mio» le disse per convincerla a scrivere per lui…


«Mi zittì con questa frase, me la sarei tatuata».

Di che colore è la sua anima?

«Ha il colore del focolare domestico, che sia del Sud, del Nord o di Marte lo riconosci sempre. Quando è morto mio padre l’assenza della sua telefonata appena sceso dal palco aveva dimezzato la gioia del concerto. Prima di entrare in scena chiamo tutta la famiglia: Ilaria, Stella, mia madre, i miei nipoti. È un in bocca al lupo continuo. Se qualcuno non risponde ritardo l’inizio del live».

Altri riti?

«Ascolto per tre volte Dust and Waterdi Antony and the Johnsons, mi mette in pace».

Gli scongiuri l’hanno salvata dagli incidenti sul palco?

«Macché. Il nostro primo stadio: campo sportivo di Avetrana, c’era tanta umidità. Entro correndo, imbracciando la chitarra, scivolo di schiena e faccio un volo che mi fa scomparire dal palco mentre gli altri Negramaro continuano a suonare. Ma sono prontamente rientrato in scena».

Gli inizi.

«In famiglia girava musica buona. Negli interminabili viaggi in macchina, per andare a casa di mio padre in Sicilia durante la Settimana Santa, ascoltavamo Lucio Dalla. Eravamo mamma, papà, e noi tre figli. A casa c’era un pianoforte, era di mio padre, il regalo per i suoi quarant’anni, ma ci mettevano sopra le mani anche i miei fratelli Luigi e Salvatore che ora fanno gli avvocati e sono nel management della band. L’unica che ha studiato al Conservatorio è la sorella di papà, zia Daria. Ma nessuno di noi è mai andato a scuola di musica».

La prima pianola Bontempi.

«Schiacciavi un interruttore, si accendeva la luce rossa e pure una ventola che faceva un rumore terribile. A sette anni formai la prima band, un trio, ci chiamavamo i Big. Convinsi i miei amichetti, per niente interessati alla musica, a farsi regalare altre due pianole. In scaletta, soltanto The Final Countdown degli Europe. Io scrivevo le note da suonare, poi facevo mettere i loro piedi sotto ai miei e glieli pestavo per dargli il via. Eravamo un monolito. I concerti li facevamo a casa della mia fidanzatina. Assurdo!».

Poi la chitarra.

«No, prima ci fu la racchetta da tennis di legno, anni Ottanta. Fingevo di suonarla, forse sono il miglior racchettista mai esistito. Quando uscì Rattle and Humdegli U2 andai fuori di testa. Mettevo bandana, occhialini da sole e mandavo le luci a tempo con la musica. Sul muro disegnai le sagome di Mullen, Clayton e The Edge. Bono Vox no, perché ero io».

E certo.

«A casa trovai una chitarra senza corde, la resuscitai con degli elastici e incisi su una cassetta Smoke on the Water. Mio padre la sentì in macchina, mentre tornava a casa dalla banca, dove lavorava. Fece retromarcia e andò a comprarmi la prima sei corde. Lo invidio: saprò riconoscere il talento di mia figlia, se ne ha uno?».

Che papà è?

«Stella è una magia. Da piccolina Ilaria e io la imploravamo: “Quando ti svegli ci devi avvertire, piangi, altrimenti continuiamo a dormire”. Mangia tutto, anche le verdure. Non ho motivi per sgridarla. Sono l’ombra di mio padre, l’ho molto amato e rispettato: non mi ha mai messo in punizione. Mai uno schiaffo, non gliene davo occasione. Mancherò di autorevolezza, però non me ne preoccupo. Mi auguro che Stella possa trovare in me l’amore che io ho trovato in lui».

Qualche marachella l’avrà fatta.

«Non ho mai nemmeno marinato la scuola, a Lecce si dice nnargiare, mi manca quel rock’n’roll dell’anima (ride)».

Torna spesso in Puglia?

«Sì: tre mesi d’estate, a Natale, a Pasqua. Con mamma ci scriviamo, scambiandoci tantissima vita. Giù ci sono i miei fratelli e anche la sala prove dei Negramaro».

Si divide fra Lecce e Roma.

«Questa è la città dove io e Ilaria, sceneggiatrice per il cinema, abbiamo scelto di far nascere Stella. Qui svernai dopo il concerto dei Negramaro a San Siro e ho vissuto momenti stupendi. Al Contestaccio, un locale per una cinquantina di persone, ho fatto una marea di jam session, ci ho trascinato anche Gianna Nannini e Renato Zero. Si andava avanti fino all’alba».

Gira un video sfocatissimo dove suona con i Metallica proprio in quel club.

«Alle 5 del mattino un omino bussò alla porta: “C’ho li Metallica in maghina”. E Lello, che era il nostro Mario Brega: “Se tu c’hai li Metallica in maghina io c’ho l’Uomo Ragno ner cofano”. Francesco Stoia, il bassista dei Tiromancino, si affacciò e li riconobbe. Così entrarono. All’inizio stavano seduti per conto loro. Quando videro sugli schermi le immagini del nostro concerto a San Siro chiesero: “Ma questi chi sono?”. “Amici. Uno è là”. Iniziammo a parlare e dopo due secondi suonavamo Enter the Sandman. Andarono via all’alba per assistere alla messa in Vaticano delle sette del mattino. Follie di metallari d’altri tempi».

Incontri speciali.

«Elisa entrò in studio di registrazione, era il 2002. Ero seduto al pianoforte di Mauro Pagani, senza dirci una parola abbiamo cantato Dancing. Del resto i Negramaro sono in Sugar perché ammiriamo lei e Caterina Caselli: due esempi di come rimanere indipendenti e arrivare al mainstream».

E Mina?

«“Vienimi a trovare”. Non sono mai andato. Succederà. Mi è bastata la sua telefonata, dopo una serata a Torino dedicata a lei. Cantai Un anno d’amoree Bugiardo e incosciente. Fra il pubblico c’era la figlia Benedetta e le fece sentire al telefonino tutta la mia esibizione. Alle 3 e mezza del mattino squilla il telefono. Benedetta: “Ti passo una persona”. Io: “Non farmi scherzi”. Poi arrivò la sua voce: “Incredibile, spacchi la nota”. Aveva ascoltato Bugiardo e incoscientein tutte le salse e non le era mai piaciuta. A un certo punto mi fa in romanesco: “Buttame du’ scarti”. Ma ovviamente a Mina non si danno gli scarti. Per lei ho composto Brucio di te e E così sia».

La cercano in tanti.

«E ogni volta mi stupisco. Ora sto scrivendo per Patty Pravo. Ornella Vanoni telefona mentre si fa i massaggi: “Uomo focoso, che fai?”. Mia madre e Ilaria mi dicono: “Ma com’è che non ti abitui mai? Sembri un deficiente che è stato chiamato da Lady Gaga”».

Sulla cassetta che ascoltò suo padre lei scrisse «Giulianotti for president», citando Jovanotti.

«Per me era una leggenda. Lorenzo è stato un fulmine a ciel sereno nella musica italiana. Andavo in giro con cappellino e canotte, mi nutrivo di Gimme fivee Gino Latino. Vidi dio quando lo incontrai a Roma, durante il Live Aid. Lui, con il suo sorriso luminoso, ci venne incontro, in mano il primo album dei Negramaro: “Oh ragassi, ho ilvossrodisco mi fate un autografo?”».

Imita tutti benissimo...

«Sono un po’ pagliaccio. Ho sempre paura che gli altri non stiano bene. A volte sto peggio di loro ma fingo. È tremendo, ci sono sempre, anche nei momenti in cui vorrei sparire».

Come quando è volato a New York.

«Con i Negramaro non c’eravamo sciolti, però sentivamo che dovevamo allontanarci. Fu un viaggio allucinante: io, Fabio Volo e Roberto Saviano abbiamo passato nove ore al bar dell’aereo. Quando siamo atterrati mi girava la testa. Lì ho sofferto per la prima volta la solitudine. Fino ad allora non ne avevo mai avuto paura».

Ha vissuto tante vite in una.

«Forse è il caso di smettere... ma no, ancora no. Ho una canzone per la testa, se non la butto giù impazzisco».