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Matteo Mancuso: l’italiano che ha stregato Steve Vai e Bonamassa

Matteo Mancuso: l’italiano che ha stregato Steve Vai e Bonamassa
Da YouTube agli Usa: la storia del musicista. "Le hit italiane? Mi sono indifferenti".


Di Mattia Marzi

Steve Vai dopo averne ammirato i virtuosismi ha detto: “L’evoluzione della chitarra è nelle mani di questo genere di musicisti. È un nuovo livello: il tocco, le note”. Al Di Meola lo ha elogiato così, invece: “È un talento assoluto. La sua abilità di improvvisazione è avanti di molti anni”. Joe Bonamassa ha addirittura accostato il suo nome a quello di Stanley Jordan: “Non vedevo nessuno reinventare lo strumento così dai suoi tempi”. Sorpresa: il musicista di cui queste tre icone parlano è un italiano. Matteo Mancuso, 26 anni, è partito da Palermo alla conquista del mondo intero con la sua chitarra. Un’avventura, la sua, partita da


YouTube, dopo gli studi in chitarra jazz al Conservatorio di Palermo: con video in cui omaggia giganti come Charlie Parker, Pat Metheny e Chick Corea, il talentuoso musicista ha conquistato 18 milioni di visualizzazioni e oltre 170 mila iscritti al suo canale ufficiale. Di Meola lo volle con sé sul palco lo scorso anno in occasione di un’esibizione all’Eddie Lang Jazz Festival, in provincia di Isernia, tra gli appuntamenti più attesi a livello internazionale dai seguaci del circuito. Yamaha nel 2019 lo ha scelto come brand ambassador, producendo una chitarra, una Revstar, appositamente per lui. “Cosa c’è nel mio Spotify? Molta musica strumentale, ma anche dischi rock americani. Ho iniziato proprio con il rock’n’roll. E poi Deep Purple, Led Zeppelin, AC/DC, poi Stevie Wonder. La musica italiana? Ne so pcoo, lo devo ammettere. Su tutti, mi piacciono molto Pino Daniele e Elio e le Storie Tese”, racconta lui, un ventenne atipico.


La scorsa estate la Mascot, etichetta olandese già dietro ai dischi di Black Label Society, Jordan Rudess, Steve Lukather e Volbeat, solo per citarne alcuni, ha pubblicato l’album d’esordio di Matteo Mancuso, “The Journey”. Il disco, contenente nove brani strumentali, è la sintesi del lungo viaggio che partendo dalle sale di incisione di Palermo (dove il chitarrista, figlio di un apprezzato produttore e musicista che per anni è stato anche chitarrista nell’orchestra della Rai, ha iniziato a muovere i suoi primi passi), lo ha portato a farsi conoscere in giro per il mondo. “Nel 2019 suonai anche al Namm, ad Anaheim, in California, una delle più importanti fiere dedicate ai prodotti musicali al mondo. Ora con il mio staff stiamo cercando di organizzare un vero e proprio mini tour negli Stati Uniti. L’idea è quella di partire da Los Angeles e poi fare tappa nelle principali città d’oltreoceano, New York compresa”, racconta il musicista.

Non solo all’estero: Matteo ha tanti estimatori anche in Italia. A partire dalla Pfm. L’anno scorso il leggendario gruppo prog rock era in emergenza prima di un concerto, a causa di un’indisposizione del chitarrista Marco Sfogli. Patrick Djivas, lo storico bassista del gruppo, si è ricordato di quel talentuoso chitarrista visto in concerto una sera al Blue Note di Milano, ha recuperato il numero e l’ha chiamato. Del concerto la Pfm ha anche pubblicato una registrazione dal vivo, “The event - Live in Lugano”: “Matteo è un musicista di cui l’Italia deve essere orgogliosa, che sta letteralmente lasciando a bocca aperta tutto il mondo, raccogliendo l’ammirazione e il rispetto da artisti di primo piano come ad esempio Steve Vai, che si è spinto a dire come artisti come Matteo abbiano portato la chitarra ad un livello superiore”, hanno spiegato Franz Di Cioccio e lo stesso Djivas.


“È stata un’esperienza fantastica. Ero parecchio nervoso, ma loro mi hanno fatto sentire in famiglia”, sorride Mancuso.

Cosa ne pensa delle produzioni delle hit del pop italiano contemporaneo? “Non so dire. Non ascolto musica italiana. Ascolto per lo più jazz, che però rimane sempre confinato nell’underground. Quando mi capita di ascoltare in radio certi pezzi, mi entrano da un orecchio e mi escono dall’altro. Non perché non mi piacciano, eh, e non voglio fare lo snob, ma perché mi trovano indifferente”.