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Rolling Stones: "Hackney Diamonds" canzone per canzone

Rolling Stones: "Hackney Diamonds" canzone per canzone
Domani arriva il nuovo album della band di Mick Jagger e Keith Richards: l'abbiamo ascoltato


Di Paolo Panzeri


Gentilmente convocato dalla Universal ho avuto l'occasione di ascoltare il nuovo album dei Rolling Stones, "Hackney diamonds", nella tarda mattinata di quest'oggi, il giorno precedente la sua uscita sul mercato, programmata per domani 20 ottobre. Nelle righe a seguire vi riporto le impressioni e i pensieri che ho avuto, canzone per canzone. Vi anticipo che è stato un gradevole ascolto e che, seppur ottuagenari, i ragazzi londinesi godono di un ottimo stato di salute che si riflette nelle dodici canzoni dell'album.


"Angry": Il primo singolo di "Hackney diamonds", la canzone che i Rolling Stones hanno scelto quale biglietto da visita del loro nuovo album. Scelta più che sensata, si va dritti al punto in pochi secondi: one, two...one, two, three...un inconfondibile riff, poi entra con decisione la voce di Mick, tutto molto radiofonico e divertente come si conviene a un brano che vuole provare a coinvolgere anche l'ascoltatore più distratto, con il plus di un solo di chitarra a metà canzone che va a tessere la sua trama fino alla chiusura.

"Get Close": Intro affidata alla batteria, gli subentra una immancabile chitarra e a seguire un Jagger che giura e spergiura di voler avvicinarsi a una persona che desidera ardentemente. Che sia la medesima persona che ha deluso in "Angry"? Se "Angry" era un rock convincente (seppur patinato), qui il ritmo è un poco meno serrato, si pigia meno sull'acceleratore, emerge un filo di sdolcinatezza qua e là, anche il solo di sax non riesce a far decollare del tutto "Get close".

"Depending On You": I giri del motore scendono ulteriormente, si scivola nella ballata. Entrano in scena gli strumenti a corda – violini, viole e violoncelli – la relazione uomo/donna rimane al centro della narrazione. Questa volta la voce di Jagger (in grandissima forma, quasi miracolosa vista l'età... sempre non si abbia voglia di tirare in ballo la questione dell'anima venduta al diavolo) ci racconta semplice e diretto di un uomo che è stato abbandonato e che, comprensibilmente, vive attimi di sbandamento.


"Bite My Head Off": Furore punk in salsa Sex Pistols. Nel '77 le band con giubbotti di pelle, creste e spille da balia volevano mandare in sof***** proprio i vecchi arnesi come i Rolling Stones (che poi all'epoca così vecchi non erano, almeno anagraficamente) talmente rincoglioniti dal successo da avere perso il senso della realtà. Ora, molti anni più tardi, gli Stones si permettono di divertirsi con i suoni di allora e anche l'altro 80enne Paul McCartney, qui al basso, pare proprio divertirsi un mondo a soffiare fuori rabbia. Ed io con loro. "You think I’m your ****** I’m ******* with your brain".

"Whole Wide World": Siamo nel mezzo del disco, il treno è lanciato e proprio come un direttissimo non pensa a fare fermate. La canzone è ambientata a Londra, il testo è amaro - "Well the dreary streets of London/they never promised much/A dead-end job to nowhere and all your dreams are crushed" –, il mondo può essere davvero duro, ma in fondo in fondo resiste la speranza. Mick Jagger (voce), Keith Richards (chitarra), Ron Wood (chitarra), Steve Jordan (batteria) e Matt Clifford (piano e tastiere).

"Dreamy Skies": Ed infine giunse la quiete. I ragazzi si prendono una pausa e sognano di essere lontano da ogni cosa. Di immergersi nella natura ristoratrice senza un umano nel raggio di 100 miglia, di avere quale unica compagnia una vecchia radio che suona solo Hank Williams e qualche honky tonk sgangherato. Che poi è quello che ci stanno regalando con Mick alla armonica e con il supporto all'Hammond dell'ex sodale di Tom Petty, Benmont Tench.


"Mess It Up": Vanno bene, anzi benissimo, pace e natura, ma la loro anima è fondamentalmente metropolitana. Quindi si torna a bomba a flirtare con le onde radio. Quello proposto in "Mess It Up" è un rock abbastanza scontato che magari non arriva a scaldare il cuore, ma ascoltato ad alto volume, magari alla guida di un automobile su una bella strada scorrevole, potete stare certi che sarà molto difficile resistergli. Come è stato per me difficile resistere a un urletto di Mick Jagger in modalità "Emotional rescue" che regala insinuazioni disco. Per inciso, questo è uno dei due brani – l'altro è il seguente "Live by the Sword" – che vede alla batteria la buonanima di Charlie Watts mancato nell'agosto del 2021.

"Live by the Sword": Oltre a Watts qui è presente anche il vecchio bassista Bill Wyman: i vecchi Rolling Stones sono di nuovo tutti insieme. La canzone si giova della presenza di Elton John al pianoforte (c'era anche in "Get close") che si fa trascinare alla festa e contende lo spazio alle chitarre. Mick quindi fa un passo indietro e lascia che a prendersi la scena siano gli strumenti. Brano che, se presentato dal vivo in concerto, diventa ottimo per trasformarsi in una jam e regalare gloria agli assoli dei vari musicisti coinvolti.


"Driving Me Too Hard": In verità mi è parsa a questo primo ascolto una canzoncina senza grandi pretese, seppure piacevole, che non aggiunge o toglie nulla all'economia dell'album, si incasella comunque bene all'interno della tracklist.

"Tell Me Straight": Il momento Keith al microfono. E tanto basta. Un break pensieroso che Keef rende al meglio, come solo lui si può permettere di fare: "Don't make me wait/is my future all in the past". La canzone è ridotta all'essenziale, ogni fan dei Rolling Stones la gradirà a prescindere

"Sweet Sounds of Heaven": Se il primo singolo occupa la prima posizione in tracklist, la seconda canzone condivisa sul mercato prima dell'uscita del disco la si trova praticamente in coda. Un intenso gospel lungo oltre sette minuti in cui le voci di Mick Jagger e Lady Gaga si inseguono e poi volano via felici insieme in un crescendo da applausi. A sostenerli le tastiere di Stevie Wonder ("I hear the sweet sounds of Heaven/Play me something, Stevie"). Una grande canzone. Un trionfo.

"Rolling Stone Blues": A chiudere definitivamente "Hackney diamonds", la cover della canzone di Muddy Waters (intitolata "Rollin' stone") da cui hanno mutuato il loro nome oltre sessanta anni orsono. Un tributo a quel blues americano che li stregò adolescenti e che tanto gli ha portato fortuna. Un tributo a Brian Jones, il compagno che non c'è più, che diede il nome alla rock band più grande di sempre. Armonica e voce per Mick, l'inseparabile chitarra per Keith: niente altro. "I got a boy child coming, he's gonna be, he's gonna be a rolling stone". Se avete un cuore e non un bidone della spazzatura al suo posto, qui, ci si può solo che togliere il cappello e ringraziare.