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Il capolavoro del soft rock anni Settanta di Al Stewart

Il capolavoro del soft rock anni Settanta di Al Stewart
Il musicista scozzese che oggi compie 78 anni firmò il suo maggiore successo nel 1976

Il capolavoro del soft rock anni Settanta di Al Stewart

Di Redazione

Compie oggi 78 anni il musicista scozzese Al Stewart il cui maggiore successo fu segnato dalla canzone "Year of the cat", title track del suo settimo album pubblicato nel 1976. Festeggiamo il suo compleanno proponendovi la storia della canzone, che pubblichiamo per gentile concessione dell'editore Arcana e dell'autore (che l'ha scelta personalmente), tratta dal libro di Mauro Ronconi "Canzoni per un mondo senza Beatles".



Ambiguo racconto alla "Casablanca" sul voler trovare il significato della vita in una storia d’amore insolita. Cantautore schivo e silenzioso, lo scozzese Al Stewart ha vissuto una stagione meravigliosa grazie a questa canzone prodotta egregiamente da Alan Parsons che scalò inaspettatamente tutte le classifiche internazionali. Il primo album, "Bedsitter images", lo pubblicò nel 1967 usando una grande orchestra e scandalizzando i puristi del folk. Seguirono altri sei ottimi dischi per la Cbs che gli fecero guadagnare un discreto seguito di cult artist soprattutto negli Stati Uniti. Nel 1974 conobbe Alan Parsons, il famoso ingegnere del suono degli album "Abbey Road" dei Beatles e "The dark side of the moon" dei Pink Floyd, che in quel periodo stava lavorando con i Cockney Rebel alla canzone "Make Me Smile", diventata poi un grande successo nel Regno Unito. Stewart, che da poco aveva iniziato a registrare il suo nuovo album "Modern times" e non aveva ancora un produttore, colse l’occasione per una collaborazione.



Quando nel 1976 fu ingaggiato dalla Rca, come per il precedente disco la produzione venne di nuovo affidata a Parsons che si rivelò la figura chiave per la riuscita del lavoro. Due mesi prima Parsons, insieme a Eric Woolfson, aveva pubblicato il suo primo album a nome Alan Parsons Project, "Tales of mistery and imagination", un lavoro art rock ispirato ai racconti di Edgar Allan Poe. Questo nuovo approccio musicale fu veicolato e applicato anche per il nuovo disco di Stewart. Il titolo fu premonitore del successo inaspettato: "Year of the cat". Il gatto è uno dei dodici segni dello zodiaco vietnamita, simbolo di buon augurio e arriva ogni dodici anni: l’ultimo era stato dall’11 febbraio 1975 al 30 gennaio 1976, il periodo in cui furono scritte le canzoni.

La title track era un brano scritto qualche anno prima dal titolo "The Foot on the Stage" e raccontava la storia di Tony Hancock, un comico britannico morto suicida alla fine degli anni Sessanta che Stewart vide esibirsi in uno spettacolo.


In quell’occasione l’attore si presentò sul palco piangente, dichiarandosi un perdente e un fallito, mentre duemila persone ridevano credendo fosse una scenetta comica. Hancock era un fenomeno televisivo nazionale. Era autocritico e pieno di ansia. Interpretare il perdente faceva parte del suo umorismo e del suo fascino. Non per Stewart, che ne intuì il dramma: “Quando avevo 20 anni, nel 1966, andai a vedere Hancock esibirsi a Bournemouth. Il suo monologo quella sera riguardava l’essere un perdente e il motivo per cui avrebbe potuto finire tutto proprio lì sul palco. Il pubblico scoppiò a ridere, ma io ebbi una sensazione inquietante. E se fosse stato serio? E se fosse davvero depresso? Nel 1968, durante un tour in Australia, Hancock si suicidò. Il suo grido di aiuto mi ha ispirato a scrivere una canzone intitolata 'Foot of the Stage'. Aveva la stessa linea melodica che avrei usato diversi anni dopo per 'Year of the Cat'”.

Quando la propose alla Janus, la casa discografica che distribuiva il disco negli Stati Uniti, i dirigenti pur apprezzandone la musica gli fecero notare che da quelle parti nessuno sapeva chi fosse stato Tony Hancock. Stewart allora la rielaborò con un testo divertente dedicato alla principessa Anna (sorella della regina Elisabetta) con il titolo "Horse of the Year", anche questo senza risultato. Ma quella melodia era ancora fissata nella sua mente. Stewart era un grande ammiratore di Bob Dylan e gli piacevano i titoli delle canzoni che usavano la preposizione “of” per stabilire il nesso tra le parole: “Sapevo che Dylan preferiva usare frasi come 'Masters of War', 'Chimes of Freedom', 'Simple Twist of Fate' e così via. Mi piacevano le frasi con ‘of’ perché rendevano i titoli importanti. 'Horse of the Year' era una canzone ‘of’, ma non potevi prenderla sul serio. Avevo bisogno di una nuova idea”.

Così quando la sua ragazza lasciò un libro di astrologia vietnamita aperto alla pagina dell’Anno del Gatto, notò che quelle parole si adattavano alle stesse quattro note del brano e contenevano anche la parola “of”.


Stewart: “Ho dato un’occhiata al mio titolo 'Cavallo dell’anno' e all'Anno del Gatto' del libro. Il primo suonava sciocco e il secondo suonava davvero bene. Ma non riuscivo a decidere la trama della canzone. Non potevo scrivere di gatti, era ridicolo. Poi vidi in televisione il film 'Casablanca' e pensai: “Prenderò Humphrey Bogart e Peter Lorre e si vedrà come completarla”. Da lì la famosa strofa d’apertura: “Una mattina uscendo da un film di Bogart / In un paese dove gli abitanti sono rimasti indietro nel tempo / Si va passeggiando attraverso la folla come Peter Lorre contempla la scena del crimine…”. Il brano però ancora non prendeva forma.

La svolta nel 1975, mentre il cantautore era in tour negli Stati Uniti come supporto a Linda Ronstadt. Durante le prove per i concerti, il pianista Peter Wood eseguiva sempre un frammento melodico composto da un riff di sei note che a poco a poco si insinuò nella testa di Stewart. Il cantautore allora gli chiese se poteva usarlo per una canzone, ma Wood voleva che fosse strettamente strumentale. Allora Stewart gli disse che avrebbe lasciato intatto il riff di pianoforte e gli accordi per l’introduzione di "Year of the Cat" e ovviamente i crediti come co-autore.

Stewart ci scrisse sopra dei testi misteriosi su una donna misteriosa evocando una serie di immagini molto indovinate e sostanzialmente slegate fra loro, ma incastrate perfettamente nella variegata melodia.


Come in una trama cinematografica, si narra di un turista che sta visitando con la comitiva un mercato esotico in Marocco, quando gli appare per caso una donna vestita di seta e lui ammaliato la segue per un’avventura romantica. Il giorno successivo si rende conto che il bus è partito senza di lui e ha perso il biglietto. Sa che non starà con lei per sempre, ma ci resterà fino alla fine dell’anno del gatto. Racconterà in seguito Stewart: “Bob Dylan aveva questa frase meravigliosa: ‘Accetto il caos, non sono sicuro che mi accetti’. È l’idea che le cose escano dal nulla, cambino la tua vita e poi se ne vadano di nuovo. Il protagonista cerca di dare un senso a quello che sta succedendo, ma la donna non gli dà il tempo di fare domande mentre gli stringe il braccio. Non vuole sentirlo. Come dice Maria Schneider nel film 'Ultimo tango a Parigi': ‘È meglio non sapere nulla’. Quel film era nell’aria per me allora mentre scrivevo i testi”.

Curiosamente gli attori Bogart e Lorre citati in apertura avevano girato due film noir insieme: "Il falcone maltese" e appunto l’iconico "Casablanca".

In entrambi c’è la figura di una femme fatale, come nella canzone: “Esce dal sole con un vestito di seta correndo / Come un acquerello sotto la pioggia / Non preoccuparti di chiedere spiegazioni / Ti dirà solo che è venuta / Nell’anno del gatto”. La vita è un viaggio, se non tracciamo la nostra rotta, qualcun altro lo farà per noi. Forse il destino e le coincidenze: “Presso la parete di maioliche blu, vicino al mercato / C’è una porta nascosta a cui lei ti conduce / In questi giorni, dice, sento la mia vita come fosse un fiume che corre / Attraverso l’anno del gatto”. Quella donna lo ha portato a fare qualcosa che altrimenti non avrebbe mai fatto, a prendere una decisione che non avrebbe mai pianificato, e la sua vita è cambiata: “Hai buttato via la tua scelta e perso il tuo biglietto”. La narrazione si svolge come una continua ripresa cinematografica. La comitiva è ripartita e per lui la scelta giusta è quella di restare. L’incontro con quella donna affascinante lo introdurrà in un mondo segreto, forse mai sognato o forse solo dimenticato: “Sai che prima o poi dovrai lasciarla / Ma per il momento resti con lei / Nell’anno del gatto”.


"Year of the Cat" fu registrata nel gennaio 1976 agli Abbey Road Studios di Londra, mentre le tracce vocali furono incise a Los Angeles, presso gli studi Davlen Sound, dove Alan Parsons stava lavorando al disco degli Ambrosia.

È un tema musicale sorprendente, una sintesi di folk, pop, rock e citazioni classiche, ricca di parti soliste. L’introduzione strumentale di oltre un minuto con l’indimenticabile riff al pianoforte di Peter Wood è l’omaggio alle intenzioni originarie del musicista. La combinazione di effetti musicali molto diversi viene cesellata con precisione dall’abile regia di Alan Parsons che riesce a trasformare una canzone d’impianto folk in una melodrammatica sinfonia pop. C’è il grande lavoro della sezione ritmica dei Cockney Rebel che esalta la soave melodia, con Stuart Elliott alla batteria, e soprattutto di George Ford che esegue una linea di basso eccezionale. Poi nella sezione centrale, introdotti da maestosi archi arrangiati da Andrew Powell, entrano in sequenza una serie di assolo. Il primo di chitarra acustica che va a unirsi a uno di chitarra elettrica distorta (entrambi eseguiti da Tim Renwick), quindi un assolo di sassofono contralto eseguito da Phil Kenzie aggiunto all’ultimo minuto.

Stewart non era affatto convinto di aggiungere una parte di sassofono al brano, ma Alan Parsons con quell’ inatteso fraseggio voleva mettere in evidenza il bridge. Così, in serata, chiamò l’amico Kenzie, che tra l’altro stava guardando un film in tv, gli fece incidere l’assolo e lo rispedì a casa. Dopo la ripresa della strofa, il brano finisce in dissolvenza, con degli assolo di Wood al piano elettrico che, assieme al sax, dona alla ballata un sentimento jazz molto singolare. Basterebbe questa canzone per far entrare Stewart nel Pantheon del soft rock anni Settanta.