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Che tenerezza, la Gen Z che (ri)scopre “Certe notti” di Ligabue

Che tenerezza, la Gen Z che (ri)scopre “Certe notti” di Ligabue
La hit del 1995 è prima su TikTok, davanti ai tormentoni di quest'estate: cosa c'è dietro?

Di Mattia Marzi

Quasi trent’anni dopo, certe notti la macchina continua ad essere calda e a decidere dove ti porta. Pazienza che la radio non passi più Neil Young, ma “Italodisco” dei Kolors, “Dance the night” di Dua Lipa o “Disco paradise” di Fedez, Annalisa e gli Articolo 31. L’appuntamento è altrove, rispetto al Bar Mario: “Ci vediamo su TikTok, prima o poi”. Quando è successo eravamo distratti e non ce ne siamo accorti. All’improvviso la Generazione Z (ri)scopre Ligabue. E “Certe notti”, a distanza di ventotto anni dalla sua uscita, si rivela a sorpresa uno dei tormentoni - social - di quest’estate, tanto da conquistare il primo posto della classifica delle tendenze di TikTok, il social network di riferimento degli under 25. Superando - è tutto vero - le hit di turno, da “Vetri neri” di Ava, Anna e Capo Plaza a “Bellissimissima” di Alfa, passando per “Italodisco” dei Kolors e “Fashion” di Drillionaire. Possibile? Sì, possibile.




Dietro il revival di “Certe notti” non ci sono trucchi o magheggi digitali: è tutto merito di un trend partito su TikTok - ricostruire come significa cercare un ago nel pagliaio: ammontano a oltre 15 mila i video condivisi solo nelle ultime ore sulla piattaforma in cui viene utilizzata la canzone - con i versi del testo in cui il rocker di Correggio cantava di quelle ferite da farsi disinfettare da qualche amica, e non intendeva certo con l’acqua ossigenata, che ventotto anni dopo diventano perfetti per video da dedicare alle migliori amiche. “Tutto molto tenero. Ma chi glielo dice che con ‘amica’ intendeva qualcuna con cui…?”, ironizza qualcuno sui social.



Passano gli anni, cambiano le generazioni, ma in un modo o nell’altro Ligabue continua ad essere il ginnasio musicale degli adolescenti, lui che l’adolescenza l’ha cantata e raccontata meglio di chiunque altro nelle sue canzoni, quando non c’era la tecnologia e ai giovani il cuore batteva davvero, mentre quelli di oggi non se ne rendono conto perché sono troppo occupati a guardare lo smartphone e a scambiarsi cuoricini digitali. Quando piombò sulle scene, all’inizio degli Anni ’90, incarnò un cortocircuito: poteva un cantautore partito con la chitarra a tracolla dalla provincia operosa e operaia emiliana, della quale nei primi dischi offrì un ritratto avvincente e affascinante, con l’ambizione di essere il Bruce Springsteen di Correggio (a scoprirlo fu Pierangelo Bertoli, che incise le sue “Sogni di rock’n’roll” e “Figlio d’un cane”, prima che lo stesso Ligabue se ne riappropriasse), folgorato sulla via Emilia da Pier Vittorio Tondelli, piacere alle ragazzine? Sì, poteva. Da “Piccola stella senza cielo” (“Ti brucerai / piccola stella senza cielo / ti mostrerai / ci incanteremo mentre scoppi in volo”) a “Ho messo via” (“Ho messo via un bel po’ di cose / ma non mi spiego mai il perché / io non riesca a metter via te”), certi suoi versi diventarono presto perfetti per dediche sull’asfalto o sui muretti delle strade di provincia, le canzoni classici da schitarrata all’oratorio o in spiaggia che gli permisero comunque di diventare il portavoce di una generazione e il simbolo di un certo modo di fare cantautorato rock.


Quel tipo di successo finì per spiazzarlo e fu lui stesso a raccontarlo, quando l’album della stessa “Certe notti”, “Buon compleanno Elvis” (che per molti anche a distanza di quasi trent’anni continua ad essere uno dei suoi lavori migliori), superò il milione di copie vendute ai tempi in cui i dischi si vendevano e non si ascolavano in streaming: “Mi ritrovai a dover gestire tutta quella popolarità: finii per sentirmi a disagio”. Quella depressione ispirò “Una vita da mediano”: “Pensai che la cosa più giusta da fare fosse testimoniare lo spaesamento che stavo vivendo”.


Altro che vita da mediano, lì nel centro a recuperar palloni. Quella di Luciano Ligabue da Correggio è stata una vita - e una carriera - da mezzala. D’altronde lo cantava lui: “La strada non conta, quello che conta è sentire che vai”. E lui non si è mai fermato, incidendo - dopo quello di “Una vita da mediano”, “Miss Mondo” - altri sette dischi (e cinque dal vivo, oltre a pubblicare tre raccolte), collezionando più di venticinque tournée, componendo canzoni per altri, girando tre film, scrivendo sette libri e co-firmando pure un musical (“Balliamo sul mondo”, basato sulle sue canzoni e portato in scena nel 2019 da Chiara Noschese). A .Campovolo nel 2005, l’anno di “Nome e cognome”, il disco de “Il giorno dei giorni”, “Le donne lo sanno” e “Happy hour”, diede inizio all’era dei grandi raduni, vendendo oltre 165 mila biglietti venduti. Un’impresa che avrebbe provato a ripetere nel 2011 e poi ancora nel 2015, concedendosi poi un ritorno a Campovolo lo scorso anno in occasione dei festeggiamenti per il trentennale di carriera, davanti a oltre 100 mila fan.


È da tempo che i fan oggettivamente non ascoltano un disco come “Buon compleanno Elvis”, ma non importa: quel che importa è che mentre altri hanno iniziato a rincorrere le tendenze del momento, correndo il rischio di suonare poco credibili, lui è rimasto coerente a sé stesso. E chissà che non si faccia perdonare con il nuovo album “Dedicato a noi”, in uscita il 22 settembre (lo presenterà con un tour nei palasport al via il 14 ottobre da Torino dopo le due date del 9 e 10 ottobre all’Arena di Verona), anticipato dal singolo “Riderai” e da “Così come sei”, quest’ultima eseguita in anteprima in occasione dei due concerti che hanno segnato il suo ritorno negli stadi di Milano e Roma, dopo che nel 2019 si mise a nudo e confessò: “In alcuni stadi, a questo giro, l’affluenza di pubblico è inferiore alle previsioni dell’agenzia”. Quando nel 1995 la casa discografica decise per “Certe nott” come lancio di “Buon compleanno Elvis”, Ligabue rimase colpito. Pensava che quel pezzo non avesse chissà quali potenzialità. Ventotto anni dopo la macchina è ancora calda: “Quella canzone aveva un potere che neanche io le sapevo riconoscere, ma meno male che quel potere l’ha avuto e che ha prodotto quello che ha prodotto”.