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Stevie Wonder, il suo album più personale

Stevie Wonder, il suo album più personale
I 50 anni di "Innervisions"
Recensione del 03 ago 2023 a cura di Paolo Panzeri


VOTO 9/10

La recensione
A causa dello sconfinato talento musicale, rivelatosi in tenerissima età, Stevland Hardaway Morris venne lanciato dall'etichetta discografica Tamla Motown, agli inizi degli anni Sessanta, con il nome d'arte di Stevie Wonder, anzi Little Stevie Wonder poiché all'epoca contava appena una dozzina di anni ed era non vedente.


Mai pseudonimo fu più azzeccato. Stevie se per tutti i Sixties si distinse per il precoce prodigio che era, si trasformò nella Meraviglia all'inizio degli anni Settanta, quando aveva poco più di venti anni. Fino ad allora il musicista non vedente di Saginaw aveva quasi sempre interpretato brani scritti da altri autori – come da manuale Motown - ma allo scoccare del nuovo decennio iniziò a scriversi le canzoni da sé. Canzoni in cui sperimentava soluzioni musicali diverse, facendo largo uso dei sintetizzatori e delle sovraincisioni per inventare nuovi suoni. Spostando inoltre il focus dal formato canzone al formato album. Così ecco che nel marzo 1972 pubblica "Music of my mind", bissato nell'ottobre del medesimo anno da "Talking book" che aveva in tracklist quelli che si sarebbero rivelati un paio di classici senza tempo: "You are the sunshine of my life" e "Superstition". Questo è (molto a grandi linee) il quadro della carriera di Stevie quando stava per iniziare il 1973, quale ulteriore informazione si può aggiungere che la sua popolarità era al vertice confortata da premi e posizioni di rilievo nelle classifiche di vendita.

Era il 1973
Stevie Wonder nel 1973 non era più il prodigioso teenager degli anni Sessanta, ora aveva 23 anni e aveva sviluppato una spiccata coscienza politica e sociale che lo aveva portato a denunciare con le sue canzoni le storture razziali presenti nella società americana che penalizzava e vessava con evidenza disarmante la gente dalla pelle nera.


Sperimentazione e indiscutibile genio musicale, stato di grazia compositivo e vocale unito a temi importanti che riflettevano il sentire del tempo portarono alla realizzazione di "Innervisions". Un album meraviglioso, di quelli che rimangono nel tempo e nella storia. Il disco, pubblicato il 3 agosto 1973, 50 anni fa, è suonato quasi completamente da Wonder che aveva firmato con la sua etichetta discografica un contratto che lo lasciava libero di gestire a suo piacimento la sua arte. I due brani più noti dell'album sono "Living for the city" e "Higher ground". Il primo, vero cuore del disco, è una suite lunga oltre sette minuti che racconta di uno sprovveduto ragazzo che giunge dal sud degli Stati Uniti nella tentacolare New York per cercare una vita migliore, qui viene risucchiato in un vortice pericoloso e finisce per beccarsi dieci anni di galera. Stevie disse che nella canzone riuscì a mettere in musica e parole il dolore e la rabbia che provava al tempo. "Higher ground" è più mistica e discetta (assecondata da un ritmo inesorabile e trascinante) dell'avere una seconda possibilità e del fare di tutto per non lasciarsela sfuggire invitando chiunque a dare del proprio meglio. Una quindicina di anni più tardi "Higher ground" conobbe nuovamente il successo grazie alla cover dei Red Hot Chili Peppers inclusa nel loro quarto album "Mother's milk".

Un album magico
Ma ogni brano di "Innervisions" possiede una sua quantità di magia: in apertura "Too high" denuncia il paradiso artificiale regalato dalla droga; l'affascinante “Jesus Children of America” invita ad avere una maggiore pulizia ed onestà interiore aiutandosi (volendo) con la fede; una intro latineggiante conduce invece all'ascolto di "Don’t You Worry ’bout a Thing", canzone che uscì come singolo conquistando il secondo gradino del podio della classifica statunitense dedicata all'r'n'b; "Golden Lady" gronda amore e musicalità da ogni nota; in “All Is Fair in Love" si può godere della grande voce di Stevie; la dolce "Visions" è l'augurio (una visione per l'appunto) per un agognato mondo più giusto e migliore; a chiudere “He’s Misstra Know-It-All” mette in guardia dal credere acriticamente a quelli che paiono avere la verità in tasca: una splendida ballata per pianoforte dedicata ai politici di allora, il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon su tutti, ma applicabile a quanti dalla notte dei tempi spacciano falsità.

Poi venne "Songs in the Key of Life"
C'è poco da aggiungere, "Innervisions" è il lavoro di un genio della musica al massimo della forma artistica.


Una qualità divina che Stevie Wonder mantenne lungo tutti gli anni Settanta, il suo decennio migliore. Solo tre anni più tardi, nel 1976, avrebbe pubblicato "Songs in the Key of Life", un doppio album che avvalorò ancora di più il suo stato di superstar di respiro universale. Non si sbaglia quasi mai quando per parlare dei dischi si citano le canzoni che vi sono incluse, "Songs in the Key of Life" conta, per citarne qualcuna, "Sir Duke", "I wish", "Isn't she lovely" e "Pastime paradise", che una ventina di anni dopo regalò il successo a Coolio che gli cambiò il titolo in "Gangsta's paradise". Ma, come ci insegnano le fiabe, questa è un'altra storia.



TRACKLIST
01. Too High (04:36)
02. Visions (05:23)
03. Living For The City (07:22)
04. Golden Lady (04:58)
05. Higher Ground (03:42)
06. Jesus Children Of America (04:10)
07. All In Love Is Fair (03:41)
08. Don't You Worry 'Bout A Thing (04:44)
09. He's Misstra Know-It-All (05:35)