MUSICA




​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​



​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
​​​​​​​

​​​



MUSICA
Start a New Topic 
Author
Comment
Alla fine i Maneskin hanno riportato il rock italiano negli stadi


Erano quindici anni che una rock band italiana non debuttava in uno stadio: all’Olimpico è trionfo.
Alla fine i Maneskin hanno riportato il rock italiano negli stadi
Di Mattia Marzi
“Dance, dance, dance, dance, dance until I die”, canta Damiano, come un ossesso, sul ritornello di “Don’t wanna sleep”, nascosto insieme al resto della band dietro le luci rosse dei fari che accecano i fan accalcati nel parterre, che poi si alzano come un’astronave sulle teste del quartetto. Il suono di cassa di Ethan rimbomba per tutto lo stadio, mentre i riff di Victoria al basso e di Thomas alla chitarra rendono l’atmosfera elettrica. I Maneskin sono scatenati, sul palco.

D’altronde questa è la loro notte e vogliono godersela dalla prima all’ultima nota. Sei anni fa a quest’ora si esibivano a via del Corso raccogliendo gli spicci per pagarsi le ore in studio di registrazione. Tre anni fa erano una band in piena crisi post-talent, indecisi su quale direzione prendere dopo la fiammata iniziale, prima che “Zitti e buoni” gli indicasse la via e gli spalancasse le porte del successo mondiale. Ieri sera i Maneskin sono diventati la prima rock band italiana in quindici anni a debuttare in uno stadio (gli ultimi a riuscire nell’impresa, nel 2008, furono i Negramaro): “Per noi arrivare a fare palchi del genere è sempre stato un sogno, sin da quando abbiamo cominciato a provare insieme. Essere qui è un traguardo - dice Damiano ai 60 mila dell’Olimpico di Roma, parlando a nome di tutta la band - ma ogni traguardo ha un punto partenza. Il nostro fa così”. E attaccano “Chosen”, che presentarono ai provini di “X Factor”.

Galleria fotografica
Maneskin - 20 luglio 2023 - Stadio Olimpico - Roma - Maneskin in concerto
Foto di: Luigi Orru
Vai alla gallery completa




Hanno alle spalle appena tre dischi (“Il ballo della vita” del 2018, “Teatro d’ira - Vol. I” del 2021 e “Rush!”, uscito a gennaio), ma in questa manciata di anni hanno raggiunto mete così importanti, bruciando inevitabilmente le tappe, che le esibizioni sul palco del talent show sembrano appartenere già a un’altra era. Davanti al pubblico della loro città vanno con il pilota automatico. “Gossip”, “Zitti e buoni”, “Chosen”, “Own my mind”, “Supermodel”, suonate una dietro l’altra praticamente senza soluzione di continuità, fanno vibrare gli spalti: Damiano, Victoria, Thomas e Ethan sanno perfettamente cosa devono fare. Sono i loro primi show negli stadi - la data zero di domenica allo Stadio Rocco Nereo di

Trieste davanti a 25 mila fan è stata un trionfo: a Roma si esibiranno anche stasera, in attesa dei due show di lunedì 24 e martedì 25 luglio a San Siro a Milano, per un totale di cinque sold out - ma sembrano essere nati per questo: davanti ai 60 mila dell’Olimpico, reduci dal trionfo di fine giugno a Glastonbury, si muovono sicuri, riempiendo un palco enorme, che sembra pure troppo piccolo per contenere il loro carisma. “Adesso c’è un fuori programma, una cosa che neanche i ragazzi sanno. Permettemi di avere paura. Per me questa è sempre stata un’ossessione, un punto che avrei dovuto raggiungere, un chiodo fisso. Grazie Vic, grazie Ethan, grazie Thomas per avermi permesso di arrivare qui”, dice Damiano, citando il disco d'addio di Francesco Totti al calcio, sempre più convinto del suo ruolo di leader, prima di cantare a sorpresa a cappella “Iron Sky” di Paolo Nutini, tra “Le parole lontane” e “Baby said”. Non manca di togliersi qualche sassolino dalle scarpe: “Voglio fare il polemico. Ci dicono: ‘È vero, hanno fatto successo all’estero. Ma con una cover’. A me quello che viene da dire è: ‘Sì, è una cover. Però noi l’abbiamo fatta’”, sorride su “Beggin’” dei Four Season, più vicina alla versione dei norvegesi Madcon del 2007 che a quella originale di Frankie Valli e soci di quarant’anni prima. Victoria, la vera mente del gruppo, che fondò insieme al chitarrista Thomas Raggi ai tempi del liceo scegliendo anche il nome (una parola che nella lingua della mamma, danese, significa chiaro di luna), dando una seconda possibilità a Damiano dopo averlo cacciato da una precedente band perché lo considerava un poppettaro, si prende i suoi spazi tuffandosi tra la folla su "La fine", senza separarsi mai dal suo basso.

Quella di "Beggin'" è l’unica cover, da scaletta: ora che hanno un repertorio tutto loro, non hanno più bisogno di infarcire le scalette dei loro concerti con rivisitazioni. Il rock derivativo di pezzi come “I wanna be your slave”, “Gasoline” e “Mammamia”, potente e sbruffone, gli ha permesso di andare a riempire un vuoto: oggi parla alle masse - “Ma-ne-skin, Ma-ne-skin!”, urlano ancor prima dell’inizio del concerto i fan, accalcati nel parterre e sugli spalti dalle 16, resistendo al caldo torrido - e le muove. Damiano, Victoria, Thomas e Ethan sembrano più concentrati e meno affamati, in questa fase della loro carriera in cui sono

chiamati a rispettare gli alti standard imposti a un progetto come il loro (dagli Usa è arrivato anche l’entourage dietro ai successi americani del gruppo, in occasione dello show all’Olimpico): da “In nome del padre”, “For your love” e “Coraline” alla parentesi acustica - in mezzo al parterre - con “Torna a casa” e “Vent’anni”, dal vivo sono precisi, impeccabili, decisamente poco rock o paradossalmente più rock di tutti, oggi che il dilettantismo dilaga e chiuque abbia delle velleità arriva a improvvisarsi star. La musica viene supportata da un allestimento muscolare, da kolossal (la cartella stampa è un elenco di dati da addetti ai lavori che sottolineano le ambizioni della produzione: oltre 650 corpi illuminanti, 15 km di cavi, 200 metri di truss e strutture per sorreggere oltre 150 motori, e via dicendo). Su “Kool kids”, come da tradizione ormai, fanno salire una quarantina di fan sul palco, per un party rock’n’roll prima della chiusura strappalacrime con “The loneliest”.

Chi due anni fa, dopo la clamorosa - e fragorosa - vittoria al Festival di Sanremo contestò la credibilità e la genuinità del progetto, è ancora dietro a una tastiera a chiedersi se i Maneskin possano essere considerati o meno una rock band. Loro nel frattempo, mischiando sudore e azzeccate operazioni di marketing, sono diventati un fenomeno mondiale senza precedenti nella storia della musica italiana, una macchina da guerra che vale 7,8 miliardi di streams, 328 tra Dischi di diamante, di platino e d’oro a livello planetario e una caterva di biglietti venduti con un tour mondiale che da qui alla fine dell'anno li vedrà per la prima volta protagonisti nei palazzetti di Giappone, Canada e Usa, facendo tappa nei templi della musica internazionale come il Madison Square Garden di New York o il Kia Forum di Los Angeles. Traguardi che fanno sembrare anche un concerto all'Olimpico una tappa di passaggio qualunque di un percorso decisamente più ambizioso.

SCALETTA:

“Don’t wanna sleep”

“Gossip”

“Zitti e buoni”

“Chosen”

“Own my mind”

“Supermodel”

“Le parole lontane”

“Baby said”

“Bla bla bla”

“Beggin’”



“In nome del padre”

“For your love”

“Coraline”

“Gasoline”

“Timezone”

“I wanna be your slave”

“Torna a casa”

“Vent’anni”

“La fine”

“Mark Chapman”

“Mammamia”

“Kool kids”

“The loneliest”

“I wanna be your slave”