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I Muse all’Olimpico: benvenuti all’Armageddon populista

I Muse all’Olimpico: benvenuti all’Armageddon populista


La stravaganza rock del trio conquista Roma. Strizzando l'occhio al populismo. La recensione.

Di Mattia Marzi

“We need a revolution, so long as we stay free”, urla Matt Bellamy fomentando i 40 mila dello Stadio Olimpico di Roma, con il volto nascosto dietro una maschera metallica, la stessa che nel video della canzone che ha dato il titolo all’ultimo album dei Muse, con la quale la band apre lo show, il frontman distribuisce ai manifestanti, da capopopolo che guida una rivolta. Alle spalle del trio si accende all’improvviso un cerchio infuocato che riproduce il logo del disco uscito lo scorso anno, composto dalle iniziali del titolo: “Will of the people”, letteralmente “Volontà del popolo”. Benvenuti all’armageddon populista dei Muse: il rock distopico e antisistema del trio britannico torna a colpire, assumendo dimensioni apocalittiche. Ieri sera Matt Bellamy, Chris Wolstenholme e Dominic Howard hanno infiammato lo stadio della Capitale - a cantare e ballare per oltre due ore anche Thomas Raggi e Ethan Torchio dei Maneskin, che domani si esibiranno per la prima volta in carriera proprio all'Olimpico - per la prima delle due date italiane del “Will of the people tour”, replica sera a San Siro, in una notte già di per sé caldissima (a causa delle elevate temperature hanno pure posticipato l’inizio dello show, dalle 21 alle 21.45: nonostante l’appello rivolto ai fan a fare attenzione al caldo, alle 17 già in migliaia erano fuori dallo stadio ad aspettare l’apertura dei cancelli). Confermandosi come una delle pochissime rock band capaci di mettere in piedi concerti pensati come veri e propri show tra i più epici e spettacolari mai visti, esplosivi, pirotecnici, spettacolari. Anche esagerati, sfarzosi e indiscutibilmente stravaganti, certo: ma che non deludono mai le aspettative.



Nel 2016 fecero volare sulle teste degli spettatori del “Drones World tour” dei droni, tra incidenti e polemiche.

Nel 2019, l’anno del loro ultimo passaggo negli stadi italiani per il tour legato a “Simulation theory”, a San Siro e all’Olimpico (prima di tornare ad esibirsi nel nostro paese lo scorso anno per due date, una al Firenze Rocks e l’altra all’Alcatraz di Milano), si presentarono sui palchi con un gigantesco e inquietante replicante gonfiabile. Stavolta il concept dello show vede il trio partito nel 1992 da Teignmouth, nel Regno Unito, alla conquista delle classifiche, e diventato presto una delle più solide realtà della scena rock mondiale, ricreare le .atmosfere distopiche e antisistema che caratterizzano i brani del disco uscito lo scorso anno, il nono di una carriera da oltre 30 milioni di copie vendute a livello mondiale. I riff di chitarre elettriche e i cori di protesta rappresentano musicalmente il rancore che anima la folla: “The judges are jailed and the future is ours”, canta Bellamy, calandosi perfettamente nell’immaginario distopico dal quale i suoi Muse hanno attinto per i loro ultimi lavori. Finendo paradossalmente per diventare ciò che hanno sempre combattuto: una band che non critica il populismo, ma lo incarna e soffia sulla rabbia sociale, strizzando l’occhio con quei vaghi appelli alla rivoluzione - come ha scritto il Guardian, recensendo la tappa francese dello show, lo scorso giugno - tanto alla destra quanto alla sinistra. E forse non è un caso che nel frame finale del video di “Will of the people”, proiettato in tempo reale sui maxischermi dell’Olimpico, i manifestanti distruggano tre gigantesche statue che riproducono i volti di Bellamy, di Wolstenholme e di Howard.


Di questo concept show, le canzoni in scaletta rappresentano l’ideale colonna sonora: quelle dei dischi precedenti a “Will of the people”, da “Hysteria” a “Thought contagion”, da “Psycho” a “Resistance”, è come se facessero parte insieme alle nuove di un’unica storia, di un’unica trama: vengono adattate accuratamente al tema dello spettacolo. Che contiene anche qualche passaggio ambiguo e criptico. Su “Psycho”, ad esempio, le urla all’inizio della canzone non sono quelle del sergente spietato, ispirato al maggiore Hartman di “Full Metal Jacket”, ma di Satana E va’ a capire cosa rappresenti esattamente e cosa ci vogliano dire Bellamy e compagni.

.Le reference sono un’accozzaglia di cose tenute insieme in modo eccentrico: la distopia di “1984” di George Orwell - da sempre uno dei punti di riferimento dei Muse, che al libro dello scrittore, giornalista e critico letterario britannico si ispirarono esplicitamente già nell’album “The resistance” del 2009, da cui ripescano anche “Undisclosed desires” e “Uprising” - incontra la visione del futuro di film e serie come “Black mirror”, “Blade runner” e “V per Vendetta”. Spaziano dall’hard rock al pop futurista, dal metal alla dance più spinta, divertendosi a sparigliare le carte anche dal vivo, come fanno da anni con i loro dischi, che hanno fatto passare dalle mani di Robert John “Mutt” Lange (il produttore degli AC/DC e dei Def Leppard, tra gli altri, ai quali nel 2015 affidarono “Drones”) a quelle di Timbaland (il re mida dell’hip hop americano d’alta classifica degli anni a cavallo tra i ’90 e i Duemila, l’uomo dietro ai successi di Justin Timberlake, Jay-Z e Ludacris, arruolato nel 2019 per “Simulation theory”). Al centro ci sono le intuizioni e i guizzi di Matt Bellamy, genio poliedrico ed eclettico: un momento fa scatenare il pubblico con la fragorosissima “Time is running out”, un momento dopo si diverte a suonare la melodia dei synth di “Uprising” usando un Power Glove, pavoneggiandosi nel mezzo a cantante di una band Anni ’80 qualunque su “Compliance”, che fa ballare la folla tra funk e elettronica mentre sulle teste dei fan accalcati nel parterre esplodono le stelle filanti, prima di sfoggiare gli abituali virtuosismi tecnici alla chitarra come su “Madness” (dove la follia personale assume le dimensioni della follia e dell’isteria collettiva, dell’umanità intera) o su “We are ******* ****ed”. “We love you, Roma”, sorride.

La distopia dei Muse spesso assume quasi i contorni della preveggenza, tra un pezzo e l’altro di un repertorio che parla spesso di disastri ambientali e guerre. “Won’t stand down”, una delle canzoni pescate da “Will of the people”, Matt Bellamy e soci l’avevano scritta prima dell’esplosione del conflitto in Ucraina, dove erano volati pure per girare il videoclip. Oggi, dal vivo, sembra davvero un inno di resistenza, che evita però ogni forma di retorica: “Won't stand down, I’m growing stronger”, “Non mi arrenderò, diventerò più forte”, canta il frontman, mentre un gigantesco pupazzone che riproduce le sembianze dei sovversivi del video di “Will of the people” sorveglia, alle spalle del palco, il trio.

Nel calderone di suggestioni, oltre alla distopia e all’attualità, ci finiscono pure le .atmosfere di certi horror cult, da “Venerdì 13” a “Nightmare”: i volti di Jason Voorhees e Freddy Krueger vengono mostrati sugli schermi su “You make me feel like it’s Halloween”, anticipata - in uno dei passaggi più spiazzanti e disturbanti del concerto - dalla “Toccata e fuga in re minore” di Bach.



È così, che diventeremo? Degli psicopatici disposti a tutto, nella guerra di tutti contro tutti? Sì. I Muse lo cantano - e lo suonano - in “Kill or be killed”, “Uccidi o sarai ucciso”, con quel riff di ispirazione heavy metal che squarcia l’Olimpico, spazzando via le sonorità più morbide di “Starlight”. Il riferimento è a Thomas Hobbes e la convinzione che l’uomo sia un lupo per gli altri uomini. Sul finale con “Knights of Cydonia”, con l’immancabile omaggio a Ennio Morricone nella citazione del tema de “L’uomo con l’armonica” da “C’era una volta in West”, è il busto di Satana, ora, a sovrastare il palco. No, non è il trionfo del male: Satana rappresenta il mostro rivoluzionario che è dentro ognuno di noi. Adesso è chiaro: “Time has come to make things right / you and I must fight for our rights / you and I must fight to survive”, “È arrivato il momento di fare giustizia / tu ed io dobbiamo lottare per I nostri diritti / tu ed io dobbiamo lottare per sopravvivere”, urla Bellamy, aizzando l’Olimpico. L'Armageddon populista è già qui.


SCALETTA:

“Will of the people”
“Interlude”

“Hysteria”

“Pyscho”

“Map of the problematique”

“Resistance”

“Won’t stand down”

“Compliance”

“Thought contagion”

“Verona”



“Time is running out”

“The 2nd law: isolated system”

“Undisclosed desires”

“You make me feel like it’s Halloween”

“Madness”

“We are ******* ****ed”

“The dark side”
“Supermassive black hole”

“Plug in baby”

“Behold, the glove”

“Uprising”

“Prelude”

“Starlight”

“Kill or be killed”

“Knights of Cydonia”