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Blanco e Mina, un’operazione riuscita a metà

Blanco e Mina, un’operazione riuscita a metà
Per uscire dal cono d’ombra in cui si è gettato dopo lo sfogo punk a Sanremo e in cui lo ha relegato Lazza, Blanco torna con Innamorato duettando con la tigre di Cremona. Un’operazione volta a conquistare i genitori e i nonni dei suoi fan più che i fan stessi. Ma Un briciolo di allegria, canzone datata e banalotta, stona con il resto del disco.

16 Aprile 2023 09:02

Michele Monina

Blanco e Mina, un'operazione riuscita a metà
Blanco torna sul luogo del crimine con il suo secondo album, Innamorato. Questa semplice notizia infonde spaesamento. Perché da una parte sembra che Blanco non se ne sia mai andato, è vero che il suo album d’esordio, Blu celeste, è datato 2021, ma nel mentre c’è stata la vittoria al Festival di Sanremo 2022, con Brividi in coppia con Mahmood, e poi Eurovision, certo, il conseguente tour estivo praticamente sold out ovunque, l’annuncio di un futuro San Siro e di un futuro Olimpico, parliamo della prossima estate. Dall’altra è arrivato Sirio, album di Lazza, che nel giro di uno zot, ormai oggi sembra funzionare tutto così, ha scalzato Blanco in vetta non solo alle classifiche – in quelle di vendite del 2022 Blu Celeste sarà giusto un gradino sotto l’album del rapper milanese – quanto piuttosto dell’hype. Il passaggio di Lazza sul palco dell’Ariston all’ultimo Sanremo con Cenere, di fatto la vincitrice morale del Festival, al pari di Furore di Paola e Chiara, conferma come la frammentazione dell’attenzione cui oggi siamo stati indotti da una società sempre più connessa e quindi dipendente dalle modalità della rete abbia portato il tempo a relativizzarsi sempre più, essere fuori dai giri poche settimane equivale a quel che in passato erano anni e anni.

Quello sfogo quasi punk all’Ariston che si è trasformato in un clamoroso boomerang
Certo, proprio Sanremo avrebbe dovuto sancire il ritorno sulle scene del giovanissimo cantautore bresciano, non fosse che l’ormai discussissima esibizione sul palco dell’Ariston. Gli earmonitor che non funzionano, quella che doveva essere una specie di gag scritta sul copione diventata uno sfogo quasi punk, le rose fatte a pezzi, i vasi lanciati. Quella che doveva essere una semplice esibizione concordata si è trasformata nel più clamoroso dei boomerang. Le polemiche, addirittura le denunce, Gianluca Grignani a doverlo difendere sul palco, dopo che in qualche modo Gianni Morandi col suo spazzare le rose distrutte, gag improvvisata ma assai efficace, lo aveva in qualche modo reso quasi ridicolo, come se l’età non dovesse avere un peso, specie in certe situazioni di estrema tensione. Tutto ha in qualche modo reso un gigantesco passaggio promozionale in una sorta di retrocessione, un biglietto di sola andata per la prigione senza passare dal via. L’assenza di una pronta contromossa da parte della sua casa discografica, la Universal, a gridare come solo certi silenzi sanno fare.


Blanco ha bisogno di Mina, Mina molto meno di Blanco
Quindi sì, Blanco torna sul luogo del crimine, il mercato, con il suo secondo album, Innamorato. Questa semplice notizia infonde spaesamento. Perché tutto sembra di nuovo da costruire, come se fosse un esordio. Perché Lazza nel mentre è un gigante mainstream, uno che porta i fiori, gli stessi fiori che Blanco ha distrutto, alla mamma in diretta tv, lì all’Ariston, conquistando il cuore del pubblico generalista, anche quello dei boomer e più anziano ancora, oltre che le classifiche FIMI. Perché proprio L’isola delle rose, il brano proposto, si fa per dire, in quel di Sanremo, scritto come sempre col suo alter ego musicale Michelangelo, deus ex machina e in machina del progetto Blanco, è suonata un po’ meno bene delle canzoni precedenti, niente di nuovo sul fronte occidentale. Perché, questo il punto, l’avvicinamento a un pubblico non di giovanissimi, magari proprio i genitori dei tanti ragazzini che lo hanno seguito nel tour estivo 2022, e che dovrebbero accompagnare i medesimi giovanissimi in quel di San Siro e dell’Olimpico, non certo sold out al momento in cui queste parole vengono vergate, è sembrato un fallimento su tutta la linea, al punto che vedere (e sentire) della collaborazione con Mina, da sempre attenta e curiosa verso quel che accade anche lontano da lei, sembra più utile a lui che alla tigre di Cremona, da troppo tempo fuori dal tempo e da ogni logica discografica.


Perché se è vero, come è vero, che l’ultra 80enne Mina ha decisamente bisogno di sangue fresco per rinverdire il suo repertorio, è anche vero che non è certo il pubblico di Blanco quello cui punta, lei che al massimo può essere finita negli ascolti di quella fascia di età a casa dei nonni più che dei genitori, mentre è vero indiscutibilmente che Blanco abbia bisogno, oggi più che mai, di rendersi credibile per un pubblico adulto, quello appunto dei genitori, forse anche dei nonni, dei suoi coetanei, per poter tentare il colpaccio di riempire San Siro come l’Olimpico. Per poter riconquistare quell’aura di bravo ragazzo protagonista della ripartenza live – anzi, in molti casi proprio della partenza – di una generazione tenuta ai blocchi di partenza dal Covid, e finalmente iniziata alla vita sociale. Aura che poco si addice a chi è passato in prima serata nell’atto di distruggere fiori nella città dei fiori, invece di portare avanti un messaggio positivo.


Mina chiamata a disinnescare una mina vagante
Mina, la cantante senza corpo, quella con la cui voce potrebbe cantare qualsiasi cosa, incaricata di vestire i metaforici panni della traghettatrice di Blanco oltre le sponde dell’impresentabilità, verso un futuro tutto rose e fiori, è il caso di dirlo, lei chiamata a disinnescare questa incauta immagine di mina vagante del nostro panorama pop. In effetti, le canzoni possono essere raccontate e teorizzate quanto si vuole, ma poi basta ascoltarle con un po’ di attenzione per capirle. Un briciolo di allegria, questo il titolo del brano che vede i due lì a duettare, parte forse come un brano di Blanco, lui in falsetto con un filo di autotune, ma appena Mina attacca a cantare ecco che diventa una canzone sua, solo sua, implacabilmente sua. Una bruttina canzone sua, con un ritornello piuttosto scontato, quasi banalotto, delle chitarre elettriche Anni 80 sotto e un pa-pa-pa-pà reiterato che non può non stonare con il resto del disco, il disco di Blanco, tranne che in qualche apertura melodica nelle ballad del tutto appoggiato sul suo passato, ritmo e falsetti, autotune usato con competenza come pochi, sillabazione discutibile ma incisiva.


Un briciolo di allegria, così datata, stona con il resto dell’album
Blanco è un artista giovane, con una personalità ben definita, e ha a fianco un nerd di talento come Michelangelo che gli cuce addosso canzoni che sono sempre in bilico tra la sua carica selvaggia, quella che lo fa andare in giro in mutande in ogni dove e che poi gli fa distruggere rose sul palco dell’Ariston, appunto, e una malinconia disperata, quasi un manifesto di un certo nichilismo della sua generazione, che non a caso lo ha eletto a rappresentante di sé. Con picchi quali Vada come vada, ma anche la spinta smodata di brani come Scusa, Raggi del sole o Giulia, roba che stona incredibilmente con quel “pa-pa-pa-pà” così datato.