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I Depeche Mode, l’elettronica e la mortalità

I Depeche Mode, l’elettronica e la mortalità
Come suona e di cosa parla “Memento mori”: l’ascolto in anteprima, canzone per canzone

Di Gianni Sibilla
In copertina due ali di angelo, composte da fiori, come corone mortuarie. Sul retro del cd, due sedie vuote e un teschio su un tavolo. Il titolo: “Ricordati che devi morire”. Nel primo disco in sei anni dei Depeche Mode, e nel loro primo lavoro in duo, Martin Gore e Dave Gahan si confrontano con la mortalità, senza giri di parole e con un immaginario che non lascia spazio all’immaginazione.


“Everything seems hollow/When you watch another angel die”, cantano in una delle prime canzoni. Il tempo che passa, la vita che potrebbe finire da un momento all’altro; un tema ricorrente nel pop-rock, soprattutto ad un certo punto della carriera: Bowie, U2, Springsteen, R.E.M., per citare i primi che vengono in mente. I Depeche Mode lo affrontano con sonorità cupe - che fanno parte della loro musica da sempre - ma con un suono più classicamente elettronico rispetto alle prove precedenti.
Con questo tema, facile pensare a Fletch, a cui è dedicato “Memento mori” (“nei nostri cuori e nelle nostre menti”, si legge nel CD). Ma non è un disco sul compagno scomparso all’improvviso l’anno scorso: l’album era già stato scritto da Gore e Gahan prima, il titolo già deciso. Fletch era fondamentale nelle dinamiche della band, ma il suo ruolo efffettivo in studio è stato a lungo oggetto di discussione: qua, comunque, il suo fantasma aleggia eccome, ed è evocato da una terza ombra di una foto con Gahan e Gore che guardano l’orizzonte.
“Memento mori” segna un ritorno dei Depeche Mode ad una dimensione più personale e meno politica rispetto alla rabbia dell’ultimo “Spirit”. Le canzoni, ad un primo impatto, suonano più incisive rispetto a quelle del disco precedente, che con il tempo hanno perso smalto: fu una delle prove meno riuscite della band, con il senno di poi. Presto per dire dove si colloca “Memento mori” nella discografia, ma la prima impressione è ottima.

Chi ha lavorato al disco
Nei crediti dell’album c’è qualche sorpresa. L’album è prodotto da James Ford (Simian Mobile Disco, Last Shadow Puppets), già al lavoro sul precedente, mentre l’italiana Marta Salogni (qua la nostra intervista) è accreditata come “Engineering and Additional Programming”, ma non solo: è co-autrice di un brano, la traccia finale ‘Speak To Me’. Tra gli autori del disco c’è Richard Butler, che co-firma 4 brani con Martin Gore, compreso il singolo “Ghosts again”: se il nome vi dice qualcosa, sì, è proprio lui: il cantante dei Psychedelic Furs, band inglese di successo negli anni ’80 (“Pretty in pink”, ricordate?). Gahan invece è co-autore di tre brani.
Davide Rossi suona invece in ben 7 brani: gli archi, come ci ci ha raccontato lui stesso , sono una delle novità introdotte dal James Ford per questo album. L’album è stato registrato agli Electric Ladyboy di Santa Barbara e agli Shangri-La, gli studi di Rick Rubin a Malibu, e poi mixato da Marta Salogni agli Studio Zona a Londra. L’artwork, come sempre, è di Anton Corbijn.

L’album, canzone per canzone
"My Cosmos Is Mine”
Un inizio scuro, con voci e beat “sporchi” che si inseguono: con un grande contributo di James Ford che - come succede in diverse canzoni - suona e programma oltre che produrre. Un inno all’autodeterminazione che porta subito l’album su un territorio più intimo rispetto a “Spirit”: “Don't play win my world/Don't mess with my mind/Don't question my spacetime/My cosmos is mine".
E poi ancora “no war no fear, No final breaths, No senseless deaths”: il tema della morte che affiora subito.

“Wagging Tongue”
Cofirmata da Gore con Gahan, parte con un synth un po’ retrò, quasi alla Kraftwerk, su cui si innestano i beat, e una melodia subito aperta: “You won’t do well to silence me/With your words or wagging tongue/With your long tall tales of sorrow/Your song yet to be sung”.
E di nuovo il tema della morte che riaffiora: “I won't be persuaded/Kiss your doubts goodbye/Everything seems hollow/When you watch another angel die”.

“Ghosts Again”
Il primo singolo, un gran pezzo classicamente Depeche con beat e chitarre che si incrociano. Dopo averlo ascoltato un po’ di volte è ancora più bello, e si notano le sfumature degli arrangiamenti. È la prima canzone co-firmata da Gore con Richard Butler e la prima in cui compaiono gli archi di Davide Rossi.

“Don’t Say You Love Me”
Una pedal steel guitar che si intreccia con gli archi e i beat, una melodia quasi languida: “You are the singer l am the song/The tune that will linger/The bitter taste left on your tongue/So don't say you love me/How could you love me”.

Un brano in cui il suono di violino e violoncello è protagonista: dà un tocco cinematografico e nuovo ad un sound classico.

“My Favourite Stranger”
Si apre con un basso distorto e un beat, su cui entra una chitarra anch'essa distorta: altra canzone molto scura e molto classica: “My favourite stranger/Stands in my mirror/Puts words in my mouth/All broke and bitter/Some perfect stranger/My Imitation/Drops my name in my conversations”

“Soul With Me”
Scritta e cantata da Martin Gore, ha un inizio epico, quasi alla Morricone, poi diventa una ballata più tradizionale, scandita dalla rimtica dritta, con archi e synth che si intrecciano con la voce: “I see the beauty/As the leaves start falling/Follow the light/Towards the voices calling/I'm going where the angels fly/And I'm taking my soul with me/I’m ready for the final pages/Kiss goodbye to all my earthly cages/I’m climbing up the golden stairs”.

"Caroline’s Monkey"
Inizio centrato sulla voce di Gahan: “Caroline knows how fragile we are/With hope as our faith we look to the stars/Caroline's monkey is crying again/There's no satisfacion on Caroline's train”.
Synth e beat che si aggiungono poco per volta, ma il brano rimane sempre un po’ sospeso - con un ritornello efficace “Fading’s better than failing/Faling’s better than feeling/Folding’s better than losing/Fixing’s better than healing”.

“Before We Drown”
Scritta da Gahan con i due membri aggiuntivi dei Depeche Peter Gordeno e Christian Eigner, inizia con un synth retro e aggiunte elettroniche di sottofondo di elettronica più contemporanea, quasi IDM, e un finale con un crescendo con gli archi trattati. Un’altra canzone sulla fragilità umana: “I feel so naked, standing on the shore/Are you sure nothing's out there, nothing else/ no more/ First we stand up, then we fall down/We have to move forward, before we drown"

“People Are Good”
Scritta interamente da Gore: voce, beat e synth, un altro brano che nella ritmica quasi meccanica ricorda un po’ i Kratfwerk, con un effetto davvero notevole: “Keep telling myself that people are good/Whisper it under my breath so I don't forget/Keep fooling myself that they do all they can/Sometimes they simply slip up/But it's not what they meant/Heaven help me, Heaven help us”.

“Always You’
L’amore come salvezza in tempi incerti: forse non un tema originalissimo, ma eseguito bene, con altri grandi suoni elettronici, archi e una bella melodia: “My love, the world's upside down/My love, no solid ground/My love, there are no more facts/My love, reality's cracked/and then there's you/There’s always you/You're all I need to keep believing/ And then there’s you/There's always you”

"Never Let Me Go"
Un’inizio che quasi ricorda “She’s lost control” dei Joy Division, coi beat e le chitarre che tornano ad essere in evidenza dopo un po': “We will be beacons/Shining so bright/Like stars in the darkness/For lovers at night/Never let me go/Never let me go”

"Speak To Me"
Una canzone di Gahan cofirmata dal produttore James Ford, da Christian Eigner e da Marta Salogni: la voce su un tappeto di synth, senza ritmica per buona parte del brano, fino al crescendo con archi dissonanti e qualche beat. Una sorta di elegia finale ad effetto: “Speak to me, in a language that I can understand/Tall me, that you're listening give me some kind of plan/Give me something, you'd be my drug of choice/You lead me, I follow your voice”