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Il pop italiano è andato in crisi d’identità

Il pop italiano è andato in crisi d’identità

La prima, nell’autunno del 2020, il primo dopo i mesi del lockdown duro, fu Laura Pausini: “Con il lockdown mi sono sentita persa. Sono entrata in crisi. A un certo punto mi sono chiesta anche se a qualcuno importasse ancora se io cantassi o meno”, confessò l'interprete romagnola. Pochi mesi dopo la voce de “La solitudine”, alla vigilia della cerimonia di consegna dei Premi Oscar (ai quali era candidata con “Io sì” come Miglior canzone originale del film “La vita davanti a sé”, l’ultimo con Sophia Loren), aggiunse: “Ho l’ansia da prestazione. Anni fa sono andata dallo psicologo perché mi sentivo in colpa ad avere successo e lo vivevo male”.

Sembrava uno sfogo singolo, isolato, di una grande protagonista del pop italiano “classico” (chiamiamolo così, tra virgolette): .era in realtà solamente il primo, importante sintomo della crisi d’identità del genere, che però tutti ignorarono.



Sì, il pop italiano è andato in crisi d’identità. Sono gli stessi suoi protagonisti ad ammetterlo, raccontando tra dischi, docu-film e interviste le rispettive fragilità. Tutta colpa della pandemia, che ha costretto a un riposo forzato artisti non abituati a restare fermi ai box, costringendoli in qualche modo a confrontarsi con sé stessi nelle loro solitudini domestiche? Di sicuro i mesi del lockdown, con le restrizioni che hanno di fatto congelato un intero settore, quello della musica dal vivo, hanno avuto un impatto importante sulla salute mentale delle star del pop-rock (e mica solo quelle italiane - pensate al pianto social di Adele, ad esempio). Ma la sensazione è che la pandemia abbia più che altro ingigantito malesseri che c’erano già prima del Covid-19, finendo per esacerbarli.

Da un lato la carta d’identità, che ha messo certe grandi star del pop italiano degli ultimi (almeno) vent’anni davanti al fatto che il tempo alla fine è passato, e che i Dischi d’oro e di platino non l’hanno fermato. Dall’altro il ricambio generazionale della musica mainstream italiana, con l’indie prima e la trap poi che hanno imposto nuovi standard, che ha spinto alla riflessione pure popstar di nuova generazione come Francesca Michielin: “Quando sono tornata in gara a Sanremo nel 2021 mi sentivo una boomer, rispetto agli artisti che c’erano, dai Madame ai Coma Cose.

.Li percepivo come molto più freschi di me. Sono andata in analisi. Non sapevo come vivere l’esperienza. Mi sentivo una vecchia”, ha rivelato la 28enne cantautrice veneta, che l’anno scorso ha festeggiato il decennale dalla vittoria a “X Factor”.

Lo ha spiegato Tiziano Ferro, raccontando la sua, di crisi di identità: “A 40 anni non sei vecchio, ma nemmeno più giovane. Per mesi non ho capito da che parte stessi”. A tirarlo fuori dal tunnel ci ha pensato - ha raccontato lui - Jovanotti, che lo ha invitato ad auto-considerarsi come un classico, dove per classico si intendono tutti quegli artisti che abbiano in repertorio una ventina di canzoni che tutti conoscono.

E così se l’ultimo progetto discografico, “Accetto miracoli”, anche grazie a una ristampa si era fermato a un quarto delle vendite del precedente “Il mestiere della vita” (150 mila contro 600 mila, certificazioni Fimi alla mano), .è in altri dati che Ferro ha trovato serenità: quelli relativi ai biglietti dei suoi concerti. Il terreno di gioco sul quale quelli della sua generazione continuano a macinare numeri che le star dell’indie e i trapper di ultima generazione sognano: “Quando il mio promoter mi ha detto che delle 400 mila persone che avevano acquistato i biglietti per il tour del 2020, poi rinviato di tre anni, pochissime hanno chiesto il rimborso, dopo la mia decisione di restituire i soldi, è stata una sveglia”. Gli ha fatto capire che “non devo rincorrere le mode dei social e dello streaming, giocando in un campionato che non è il mio, perché i fan da me vogliono quello che ho sempre fatto”. E pazienza che nel nuovo album “Il mondo è nostro” duetti - tra gli altri - con thasup, più giovane di lui di ventuno anni, e nella canzone incisa insieme al genietto di Fiumicino si ritrovi a cantare “non stoppo ‘sto joint”, che nella lingua criptica di thasup significa “non annodo questo spinello”: “Mi andava di farlo e l’ho fatto: volevo concedermi un po’ di leggerezza”, ha detto lui, ironico.



Di una crisi di identità simile a quella attraversata da Tiziano Ferro ne ha parlato recentemente anche Giorgia, alla vigilia dell’uscita del suo nuovo album “Blu1”, il primo in ben sette anni: “Ho pensato di ritirarmi. Mi dicevo che forse quello che dovevo fare lo avevo fatto, non volevo insistere. Anche cantare mi sembrava difficile, non sapevo più quale fosse lo stile”, ha confessato la voce di “Di sole e d’azzurro”, “Come saprei”, “Strano il mio destino”, “Gocce di memoria”, tra i grandi classici della musica pop italiana degli ultimi trent’anni.

Per uscire da un impasse simile, la collega Laura Pausini aveva provato ad affidarsi anche alla penna di Mahmood, salvo poi cestinare le demo frutto dei tentativi di scrittura con la voce di “Soldi”. Anche Giorgia si è affidata a Mahmood, che ha co-firmato “Normale”, il primo singolo estratto dal disco: “.Ho cercato il mio posto tornando alle origini, alla black music che mio padre mi obbligava ad ascoltare da piccola e alle sonorità r’n’b. Ho dovuto provare molto il pezzo scritto da Mahmood, è un modo di cantare serrato che ho dovuto imparare. Alle nuove generazioni viene naturale questa modalità. Per me una piacevole evoluzione”. Al di là della bontà o meno dei risultati, va dato merito al coraggio.

Altri, per esempio, durante e dopo il lockdown si sono fermati. Passando il tempo in casa, più che a riflettere, a spolverare i quadri dei vecchi Dischi d’oro o le foto ingiallite. Gli inediti contenuti in “7”, l’album pubblicato da Ligabue nel dicembre del 2020 insieme alla raccolta “77”, erano dichiaratamente outtakes dei precedenti lavori del rocker di Correggio.

Il cui ultimo album di inediti, “Start”, risale al 2019. Vinse due Dischi di platino per l’equivalente di 100 mila copie vendute, poco meno del precedente “Made in Italy”, uscito tre anni prima, arrivato al triplo Disco di platino per un totale di 150 mila copie vendute. Numeri imparagonabili a quelli di “Mondovisione”, che tra il 2013 e il 2014 superò le 350 mila copie vendute, ma comunque più che dignitosi nell’era dello streming che premia, più che gli over 30, gli artisti di ultima generazione ascoltati compulsivamente dai giovanissimi. .Negli ultimi due anni Ligabue ha pubblicato due autobiografie, una serie, una raccolta, celebrato i suoi trent’anni di carriera con un concerto-evento che è stato più volte rimandato proprio a causa delle restrizioni e che infine si è tenuto - davanti a oltre 100 mila fan - lo scorso giugno alla RCF Arena di Campovolo e girato il film dello stesso evento (da domani al cinema, ma solo per tre giorni): “Con il covid non poitendo guardare avanti mi sono guardato indietro”, ha detto lui, emblematicamente.