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L'album che è il Sacro Graal per i fan dei Pink Floyd

L'album che è il Sacro Graal per i fan dei Pink Floyd

Per i fan dei Pink Floyd "The Piper at the Gates of Dawn" rappresenta il Sacro Graal della discografia della band che qualche anno dopo sarebbe stata assurta a leggenda con album come "The Dark Side of the Moon" e "Wish You Were Here", essenzialmente per due ragioni: oltre ad essere il primo album consegnato agli annali da una delle band da sempre considerate più rilevanti nella storia del rock, il 5 agosto del 1967, è l'unico disco registrato dai Pink Floyd sotto la reggenza di Syd Barrett, che proprio durante la promozione del dubutto sulla lunga distanza della formazione britannica iniziò la lunga e triste parabola discendente - artistica e soprattutto umana - che lo porterà a sparire dalla circolazione restando - almeno fino al 2006, anno della sua morte - una presenza eterea e impalpabile nel cuore e nelle orecchie degli appassionati di tutto il mondo.

Tra citazioni letterarie, incomprensioni discografiche, anticipi modesti, concerti disastrosi ed exploit in classifica - "postumi", per così dire - registrati in due soli paesi al mondo, uno dei quali conosciamo molto bene, ecco a voi, alcune curiosità su un disco - se non "il" disco - che ha ridefinito per sempre i canoni del rock sperimentale.

Il titolo, innanzitutto: lo spunto per "The Piper at the Gates of Dawn" è stato dato dal settimo capitolo di "Il vento tra i salici", classico della letteratura per l'infanzia scritto da Kenneth Grahame nei primissimi anni del Novecento. Nello specifico, ad affascinare Syd Barrett e soci fu la parte riguardante l'incontro dei due protagonisti - Ratto e Talpa - con il dio Pan, uno dei passaggi più suggestivi e visionari dell'opera.


Poteva non esserci un legame con un'altra band britannica che ha fatto la storia del rock in "The Piper at the Gates of Dawn"? Certo che no: a produrre l'opera prima dei Pink Floyd - presso i leggendari studi di Abbey Road Studios - fu nientemeno che Norman Smith, tecnico del suono della EMI che lavorò fino al 1965 coi Beatles, quando coadiuvò i quattro di Liverpool durante le session di "Rubber Soul".


Fino al 1965 Roger Waters, Nick Mason e Richard Wright erano soltanto dei semplici studenti di architettura all'Università di Londra, così come il futuro diamante pazzo Syd Barrett non era altro che uno dei tanti studenti d'arte presenti nel sottobosco creativo della capitale britannica. Quando la EMI li mise sotto contratto i Pink Floyd, che negli anni successivi si sarebbero confermati come una delle realtà più rilevanti nella storia della musica mondiale, ricevettero un anticipo di sole 5.000 sterline.


Dal punto di vista della scrittura, "The Piper at the Gates of Dawn" è figlio di Syd Barrett, che da solo firmò praticamente tutti i brani presenti nella tracklist - eccezion fatta per "Take Up Thy Stethoscope and Walk", scritta dal solo Waters, e dagli strumentali "Pow R. Toc H." e "Interstellar Overdrive", accreditati a tutta la band. Il geniale frontman dei Pink Floyd, tuttavia, iniziò la sua tragica parabola discendente proprio durante la promozione del suo primo disco con la band...


Il progressivo consumo di LSD, la droga preferita dalla generazione psichedelica della quale Barrett e compagni facevano parte, fiaccò molto l'autore e frontman dei Pink Floyd. Il campanello d'allarme suonò poco prima di un concerto all'UFO Club, storica sala da concerti londinese che vide muovere sul proprio palco i primi passi importanti del gruppo, poco tempo dopo la pubblicazione di "The Piper at the Gates of Dawn": "Lo trovammo in camerino completamente fatto", spiegò June Child, l'assistente dell'allora manager del gruppo Peter Jenner, "Io e Roger Waters lo prendemmo e lo trascinammo sul palco. Il pubblico impazzì, perché lo adorava, ma lui si limitò a restare lì, immobile, a fissare la platea, con la chitarra che gli penzolava dal collo e le braccia stese lungo i fianchi".


Le intemperanze di Barrett impattarono molto gravemente sulla promozione di "The Piper at the Gates of Dawn": le precarie condizioni del frontman costrinsero la band a cancellare la propria partecipazione al prestigioso National Jazz and Blues Festival (antesignano dell'attuale festival di Reading), e a prendere dei provvedimenti piuttosto drastici. Jenner - il manager - e Waters fissarono a Barrett un appuntamento con uno psichiatra, al quale il frontman naturalmente pensò bene di non presentarsi. Waters rilanciò, accompagnando Barrett a Formentera per un lungo periodo di vacanza insieme a Sam Hutt, di fatto medico ufficiale della scena musicale underground inglese: ma anche questa terapia d'urto, purtroppo, non diede gli esiti sperati.


"The Piper at the Gates of Dawn" ebbe una storia molto tormentata con gli Stati Uniti: uscito negli USA con una tracklist diversa e accorciata di due brani rispetto all'edizione originale britannica (tenuta identica, tuttavia, anche sul mercato canadese), il disco fu all'origine delle incomprensioni tra la band britannica e la discografica a stelle e strisce. "In Inghilterra e in Europa è sempre andata bene, ma in America non è mai stato facile", ricorda Jenner: "La Capitol [etichetta che curò la distribuzione dell'album sul mercato americano, ndr] non riusciva a capire? 'Cos'è questa spazzatura inglese? Cristo, ci darà solo dei problemi: facciamo uscire sulla Tower Records [controllata della Capitol, ndr]'. Fu un'operazione davvero pidocchiosa nonché l'inizio di tutte le incomprensioni tra i Floyd e la Capitol. E' una storia iniziata male e proseguita peggio".


Nonostante oggi sia considerato uno degli album più importanti di tutti i tempi, "The Piper at the Gates of Dawn" non fece faville sul mercato, ai tempi della sua prima pubblicazione, raggiungendo il sesto posto nella classifica inglese e il centotrentunesimo in quella americana.

Il primo album dei Pink Floyd è diventato tuttavia un long seller, capace di affermarsi negli anni successivi nelle chart ai quattro angoli del globo. Solo su due mercati in tutto il mondo, tuttavia, il primo capitolo della discografia della band di Waters è stato certificato come Disco d'Oro: su quello britannico, ovviamente, e su quello italiano, dove nel 2017 ha ricevuto il riconoscimento per le 50mila copie vendute. A dimostrazione che i Floyd possono contare, nel nostro Paese, su una delle loro fan base più devote al mondo.