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MUSICA
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La canzone rap fa testo?

La canzone rap fa testo?
Un intervento di Roberto Manfredi

Premessa doverosa: dato che il nostro Paese è culturalmente rimasto ai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini, e nell’era digitale si è aggiornato solo sulle tifoserie da social, per cui se esprimi un concetto sperando in una riflessione collettiva intelligente sei subito attaccato dalla task force della tifoseria talebana pro e contro, premetto subito che a me piace il rap fin dai tempi in cui ha avuto origine, ovvero da Gil Scott Heron e dalla sua “The Revolution Will Not Be Televised” pubblicata nel 1971. Scritto questo, passo al rap e all’hip hop italiano che purtroppo non ha nulla a che vedere con Gil Scott Heron ma neanche con Adriano Celentano ("Prisencolinensinainciusol", del 1973) e Rino Gaetano ("Nuntereggae più", del 1978).

I testi delle canzoni del rap italiano di oggi non hanno nessuna radice nella canzone d’autore del Novecento. In meno di un decennio sono cambiati non solo i temi o le storie, ma anche il modo di scrivere e il linguaggio. Sorprendentemente, però, è tornata di moda la rima. Non c’è un testo rap che non contenga almeno una decina di rime, a volte anche con l’utilizzo di parole inglesi. La scrittura rap prevede addirittura degli schemi sulle rime, che possiamo classificare così:
1- Rima baciata AABB
2- Rima alternata: ABAB
3- Rima incrociata: ABBA, CDDC
4- Rima incatenata: ABA, BCB, CDC
5- Rima ripetuta: ABC, ABC
6- Rima invertita: ABC, CBA
7- Rima equivoca: quando si usano parole di uguale suono ma con significati diversi.

Il punto 7 è quello più usato dai rapper nostrani che si affidano alle rime dello slang, del parlato comune, con parole simili nella fonetica. Ad esempio: “sono figlio della strada / non me ne fotte nada”, e via dicendo.

Nella scrittura rap esistono una tecnica, uno stile, un meccanismo abbastanza articolato, anche se al primo ascolto i testi sembrano tutti uguali. L’effetto è dato principalmente dai contenuti che sono piuttosto monotematici: il mondo è una merda, tutto fa schifo, il successo, i soldi, lo sballo, la figa e il quartiere come scenografia. Il modello è chiaramente quello dei rapper americani, solo che Rozzano non è il vecchio Bronx.

Ma a parte questo particolare, è evidente che se si è monotematici non si è universali; eppure il rap e l’hip hop, soprattutto in Italia, sembravano un fenomeno passeggero, invece durano da un bel po' e non mostrano alcun cenno di flessione, anzi… la discografia e il business dei concerti live puntano soprattutto al fenomeno rap e trap. Ma cosa ha comportato in termini di cultura generale, questo boom?

E’ stato interessante a questo proposito parlarne con Roberto Vecchioni, non tanto in veste di cantautore ma di professore.

Da svariati anni in vari licei e università italiane, Vecchioni tiene dei corsi sulla scrittura, canzoni comprese. Secondo la sua esperienza, il cantautore milanese apprezza la creatività della scrittura giovanile, ma ha scoperto che il suo vocabolario si è esaurito nel tempo. Se fino a dieci anni fa i suoi studenti usavano 10mila vocaboli, oggi ne usano mille. Lo stesso fenomeno accade anche nella composizione e nella struttura musicale delle canzoni rap. Non si parte dalla melodia, che spesso li annoia o viene considerata secondaria, ma dal ritmo, dal beat. La stesura basica di una canzone rap parte addirittura da quello che una volta si chiamava ritornello o inciso. La strofa normalmente intesa in realtà è un rappato su una base ritmica, privo di una melodia identificabile. Tutto molto ridotto, basico ed essenziale, tranne il fiume straripante di parole nei testi, che però prevede pochi e ripetuti vocaboli.

Praticamente è il contrario dello stile narrativo dei testi dei cantautori degli anni Sessanta e Settanta, a volte battezzati dalla critica “ermetici”, in cui trovare un nesso tra significato e significante era già allora un esercizio assai faticoso e complesso, figuriamoci oggi in tempi di “erosione culturale” . Prendiamo ad esempio un passo del testo di “Cercando un altro Egitto” di Francesco De Gregori : "Lontano più lontano degli occhi del tramonto / Mi domando come mai non ci sono bambini / E l’ufficiale uncinato che mi segue da tempo /mi indica col dito qualcosa da guardare / le grandi gelaterie di lampone che fumano lente".
In questo caso si va oltre l’esercizio di stile ermetico, ma prendiamo ad esempio il testo di “Centro di gravità permanente” di Franco Battiato, che mette insieme una vecchia bretone, dei capitani coraggiosi, i contrabbandieri macedoni, i gesuiti euclidei, gli imperatori della dinastia dei Ming, i cori russi, la new wave italiana e il free jazz punk inglese. Un bel mapazzone di fantasia psichedelica in trip che trova il suo perché quando arriva la frase guida del testo: “Cerco un centro di gravità permanente”.

Di tutta questa fantasia e simbolismo che hannno caratterizzato la scrittura dei cantautori italiani non è stato preso nemmeno un verbo.

Ma nemmeno l’arte di inventare una storia, un piccolo racconto come dovrebbe essere una canzone, con tanto di personaggi reali o di fantasia, come il giudice di De André, il barbone di Jannacci o la donna cannone di De Gregori o il cerca guai di Vasco. Nei testi rap è raro trovare un personaggio guida, un protagonista su cui ruota il racconto, anche perché il racconto non c’è. Ci sono flash, inquadrature in timelapse, riferimenti accennati che scompaiono in un click, figure inespresse, interrotte dopo il primo tratto di matita. Magari scritti bene e in rima, ma la storia non esiste, perchè non la si vuole nemmeno, fa parte del passato.

Esattamente come la melodia o l’assolo. Non gliene frega una mazza, troppo vecchia e complicata. Meglio puntare alla rima baciata, facile e immediata, meglio infarcire i testi di oggetti di consumo, merce dei brand, nomi di vip o neologismi anglosassoni come “Ho il rap multitasking e skills palmari” (S.A.L.M.O.) o “Non morirò sul set come Brandon Lee / Il mio cuore non brucia mai, come i jeans / Scappo dai sorrisi gialli come Kill Bill / Voglio un picnic, ******* Just Eat / Timberlake o Bieber, l'importante è che sia Justin / Non guardarmi così, I'm a rich ****** Ti interrompo la festa come un ***** di blitz, hey” (Ghali).

Dunque la canzone rap fa testo ? Probabilmente sì, dato che la parola è centrale a discapito della musica, ma cosa resterà tra una decina d’anni della tradizione letteraria del cantautorato italiano ? Probabilmente solo nostalgia.

Roberto Manfredi