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De Gregori, "L'abbigliamento di un fuochista" e "Titanic"

De Gregori, "L'abbigliamento di un fuochista" e "Titanic"
"Titanic" sta per compiere 40 anni, lo rileggiamo canzone per canzone

Di Redazione


"Titanic" di Francesco De Gregori è stato pubblicato quasi quarant'anni fa, il 9 giugno del 1982. Lo ripercorriamo canzone per canzone, in ordine di tracklist.

L'abbigliamento di un fuochista

Manca solo lo scacciapensieri ad accompagnare questa irresistibile ballata in stile popolare, con tanto di controcanto di Giovanna Marini.

"Quando se ne andò - ricorda De Gregori - riascoltai il nastro e capii che grazie a lei quella canzone era venuta fuori esattamente come doveva essere, come era dentro la mia testa nel momento stesso in cui la scrivevo". Talmente folk e talmente credibile che venti anni dopo i due la innesteranno, traccia numero 11, nell'album "Il fischio del vapore", raccolta di canti senza tempo. "L'abbigliamento di un fuochista" viene considerato il primo atto della tetralogia del "Titanic", forse più un prologo dalla terraferma all'imbarco che rimanda a tante ballate dell'emigrazione, come l'ottocentesca "Mamma mia, dammi cento lire" (“che in America voglio andar”, e anche in quel caso “il bastimento si sprofondò”) alla struggente "La porti un bacione a Firenze" del 1937, creata da quello che può essere considerato uno dei primi "cantautori" italiani, Odoardo Spadaro, musica, parole e voce, più sosia che emulo di Maurice Chevalier.

Nel commiato fra la madre angustiata e il figlio rassegnato, De Gregori adotta un linguaggio proletario reso luminoso da alcune raffinatezze: “Figlio senza domani, con questo sguardo da animale in fuga e queste lacrime sul bagnasciuga che non ne vogliono sapere”. O ancora: “Figlio che avevi tutto e che non ti mancava niente e andrai a confondere la tua faccia con la faccia dell'altra gente e che ti sposerai probabilmente in un bordello americano e avrai dei figli e una donna strana e che non parlano l'italiano”. Con quella iettatoria considerazione: “Su questa nera nera nave che mi dicono che non può affondare”. Salpa il 10 aprile 1912 dal porto inglese di Southampton, si inabissa quattro giorni dopo nelle acque canadesi.



Titanic


Il 28 aprile 1912 gli strilloni del "New York Times" gridano a gran voce: "Thrilling tale by Titanic's surviving wireless man", la drammatica testimonianza di un sopravvissuto al più famoso naufragio della storia, accaduto due settimane prima al largo di Terranova con millecinquecento morti.

Da quel primo articolo, sul Titanic si è accumulato un patrimonio di testimonianze, documentari, film, racconti ma è al libro "Der Untergang der Titanic" ("La fine del Titanic", 1978) del tedesco Hans Magnus Enzesberger che De Gregori si ispira, nel tono brillante, quasi ironico (reso da un raggiante cha cha cha che contrasta e rende ancora più atroce la tragedia imminente) dove il viaggio dell'apocalisse diventa l'allegoria della vita stessa, con i protagonisti collocati nelle rispettive caste - dalla caldaia alla cabina di lusso - destinati tutti alla stessa misera fine: “La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento e puzza di sudore dal boccaporto e odore di mare morto”.

Risuonano le parole di De André dove "La morte" azzera qualsiasi condizione sociale e assume connotati evangelici: “Prelati, notabili e conti sull'uscio piangeste ben forte, chi bene condusse sua vita male sopporterà sua morte. Straccioni che senza vergogna portaste il cilicio o la gogna partirvene non fu fatica perché la morte vi fu amica”. In "Titanic" resta tutto sospeso, noi sappiamo come va a finire ma i protagonisti si godono la loro crociera, tra lusso e capricci (“Ci sta mia figlia che ha quindici anni ed a Parigi ha comprato un cappello”), tra sudore e riscatto: “Ci sembra quasi che il ghiaccio che abbiamo nel cuore piano piano si vada a squagliare in mezzo al fumo di questo vapore, di questa vacanza in alto mare”. Le speranze sono ben ripartite tra “noi ragazze di prima classe che per sposarci si va in America” e “noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America”. E la stessa luna gigante, a cui dedicare un brindisi, diventa “metallo”. Il brano è memorabile per quella cantabilità resa angosciante dalla morte che sta per invadere tutto, rappresentata dall'acqua “di questo Atlantico cattivo”, unica passeggera autorizzata a entrare ovunque e senza prenotazione.

Sulla scia del Titanic c'è il chitarrista Marco Manusso.

"C'era una vecchia melodia che mi ronzava in testa e ho detto a Marco: tiriamoci fuori un riff". Manusso conferma con orgoglio: «Sento 'Titanic' come un disco che mi appartiene». Fin troppo, visto che De Gregori, pur mantenendo stima e rispetto, ingaggia al suo posto Vincenzo Mancuso "affascinato dal suo modo di inventare con la chitarra, con un'estrema semplicità che nasconde una grande tecnica, un grande animo di musicista. Manusso? Era estremamente preciso, forse troppo, ricordo che spendevamo un mucchio di tempo durante la lavorazione di 'Titanic' perché lui magari non era soddisfatto dell'accordatura della sua chitarra e io dopo un po' gli dicevo: Suoniamo, mi scappa di suonare". Nel live "Musica leggera" Manusso tornerà per un cameo in "Natale". .


Questo testo è tratto da "Tutto De Gregori" di Federico Pistone, pubblicato da Arcana, per gentile concessione dell'autore e dell'editore. (C) 2020 Lit edizioni s.a.s.