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Elton John incanta i 50mila a San Siro

Elton John incanta i 50mila a San Siro: "È l'ultimo concerto in Italia della mia vita"
di Luigi Bolognini
Oltre due ore di show, senza una pausa: 24 canzoni in scaletta con tutto il meglio della sua produzione, con una dedica a Gianni Versace


La riforma delle pensioni in Italia potrebbe essere facilmente risolta seguendo il metodo Elton John: se tutti quelli che si ritirano dal lavoro lo facessero a 75 anni, ma con la garanzia di avere la sua forma fisica e mentale (sorvoliamo sul conto in banca), beh i bilanci dell'Inps sarebbero salvi. Posto che non ci crede nessuno al fatto che si ritirerà: il "final tour", come lo chiama lui, è in corso da anni e anni ancora ne durerà.

Eppure solo adesso ha debuttato allo stadio di San Siro, davanti a 50mila persone giustamente osannanti di fronte a una delle leggende del pop. Che non ha deluso le aspettative, e anche qui viene da pensare a quanti vecchi leoni sdentati non accettino l'ineluttabile trascorrere dell'età e si trascinino di palco in palco affidandosi a tinte, lifting e altri effetti speciali. Elton invece è com'è sempre stato. Vabbè ha il parrucchino, ma da decenni, e il non avere mai avuto esattamente un look da sex symbol aiuta parecchio, specie adesso che non lo sarebbe comunque.


Perdipiù la sua professionalità è infinita, e se prende un impegno non lo disdice di certo (salvo casi come tre anni fa, quando annullò il secondo concerto a Verona per mal di gola, venuto però anche per aver strabiliato nel primo). Per dire, nel pomeriggio non ha rinunciato a esibirsi in onore di Elisabetta II per la festa dei 70 anni di regno. Però l'ha fatto in un video, per poter arrivare a Milano nel suo classico e comodo modo, su jet privato, e iniziare con un ritardo accettabile, 7 minuti, nulla rispetto all'andamento classico dei live. E una volta sul palco, dove è salito con occhiali rosa luccicanti, giacca blu scuro con revers metallizzati, e sulla schiena un sole rosso e la scritta EJ, quasi sobrio per i suoi gusti, ha dato davvero il meglio di sé: oltre due ore di show, senza una vera pausa, con la sua classica band di stratosferici musicisti ad accompagnarlo, su tutti l'uomo che ha sempre dato un ritmo rock al suo pop, il batterista Nigel Olsson, che ha una spilletta pro-Ucraina. Scaletta di 24 canzoni, forse poche in proporzione alle oltre 700 che risulta aver composto, ma dentro c'è veramente tutto il meglio di quel che è nato assieme al suo autore storico Bernie Taupin, da Rocket man (da molti valutata come merita solo dopo il film omonimo) a Tiny dancer, da Sorry seems to be the hardest word a Crocodile rock, fino a Don't let the sun go down on me, che dedica "a un amico che è morto tanto tempo fa e che mi ha fatto scoprire Milano, Gianni Versace".
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Segni del passare degli anni? Pochi e trascurabili, se non per i fan e i puristi più incalliti, come l'assenza dei falsetti che furono in Crocodile rock (affidati al pubblico, che si dimostra non esattamente restio a cantare) e ancor di più in Sorry seems to be... che pure cantata più bassa resta un capolavoro. E anzi sentirla così diversa, eppure bellissima, aiuta a capire l'importanza di Elton John nella storia della musica, quando - in epoca in cui imperavano il rock, e di conseguenza la chitarra - lui ripropose il pop e addirittura fatto col pianoforte, che mezzo secolo fa era solo roba da musica classica, quindi da museo. Lui invece resta fedele allo strumento, che sul palco suona stando sulla sinistra, salvo ogni tanto venire trasportato qui e lì un piccolo binario, come quando intona a Candle in the wind, di nuovo nella versione originale dedicata a Marilyn e non a Lady Diana (però sul maxischermo scorrono immagini non della Monroe vera, bensì di un film su di lei). Tra vari cambi di giacca e occhiali sempre meno all'insegna della sobrietà, ma chi la cerca in un concerto di Elton John dovrebbe anzitutto diventare sobrio egli stesso, e filmati che pescano a piene mani in immagini di repertorio, filmati con quei colori sgranati anni Settanta e le sue incursioni nei cartoni animati (i Simpson, Il re leone), le due ore scorrono clamorosamente veloci.


Fino a che il nostro non torna sul palco - con una vestaglia rosa e bianca che è meglio non definire - per concedere un tris di bis che nessun altro al mondo potrebbe permettersi: Cold heart (nella versione remix fatta qualche mese fa assieme a Dua Lipa, che appare in video per duettare), Your song e Goodbye yellow brick road, sui cui lui saluta: "Il mio primo concerto a Milano fu nel 1973, ne ho fatti 66 in Italia, questo è l'ultimo della mia vita". Partono sue strabilianti immagini di gioventù: vestito da Paperino, magro, che fa le capriole, addirittura senza capelli. E lui parte, trasportato per il palco sulla rotaia, con la canzone della nostalgia, del ritorno alle origini, della voglia di una vita tranquilla che non a caso dà il titolo a un tour d'addio. Sempre a volerci credere, ripetiamo.