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Orietta Berti: «Vi porto a spasso con me tra i ricordi più belli»


È stata “direttrice di rete” di Rai Storia per un giorno. E ci spiega le motivazioni delle sue scelte di palinsesto


Stefania Zizzari

La televisione Orietta Berti la fa da protagonista da tanti anni. Cantante (ovviamente), conduttrice, inviata, ospite, opinionista, giudice, coach... Stavolta, per lo spazio “Domenica con” di Rai Storia, Orietta si è addirittura trasformata in “direttrice di rete” e ha deciso il palinsesto di domenica 24 aprile. In quella giornata, dalle 14 alle 24, andranno in onda programmi che lei stessa ha scelto per il pubblico.

Orietta, come ci si sente a decidere cosa mandare in onda in dieci ore di programmazione?
«È stato molto divertente».

Da dove è partita?
«Volevo raccontare la mia Emilia. È una regione bella, con gente estroversa, ironica e si mangia pure bene.... Certo, magari non abbiamo i panorami che ci sono in altre regioni, ma ricordo cosa diceva Sandra Mondaini: “Non vivo senza la mia nebbia di Milano”».

E lei di cosa non può fare a meno della sua Emilia?
«C’è come un filo invisibile che mi lega alla mia terra: l’Emilia è come una calamita per me. Quando sono lontana mi manca tutto, persino quella pioggerellina fine fine che da bambina odiavo e che invece adesso apprezzo. Ha presente quelle belle giornate uggiose?».

Quelle con la nebbia?
«Pensi che non ci sono più le nebbie di una volta. E nemmeno quelle belle nevicate... Ricordo che un anno, io e Osvaldo eravamo appena sposati, nevicò con una tale furia che il cancello di casa si bloccò e dovemmo spalare la neve per uscire. Sa che se ci ripenso mi sembra di rivivere una favola?».

Non sembra esattamente una situazione fiabesca...
«Ma sì. I miei ricordi dell’infanzia e della gioventù legati alla mia terra e alle tradizioni mi evocano atmosfere da favola».

Ci fa altri esempi?
«Mia mamma, mia nonna e mia suocera che preparano la sfoglia per fare i cappelletti freschi il giorno di Natale. A casa c’era una meravigliosa e allegra confusione: chi andava, chi veniva... e la polvere di farina che volava ovunque nell’aria. Non è una favola questa?».

E adesso la sfoglia la fa lei?
«Non più, la compro (ride). Per farla bisogna essere almeno in due».

Come mai?
«Uno tira la sfoglia, l’altro la piega e la chiude per fare i cappelletti: se si aspetta troppo, la pasta si indurisce e non si riesce più a lavorarla. Ricordo che fin da bambini si imparava a chiudere i cappelletti, i nipoti aiutavano le nonne. Lo vede che bei ricordi che ho? Per condividerli con il pubblico ho scelto di mandare in onda, tra le altre cose, “Viaggio nella valle del Po” di Mario Soldati, il primo reportage enogastronomico della Rai».

Ha pensato anche a Don Camillo e Peppone. Come mai?
«Perché siamo proprio noi. Con quei due personaggi Giovannino Guareschi raccontava la nostra società: quando io ero bambina era esattamente così. Per questo ho scelto di mandare in onda una bellissima intervista di Montanelli a Guareschi».

Il suo primo ricordo di Don Camillo e Peppone?
«Andavo con mia nonna a vedere i film al cinema anche tre volte alla settimana. Sempre gli stessi. Non ci stancavano mai. E poi quando sono uscite le cassette i miei figli me le hanno regalate, avevo tutta la serie dei film. Ancora oggi per tradizione a casa nostra la sera della vigilia di Natale ci guardiamo Don Camillo e Peppone».

Il suo palinsesto è in onda alla vigilia del 25 aprile e lei ha scelto anche il documentario di Liliana Cavani “La donna nella Resistenza”.
«Mia mamma gestiva la pesa pubblica di Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, mio paese natale, ed era attiva nel Partito comunista. Nei giorni prima della Festa della Liberazione avevamo la casa piena di corde e carta colorata perché lei preparava le bandierine verdi bianche e rosse, le incollava alle corde che poi venivano fissate tutt’intorno al paese. Da quando ero piccolina mia mamma mi ha sempre portato con sé alle manifestazioni per l’emancipazione delle donne, ricordo le mimose e poi i garofani rossi per la Festa dei Lavoratori. Il 1° maggio la mattina presto arrivava un enorme camion con sopra una specie di paiolo, cucinavano lo gnocco fritto e lo distribuivano gratis: per noi bambini era una grande festa».

Veniamo ai filmati che ricordano la sua meravigliosa carriera. Alla finale di “Canzonissima 1969” era l’unica donna.
«Già. Una bella soddisfazione. Cantavo “Una bambola blu”. In quel periodo andavano di moda gli abiti color pastello. Alle prove avevo un abitino lilla e le scarpe di vernice color fucsia. Ero seduta in attesa del mio turno, dopo Domenico Modugno. Lui a un certo punto si ferma e chiede: “Di chi sono quelle scarpe viola?”. Le mie erano fucsia e lì per lì non dissi niente. Lui insistette, poi ho pensato guardandomi intorno: “Sono tutti uomini, forse ce l’ha con le mie scarpe”. Allora ho risposto: “Sono mie, ma non sono viola!”. E lui: “Per favore puoi cambiarle? Sono superstizioso e non voglio vedere assolutamente il viola”. Feci le prove in pantofole. Da allora per non mettere in imbarazzo nessuno, pur amando alla follia il colore viola, non l’ho mai più portato in televisione. Metti che si inceppa una telecamera? Magari danno la colpa a me (ride)!».

E poi ci sono i Festival di Sanremo: ben 12!
«Le racconto della prima serata del mio primo Sanremo nel 1966. A quel tempo avevamo tutte lo stesso taglio di capelli a caschetto e la parrucchiera del Festival mi propose: “Mettiamo un toupet con due boccoli, così si distingue dalle altre!”. Accettai. Non l’avessi mai fatto: quando ho cantato l’inciso “Io ti darò di più...” ho fatto un movimento un po’ brusco e il toupet è sceso di lato. Per il resto della canzone sono rimasta impalata e in una posizione inclinata, per evitare che il toupet cadesse del tutto. Quando ho finito ho telefonato a mia mamma: “Come sono andata?”. E lei: “Avevi uno strappo alla schiena? Eri tutta storta!”. Da allora il toupet non l’ho più messo!».

La ritroviamo in una puntata di “Ieri e oggi” del 1976 con Alberto Sordi e Mike Bongiorno.
«Sordi l’ho visto diverse volte. Mi disse di essere un mio ammiratore e mi confessò che quando era un po’ giù di corda ascoltava le mie canzoni folk degli Anni 70 e ritrovava l’allegria. Per esempio, “Come porti i capelli bella bionda” e “L’uva fogarina”».

Con Mike Bongiorno eravate amici?
«Sì. Quando faceva un programma televisivo mi chiamava spesso per fare la sigla oppure come ospite. Quando andò a Mediaset a fare il programma “I sogni nel cassetto” io cantavo la sigla “I sogni son desideri”. Ero incinta di Otis. Alla conferenza stampa Mike mi chiese: “È maschio o è femmina?”. “Maschio”. “E come lo chiamerete?” “Otis”. E lui: “Come gli ascensori?”. “Ma no Mike, come Otis Redding!”. E lui: “E chi è?” (ride). Era incorreggibile. Una volta eravamo in tournée in America. A Chicago, io, lui e Umberto Tozzi alloggiavamo in un hotel che aveva le pareti tutte di vetro. Mike ci ripeteva: “Ragazzi, state attenti a non sbattere contro le pareti trasparenti perché è brutto vedere cantare qualcuno con un cerotto sul viso”. La sera scese e aveva un cerottone sul naso: aveva preso in pieno una parete di vetro (ride)!».

Rivedremo anche il suo incontro con il Dalai Lama.
«Ero inviata per Fabio Fazio a “Quelli che il calcio” a Milano. Mi avvicinai con il microfono per il collegamento con Fabio ma il segretario del Dalai Lama disse: “No, è stanchissimo, non facciamo più interviste”. Invece il Dalai Lama mi guardò e disse al segretario: “Voglio parlare con questa signora perché ha la luce che esce dalla testa”. E io: “Ma no! È solo una mèche sui capelli...”».

Per la prima serata ha scelto il film “I nuovi mostri”, dove c’è un episodio diretto da Ettore Scola che lei ha interpretato con Ugo Tognazzi.
«All’inizio non lo volevo fare perché d’estate ero sempre impegnatissima, facevo tanti concerti, anche in due città diverse in una stessa sera. Il mio manager era Bibi Ballandi, con cui siamo cresciuti insieme. Ricordo che dissi al regista: “Io non posso venire a girare a Roma, se volete venite voi qui”. E così le riprese le facemmo a casa mia e di Osvaldo, che a Scola era piaciuta molto per l’arredamento perché noi avevamo la passione per l’antiquariato e i primi soldi li avevamo investiti in mobili antichi».

E con Ugo Tognazzi come andò?
«In un primo tempo Ugo alloggiava in un albergo a Parma. Durante il mese di riprese tutte le sere, finito di girare, veniva a vedermi ai miei concerti alle Feste dell’Unità, dove notoriamente si mangiava molto bene. Beh, tra cotechini, zamponi, lasagne, tortelli, burro, lardo, formaggi, fritti... a Ugo si gonfiò una guancia e per non farsi vedere in quelle condizioni si trasferì a casa nostra, aspettando che la guancia si sgonfiasse e che potessimo riprendere a girare».

Ha scelto di chiudere la sua giornata con un omaggio a Mina.
«Io sono sempre stata una sua grande ammiratrice, quando andavo ai concorsi portavo spesso le sue canzoni. Mi piace il suo modo di cantare. La sua canzone che preferisco è “Volami nel cuore”: ha un modo di interpretarla che è davvero unico e straordinario».