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Chi è Jon Batiste, che ha battuto ai Grammy le star del pop

Chi è Jon Batiste, che ha battuto ai Grammy le star del pop
"Ecco cosa caratterizza un vero artista", ha detto sul palco, stringendo il premio più importante.

Di Mattia Marzi

Diciamola tutta: era il favorito alla vigilia, sebbene il suo nome fosse meno altisonante, per il pubblico mainstream, rispetto a quelli degli altri favoriti, da Justin Bieber a Billie Eilish, passando per Olivia Rodrigo, Tony Bennett e Lady Gaga, Lil Nas X, Kanye West e Doja Cat. Quanto a nomination, Jon Batiste li aveva battuti tutti: undici candidature in totale, tre in più di Bieber, Doja Cat e H.

E.R., quattro in più di Billie Eilish e Olivia Rodrigo, cinque in più di Bennett e Gaga, Lil Nas X e Kanye. Alla fine è stato proprio lui, stanotte, a portarsi a casa il maggior numero di Grammy Awards, al termine della cerimonia di consegna dei premi musicali più importanti a livello mondiale, che si è svolta alla MGM Grand Garden Arena di Las Vegas. Il 35enne musicista statunitense, icona della black music a stelle e strisce contemporanea, ha vinto cinque statuette in tutto, compresa quella – ambitissima – come “Album of the Year” con il suo “We are”, battendo campioni delle classifiche come Justin Bieber e il suo “Justice”, Doja Cat e il suo “Planet her”, Billie Eilish con “Happier than ever”, Olivia Rodrigo con “Sour” e Taylor Swift con “Evermore”, tra gli altri.


Oltre al Grammy come “Album of the Year”, Jon Batiste si è aggiudicato i “Best American Roots Performance” e “Best American Roots Song” con “Cry”, il “Best Score Soundtrack for Visual Media” con la colonna sonora del film d’animazione Pixar “Soul” e il Best Music Video” con “Freedom”.

Un trionfo arrivato a coronamento di un anno particolarmente importante per il musicista, poco noto al grande pubblico ma amatissimo da colleghi – ha collaborato con Stevie Wonder, Lenny Kravitz, che ieri gli ha consegnato il premio sul palco dei Grammy Awards, Mavis Staples – e addetti ai lavori, che hanno accolto il suo “We are”, uscito esattamente un anno fa, con recensioni entusiastiche tanto per il significato culturale del disco, che mischia gospel, funk e hip hop (a benedirlo è stato nientemeno che Quincy Jones, autore delle note di copertina), quanto per quello politico, legato al movimento Black Lives Matter che nel 2020 – mentre il musicista componeva i brani – ha visto i manifestanti marciare per le strade delle città statunitensi protestando contro le uccisioni degli afroamericani George Floyd e Breonna Taylor e contro il razzismo latente negli Usa.

"Non esiste il miglior musicista, il miglior artista, il miglior performer, il miglior attore. Le arti sono soggettive e io sono dell'idea che il compito di un artista sia quello di raggiungere una persona nel momento della vita in cui questa ne ha pù bisogno. Quello che faccio io è lavorare a testa bassa ogni giorno. Suono da quando ero ragazzino. Per me non è intrattenimento: è una missione spirituale", ha detto Jon Batiste sul palco, stringendo tra le mani il premio più importante, quello per l'"Album of the Year", "è questo modo di lavorare che caratterizza i veri artisti. Continuate così: restate sempre voi stessi".

Il disco, a partire dalla title track, che è anche la canzone che apre l’intero lavoro, uscita nel maggio del 2020 a sostegno delle proteste di Black Lives Matter ed eseguita insieme alla St.

Augustine High School Marching 100 e alla Gospel Soul Childrem, è tutto uno statement sonoro e culturale, incentrato sulla celebrazione delle radici e delle tradizioni. Jon Batiste, originario di New Orleans (e cresciuto in una famiglia di musicisti), è stato il primo artista nero ad aggiudicarsi l’”Album of the Year” ai Grammy Awards dopo quattordici anni, tanti quanti ne sono passati dalla vittoria di Herbie Hancock nel 2008 con il suo “River: The Joni letters”. “Sono già noto al pubblico per certe cose che ho fatto, ma c’è molto altro da sapere su di me. È giunto il momento di mostrare la mia arte sotto ogni aspetto”, diceva l’anno scorso, parlando di “We are”, Jon Batiste, mentre si godeva il successo della colonna sonora di “Soul”, un omaggio alla musica jazz. Il musicista, che aveva all’attivo già sette album prima di “We are”, ha concepito e abbozzato gran parte del materiale che compone l’album in una sola settimana nel camerino del “Late Show with Stephen Colbert”, show di punta della tv statunitense di cui è direttore musicale e bandleader.


Lanciato dalle band di New Orleans, Jon Batiste ha deciso, in seguito al successo, di mettersi a disposizione di giovani talenti musicali, per aiutarli ad imporsi sulle scene: oltre ad essere direttore creativo del National Jazz Museum di Harlem, il musicista ha lanciato diverse iniziative per supportare gli emergenti, promuovendo scambi culturali e facendo seminari in tutto il mondo. Attualmente Batiste sta lavorando a un musical per Broadway dedicato alla vita del celebre pittore Jean-Michel Basquiat.