MUSICA




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Gino Paoli: "Ho venduto le mie canzoni"

Gino Paoli: «Ho venduto le mie canzoni, ora le potrebbero usare anche per lo spot della carta da cesso»
Al Venerdì di Repubblica: «Ho un agreement con la casa discografica, prima mi interpellano per sapere se va bene, ma non è detto che se dicessi no l’avrei vinta»

Gino Paoli: «Ho venduto le mie canzoni, ora le potrebbero usare anche per lo spot della carta da cesso»
Il Venerdì di Repubblica intervista Gino Paoli. Il tema è la vendita dei diritti dei propri brani. Racconta:

«Il mio catalogo di allora l’ho già venduto, tanto tempo fa, nel senso che era ereditato da altri, prima Ricordi, poi Cbs. Poi ho iniziato a usare una mia società di edizioni per depositare i brani».

Ad esempio, “Il cielo in una stanza”, potrebbe essere usato anche per uno spot pubblicitario. Ma chiarisce:

«Me lo chiedono prima. Io ho un agreement con la casa discografica per cui ascoltano prima me per sapere se va bene. Ma non ho mai detto di no perché non erano cose che potevano danneggiarmi».

Ma non direbbe sì a tutto.

«Posso dire una cosa buffa, per capirci: se vogliono usarle come pubblicità di una carta da cesso posso dire di no. Perché non mi piacerebbe la cosa, ma non è detto che l’abbia vinta io».

Quali sono le canzoni di Gino Paoli che fruttano di più in termini di diritti d’autore?

«Ci sono canzoni come “La gatta” che fa ancora l’ira di Dio. E poi “Il cielo in una stanza”, “Sapore di sale” e via via fino a “Una lunga storia d’amore”. Ameno una decina di brani danno ancora un grosso incasso Siae».

Gli chiedono se lo preoccupa l’uso che potrebbe essere fatto in futuro della sua musica. Risponde:

«No, perché sarò presuntuoso ma la mia musica ha un livello che impone un certo rispetto. Prendi “Papaveri e papere”, canzone bellissima di tanti anni fa, ma forse puoi anche sporcarla in qualche maniera. Prendi però “Il cielo in una stanza”: sono cazzi tuoi se provi a sporcarla, no?».

La versione che Mamhood e Blanco hanno portato a Sanremo di “Il cielo in una stanza”, nella serata dedicata alle cover, gli è piaciuta.

«E’ stata una cosa molto rispettosa della canzone. E nello stesso tempo l’hanno tirata dentro in un mondo che non le appartiene, ma in cui può sopravvivere. Un’operazione che non mi è dispiaciuta per niente».

Racconta degli aneddoti legati a Sanremo per spiegare che all’emozione di cantare in pubblico non si è mai abituato.

«Al festival di Sanremo del ’64 ero con Modugno, bevevamo alcolici. Io lo guardo e gli dico: “Ma tu ti caghi ancora addosso? Sono anni che canti”. E lui: “Guarda, o ti caghi addosso tutta la vita oppure non ti caghi addosso mai”. In quel momento passava la Cinquetti, tutta carina, tranquilla. “Vedi lei? Non ha paura”. E infatti quando siamo usciti sul palco abbiamo fatto un casino. Prima è toccato a lui, e mi fa: “Hai della segatura? Perché mi sono cagato addosso”. Si era dimenticato le parole della canzone, aveva inventato lì per lì le prime due strofe. Quando ho cominciato a cantare io la gente pensava che il microfono non funzionasse, invece non mi usciva la voce. Figura di merda niente male, tutti e due».