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No al festival di Sanremo

No al festival di Sanremo
di Andrea Scuderi

martedì 26 gennaio 2021


Da un anno conviviamo con il Covid, con le restrizioni, accettiamo pesanti conseguenze all’economia per contenere il rischio sanitario, migliaia di attività sono in ginocchio. E non passa giorno nel quale esperti, virologi e politici rimproverano i cittadini.

E spesso gli stessi cittadini vengono colpevolizzati di non essere abbastanza attenti, di non avere la giusta sensibilità, di non sapere rispettare le regole. Poi arriva il tempo del Festival di Sanremo. E tutto questo passa in secondo piano. Mentre abbiamo cinema e teatri chiusi, centri congressi chiusi, bar, ristoranti e attività di vario genere chiuse, appare l’evento degli eventi, la rassegna che, non si capisce perché, non si può rimandare. Show must go on.

Se pensiamo a Sanremo, al festival, a quello che accade ed è sempre accaduto all’interno e all’esterno del Teatro Ariston, ci rendiamo perfettamente conto che il Festival è prima di ogni altra cosa ‘assembramenti’. Ci sono gli artisti, l’orchestra, i tecnici, gli assistenti, tutto il personale che ruota intorno ai cantanti, le case discografiche, i giornalisti, gli esperti, le giurie, tutto il personale televisivo, conduttori, registi, operatori, ospiti, assistenti di produzione, giornalisti, radio, televisioni, siti internet, critici, trucco, parrucchieri. Un elenco che potrebbe non finire mai.

Il raccontare che si tratta di uno studio televisivo, e non di un teatro, è una favola. E’ semmai un grande carrozzone che è nella storia del nostro paese, con il suo fascino e le sue contraddizioni. Un grande evento nazional popolare. Ma che oggi, paradossalmente, riesce anche a diventare più importante della pandemia e dell’emergenza che stiamo vivendo.

E mentre appare non credibile che possano essere garantiti i distanziamenti in un luogo dagli spazi ristretti e con una grande quantità di persone che lavorano a questo spettacolo, tutto il resto del mondo è costretto a restare fermo: bar e ristoranti chiusi e, forse ancora più assurdo, tutti gli altri teatri e i luoghi dello spettacolo fermi.

La Rai, il servizio pubblico che ci costa tre miliardi di canone, quando arriva il Festival di Sanremo, anziché fermarlo e dimostrare che la pandemia ci deve far rinunciare anche alle cose a cui siamo più legati, cambia rotta e conferma un evento che non potrà avere neppure ricadute economiche (se non quelle per il carrozzone che è coinvolto): negozi, bar e ristoranti di Sanremo non avranno l’indotto che genera il Festival, turisti e appassionati che normalmente arrivano da fuori non potranno esserci.

A questo punto evitateci altre ipocrisie come quella del teatro che diventa studio televisivo. Evitateci tra gli ospiti esperti e virologi. Non parlateci di iniziative per salvare il mondo dello spettacolo che, con questo Festival, viene anche umiliato.