MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Sanremo?

Il festival di Sanremo quest'anno sembra il paradigma dell'Italia intera. Del governo, dei vaccini e un po' di tutto. Si fa? Non si fa? Regge? Funziona? Si va sulla nave? Si fa all'aperto? teatro vuoto o teatro pieno? sagome di cartone o figuranti pagati? Distanziamento sì ma come? E via discorrendo. Sono settimane che accanto al traballante governo e i suoi rimpasti, accanto ai bollettini dei contagiati e delle fiale di vaccini, con cui ci bombardano e ci disorientano nell'assoluto caos, l'argomento principe è il Festival di Sanremo. Ora voi sapete quanto io sia affezionata a questo evento unico ed elefantiaco a cui sono legata da ormai quasi cinquant'anni, e a cui partecipo, di tanto in tanto, in varie vesti, col massimo affetto ed entusiasmo. La mia prima volta a Sanremo fu nel lontano 1974 con una canzone scritta per Riccardo Fogli appena uscito dai Pooh. Il pezzo era molto bello, si chiamava "Complici" ma non entrò in finale. Mi venne quasi un colpo per il dispiacere di quell'esclusione. ( poi ci rifacemmoalla grande con "Mondo" che gli scrissi un paio di anni dopo). Per digerire quella mancata finale ci ho messo parecchio, e infatti tornai a Sanremo soltanto parecchi anniu dopo, nel 1990, come autore della "Nevicata del '56" scritta per Mia Martini, Premio della Critica, e da lì in poi un classico della musica italiana. Fu una bella riconciliazione che preluse a molteplici seguenti collaborazioni. Tra cui, per esempio, più volte come selezionatrice delle canzoni in gara. Poi sono stata anche autrice dell'intero spettacolo, per esempio con Pippo Baudo, nel '92, poi di nuovo nel Sanremo con Raimondo Vianello, Eva Herzigova e Veronica Pivetti, e anche in quello del fatidico slogan "Comunque vada sarà un successo", con Mike Bongiorno, Piero Chiambretti appeso al soffitto con le ali d'angelo, e Valeria Marini. E infine ne sono stata anche commissario artistico, ruolo di grande responsabilità, che ho condiviso in triumvirato con Giorgio Moroder e Pino Donaggio, nel 1997. Senza contare i vari dopofestival e serate collaterali. Conosco il teatro Ariston come le mie tasche, i vari alberghi che si affollano di cantanti, staff, giornalisti, accompagnatori, curiosi ecc., le green room, le sale stampa, ecc, ecc. Sanremo è un meccanismo monumentale e anche un po' mostruoso, un baraccone musicale superconcentrato e malato di gigantismo, polo di attrazione di mille interessi ovvi e meno ovvi, leccornia per sponsor, pubblicità, gossip, promozioni e anche, va detto, furfantelli marginali che vi brulicano attorno come formichine pronte a strappare bricioline cadenti dal megabanchetto ufficiale in corso. La visibilità garantita, l'interesse professionale spasmodico ma anche quello da pettegolezzo da cortile, l'arrivo di caravanserragli di varia umanità da qualsiasi parte, che affluiscono a un carnevale dove la stretta cerchia degli addetti ai lavori vive in una bolla protetta da transenne, "passi" vari, forze dell'ordine, security e quant'altro, mentre la folla pullulante dei fans, dei curiosi, degli anonimi, dei cercatori di occasioni quali che siano, sciama tutt'intorno, in un moto perpetuo spesso senza speranza. Ricordo minacce di bombe in teatro, cani lupo addestrati a fiutare i pericoli, allarmi vari, e mille altre follie da helzapoppin in ebollizione. Perché Sanremo è Sanremo. E questo è il suo bello. Anche se la musica, da protagonista quale dovrebbe essere, sembra a tratti passare in secondo piano di fronte a un tale variegato bailamme mediatico. Quindi, mi chiedo, come si fa a cincischiare ancora adesso, a poche settimane, se non giorni, dalle date annunciate del 2-6 marzo, con tutte quelle domande senza risposta, soprattutto a proposito della messa in sicurezza di TUTTI i partecipanti all'evento, dai cantanti agli elettricisti, dai conduttori agli operai, dagli orchestrali ai giornalisti, al pubblico, ai curiosi, a chiunque sia lì a qualsiasi titolo? Al festival di Sanremo SI STA STRETTI, ve lo assicuro, ammassati, ammucchiati, non c'è quasi spazio vitale per tutta quella gente in tempi normali, come può esserci in tempi di Covid? Lo spettacolo dell'incertezza, della pervicace ossessione di alcuni "player" come li chiamano oggi, a volerlo fare a tutti i costi, anche in questo tempo difficile di pandemia, dove l'Italia è tutta chiusa e bloccata, e i contagi continuano, i morti, dolorosamente, anche, come si fa a non fare come hanno fatto nel mondo per mille altri importanti eventi, e cioè a rimandarlo? Sono state rimandate le Olimpiadi, è stato rimandato il carnevale di Rio, e mille e mille altri eventi nel mondo infinitamente più importanti e prestigiosi del festival di Sanremo, a causa del pericolo incombente dovuto al virus e all'impossibilità tecnica effettiva di contenerlo, e qui si sta a ancora a cincischiare di voler mettere in piedi questo ambaradan ai primi di marzo e cioè nel pieno dell'inverno e dell'ondata in corso? Tutto ciò appare come una pura follia. O meglio un mero, pervicace attaccamento alla parte finanziaria dell'evento. Il potere dei soldi. Per carità comprensibilissimo, ma non di questi tempi di virus, varianti inglesi, brasiliane, sudafricane e chi più ne ha più ne metta. Persino i rappresentanti dei discografici esprimono sconcerto e chiedono chiarezza. E quindi basta, per favore. Hanno chiuso le chiese, spostato il Natale, fatto nascere Gesù bambino due ore prima, e Sanremo no? Ma come si fa? Oltre al focolaio pazzesco che costituirebbe, cosa vogliamo raccontare al resto d'Italia, segregato in casa? e cosa al mondo dello spettacolo fermo da mesi, ai teatri, ai cinema che da un anno sono morti e sepolti senza speranza. Che esempio si dà. Che si sposti a data da destinarsi. Sicura e coerente. O, se proprio non si vuole rinunciare al pacco di soldi che Sanremo vuol dire, facendolo tra poco più di un mese, allora che si riaprano immediatamente anche i teatri, i cinema, le palestre, i ristoranti. Tutto. Perché se il virus è uguale per tutti, lo è sempre e dovunque. O è "un po' più uguale" per qualcun altro, e non poi così pericoloso?
PS: Il problema che si affronta nel post NON è come mandare in onda il festival, ma la diversa valutazione dello stato di emergenza. Il virus c'è o no per tutti? mi sembra chiaro il tema proposto.