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Ornella Vanoni: "Con gli uomini ho vinto io, ma ho sbagliato"

DI WALTER VELTRONI
Sul nuovo numero di 7 in edicola venerdì 22 gennaio, troverete tanti servizi dedicati all’attualità e agli aspetti più coinvolgenti o sconvolgenti della nostra realtà quotidiana. In copertina, l’intervista di Ilaria Gaspari alla scrittrice Teresa Ciabatti, che racconta la vergogna di sé come «leva per migliorarsi». Sul magazine del Corriere della Sera potrete leggere anche uno speciale dedicato agli effetti della pandemia su single, coppie, famiglie: una sorta di manuale di resistenza collettiva con i disegni di Cinzia Leone, per questo passaggio storico segnato da un virus che tutto contamina. In questo servizio, anticipiamo invece la bella intervista che Walter Veltroni ha fatto alla cantante Ornella Vanoni. Buona lettura

Ornella Vanoni, donna coraggiosa e grande interprete, ha inciso un disco composto solo da brani inediti. Alcuni sono eseguiti in duo con Carmen Consoli o con Virginia Raffaele. Testi e musiche delle canzoni sono di firme importanti come Giuliano Sangiorgi, Gabbani, Pacifico, Renato Zero. E la gran parte sono di un compositore di qualità come Fabio Ilaqua. È un bel disco. Per parlarne, con Ornella, partiamo da lontano…
«Ci sono due modi di invecchiare: ridendo di sé stessi o prendendosi sul serio. Se scegli la seconda strada vivi male»

Come era il mondo in guerra visto dalla bambina Ornella?
«I miei primi ricordi risalgono a quando ero piccolissima. Andavo in una scuola tedesca, poi mi hanno tolto di lì e mi hanno messo in una dove facevo la portabandiera delle piccole italiane. Era una scuola pubblica e io con questa bandiera mi divertivo. Ma poi mi sono incazzata perché mi costrinsero a consegnare la mia macchinina elettrica al duce perché doveva farci le armi, sai che davano le fedi e il resto. Oro alla patria, dicevano. Per quel che è servito…. Comunque mentre facevo la portabandiera scoppia a Milano il primo bombardamento e noi scappiamo. Qui devo dirti una cosa che riguarda mio padre e forse il mio rapporto con gli uomini. Se nella mia vita io con gli uomini ho sempre sbagliato, ho vinto ma ho sbagliato, dipende forse da quel momento. Vedi, mio padre era un uomo fragile, l’ho capito dopo, negli anni. Era molto timido e soffriva di depressione. Allora non si sapeva ancora cosa fare per questo male che è terribile, io lo chiamo il “Male oscuro”, come il libro di Berto. Insomma, Milano bruciava, siamo corsi alla stazione e c’erano migliaia di persone, si aggrappavano ai treni, un delirio. Avevo paura e lui mi prese per la vita, tipo John Wayne, e mi tirò su, mi sembrava di volare. E io, da allora, ho sempre pensato che l’uomo doveva essere chi ti proteggeva, chi ti salvava».

Mai più trovato?
«No, no. Poi piano piano è emersa in me una parte maschile, che c’è in ogni donna. In ogni donna che fa comunque un mestiere forte. O forse è solo l’autentica forza delle donne, il loro essere capaci di fronteggiare dolore e problemi. Bisogna smetterla con gli stereotipi: ci può essere una parte femminile in un poeta, in un uomo che incontri. È bello così, non l’uomo uomo o la donna donna».

Il 25 aprile lo ricordi?
«Eravamo a Varese, sentiamo arrivare gli americani, scendiamo tutti giù e mi ricordo questi ragazzi con i capelli corti. Mi sembravano tutti bellissimi, avevano divise chiare e addosso una maglietta che sapeva di Palmolive, di pulito. Stavano seduti sui carri armati e ci gettavano le sigarette, il cioccolato e sorridevano. Del 25 aprile mi ricordo l’odore, l’odore del pulito».

E invece del 25 luglio, quando cadde Mussolini, ricordi qualcosa?
«No, mi ricordo quando l’hanno portato in piazzale Loreto e io, pur essendo non adulta, ho pensato: ma come è possibile che appendano due persone e gli piscino e gli sputino addosso? Quando l’hai ammazzato basta, non c’è bisogno di fare di più. E quello ci rappresenta ancora oggi, questa mancanza di etica, di morale, persino di umanità».
«Ho chiuso con il sesso a 62 anni, dopo una delusione... Guardo con tenerezza il mio corpo che cambia»
Tu hai avuto la tisi?
«Sì».

A che età?
«L’avevo già avuta durante la guerra, sono stata torturata perché avevo linfonodi ingrossati. Non sapevano cosa fosse, non c’era niente per non soffrire, mi bucavano con gli aghi. Sono andata avanti fino a ventitré anni, ho subito tre o quattro operazioni. Ho sofferto tantissimo, difatti ho una soglia del dolore altissima».

Perché hai deciso di fare dopo tanti anni un disco di inediti?
«Credo di essere l’unica di quest’età al mondo che abbia fatto un disco di inediti. E ringrazio la BMG che ha creduto in me. Ho detto a un mio amico : “Ci sono due modi di invecchiare: ridendo di sé stessi o prendendosi sul serio. Se scegli la seconda strada vivi male”. Quella è una brutta vecchiaia e invece bella vecchiaia è ridere di sé, dei propri crolli, delle proprie rughe. Io guardo con tenerezza il mio corpo che cambia, è giusto sia così. Andiamo avanti finché possiamo. Quindi devo alla mia energia l’aver creduto in me e aver fatto questo nuovo disco».
Ornella Vanoni con Gino Paoli, il «cantautore» nel 1981.

Ho appuntato delle frasi delle singole canzoni: in Isole viaggianti dici, «eterni passeggeri sempre in cerca di sentieri secondari». È la tua condizione?
«Tutta la vita sono stata passeggera e ho sempre cercato sentieri secondari. Sono sempre affascinata da quello che non conosco, sono quelli i sentieri secondari. Ed è quella la mia meta».

Ti senti ancora oggi viaggiatrice?
«Viaggiatrice dentro, sì».

E il sentiero più bello che tu abbia conosciuto?
«Quando sono entrata al Piccolo. Ero una ragazza molto perbene che non diceva parolacce, che non è mai scappata dal collegio. Ero una ragazza quadrata, al Piccolo nacque tutta un’altra persona. Lì sono cambiata tantissimo e ho imparato molto. Anche troppo, per l’età che avevo».
«Stavo con un uomo che aveva parecchi vizi e quindi lo seguivo. Ecco quella parte la cancellerei. Però lo seguivo, era il mio compagno»
In L’arcobaleno canti: «Sei tutta la vita di adesso». Cosa c’è dentro di te, oggi, della vita che hai vissuto?
«Ho un’ottima memoria e un cervello molto lucido. In questo sono fortunata, rammento tutto. Ma ci sono delle cose che quando ricordo mi dico: boh, queste non dovevo farle. Ecco. Stavo con un uomo che aveva parecchi vizi e quindi lo seguivo. Ecco quella parte la cancellerei. Però lo seguivo, era il mio compagno. Se vuoi stare con un uomo così, devi condividere». «Disorientata in balia di te».

Tu ti innamori ancora?
«Sì».

Hai detto: «Io non ho più una vita sessuale».
«Io non ho più storie, però di certe persone mi innamoro».
Ornella Vanoni con Toquinho e Vinicius de Moraes durante la registrazione dell’album La voglia, la pazzia, l’incoscenza e l’allegria del 1976
Perché dici che non hai più una vita sessuale?
«Perché io a sessantadue anni, dopo una grande delusione, ho deciso che bastava. Ho sbagliato, è colpa mia, ho confuso la forza con la durezza».

Sei stata per lungo periodo un’icona della sensualità. Ne eri consapevole? Ci giocavi?
«Sì, ad un certo punto sì, lo sapevo. Una volta ero a casa di una mia amica qui a Roma e dicevo “sono stufa, stufa di essere trattata come una cantante sexy. Se c’è una parola stupida è la parola sexy, semmai sono una donna erotica”. Mentre lo dicevo il suo cane mi trombava la gamba. Io mi trascinavo via urlandogli: “Hai capito che non ne posso più? Vai via”. Sexy è un termine stupido. Difatti le donne non mi amavano».

Amavano Mina...
«Mina sì. Era una ragazzona che ha portato la gioia: Le mille bolle blu e Una zebra a pois. Era l’icona dell’allegria. Io tutta vestita di nero, un po’ ferma… Tutto è cambiato con L’appuntamento. Quella è stata la canzone che mi ha aperto il cuore degli italiani».
Ornella Vanoni con Mina alla Capannina di Viareggio, nel 1966 (foto Ansa)
È una canzone abbastanza speciale, infatti.
«Ci si ritrovano tutti, anche i bambini di undici anni con una precoce delusione amorosa».

In Nuda sull’erba dici: «Ho chiuso ogni dolore fuori dalla mia pelle». Quale è il dolore principale che hai vissuto?
«È stato un aborto. Ero in Svizzera e studiavo a Losanna, stavo con un ragazzo svizzero che allegro non era. Era svizzero, faceva le lancette degli orologi, una noia mortale. Ma allora non me ne accorgevo. Sono rimasta incinta e lui non ha voluto il bambino. Ero anche molto giovane, avevo diciotto anni. Hanno chiamato uno psicologo e tutti, decisi, hanno detto che io non avevo né le capacità, né la forza psicologica di fare un figlio. Però ho pensato: “Ma gli uomini, quando si mettono insieme, sono nemici…”. Quello è stato un dolore terribile. Ma ho sofferto molto anche dopo, quando ho preso il treno per andare via dal cantautore e avevo il cuore che sembrava un ascé. Ma lui non ha capito, mi ha detto: “Tu mi hai lasciato”. “Ma no, sono andata via perché tu non c’eri più”. La moglie piangeva, cominciava il suo grande successo, la Bussola, sentivo arrivare Stefania... Insomma quello è stato un grande dolore, sì».

Perché lo chiami il cantautore?
«Perché è un cantautore, più un autore che un cantante».

Lui è stato molto importante per te?
«Molto. Eravamo due ragazzi di ventisei anni, io stavo lavorando a Genova dove avevo preso questa casina a Boccadasse, non c’erano i telefonini, io non lo trovavo mai, una fatica… Per lui ho sofferto. Ma l’ho molto amato».

Tu hai più tradito o sei stata più tradita? Ammesso che questa parola abbia un senso…
«Ho tradito, però quando una storia era finita. Nel tempo ho capito una cosa: che se una donna, ti parlo delle donne perché conosco l’animo delle donne, quando finisce con un uomo, per riempirsi di nuovo, sceglie di fare l’amore con un altro, quella è una tragedia. Non devi mai cercare di uscire da una storia d’amore facendo l’amore con un’altra persona. È ancora peggio, è meglio aspettare».

Di una donna ti sei mai innamorata?
«Sì».
«Mi sono innamorata di una donna, ed ero amata. L’amore non deve avere muri... conosco tante che hanno avuto un amore femminile»
Con successo?
«Sì, ero amata. A me non piace il sesso femminile, però di una persona mi posso innamorare. Certo, di una donna mi posso innamorare».

Anche da questo punto di vista tu sei stata molto coraggiosa, mi sembra che tu abbia sempre voluto dire che in amore non esistono barriere.
«Non deve avere muri, l’amore. Conosco anche altre donne che hanno amato. Non le sciurette, come le chiamo io, ma le donne, le femmine. Ne conosco tante che hanno avuto un amore femminile e non vuol dire che siano lesbiche, anche se non c’è niente di male a essere lesbiche. Ti innamori della persona, di quello che ti dice, di quello che ti dona, o della gioia che ti fa provare. Dell’essere umano, uomo o donna, che ti dà un bacino e vedi tutto azzurro».

In Tu/me dici: «Cosa di me conosco veramente». Cosa conosci di te veramente?
«Tutto».

C’è qualcosa di te che non razionalizzi?
«So tutto quello che faccio, anche quando faccio le cose sbagliate. So di farle sbagliate. Me ne accorgo. Sono stata molto male, ho avuto talmente gravi depressioni da stare un anno in casa, al buio».
«Io non ho più storie, però di certe persone mi innamoro... Quando finisce con un uomo, non devi mai cercare di uscire da una storia d’amore facendo l’amore con un’altra persona»
In che periodo?
«Un po’ di anni fa. Adesso non mi capita più. Mi capita la tristezza, posso piangere dodici ore. La depressione è un’altra cosa. È una malattia terribile».

Ci fu una causa?
«Non si capisce mai quale è la causa. Per esempio in quel periodo ero innamorata, ero all’inizio di un amore per un uomo che ho amato molto e stimato perché era molto colto ed intelligente. Eppure mi è venuta la depressione».

Che periodo era professionalmente?
«Sai che io non so né dare gli anni alle persone né ricordare gli anni? Ho perso tutti i capelli, ero calva, poi mi sono curata e sono ricresciuti. Il professor Cassano mi ha detto: “È molto facile la diagnosi: tu non dormi per due mesi, lavori, chiunque si deprimerebbe”. Non dormivo mai. Io dal regista in poi non dormivo mai. Avevo sempre paura perché ho fatto questo mestiere distruggendo il mio sistema nervoso. Quando stavo per salire sul palco una volta lui mi ha detto: “Amore, tu hai un grande talento, ma non i nervi per reggerlo”. Aveva ragione. Difatti è stato un disastro».

Ti chiedo qualche ricordo di persone: Luigi Tenco. Tu eri a Sanremo nel ’67...
«Ero a Sanremo nel ’67, cantavo La musica è finita. Ero ancora timidissima, tipo bruco strisciante. Quella sera vedo Luigi appoggiato ad una colonna. Vado da lui e gli dico: “Luigi apriamo gli occhi mi raccomando, perché sennò in televisione non passa niente. Apri gli occhi”. Ma lui sembrava un busto. Dopo ho saputo che aveva preso Pronox e cognac. A me l’ha detto il cantautore. Io sono corsa al gruppo Rca dove c’era anche Dalida e ho detto loro: “State attenti a Luigi, perché mi sembra strano”. Ho fatto il mio dovere. Ma lui mi sembra di ricordare che fosse già molto incazzato perché la Rai gli aveva cambiato il testo della canzone. Qualcosa era stato cambiato e questo lo aveva mandato fuori di testa».
«A Sanremo, nel ‘67, andai da Tenco e gli dissi: “Luigi apriamo gli occhi mi raccomando, perché sennò in televisione non passa niente. Apri gli occhi”. Ma lui sembrava un busto»
Tu come sapesti?
«Il giorno dopo, perché stavo in un albergo fuori e non me l’hanno detto».

E che clima c’era la sera dopo?
«The show must go on. Why?».

E Vinìcius de Moraes com’era?
«È stato bellissimo lavorare con lui. Eravamo sempre insieme per quel disco: chi si innamorava, chi piangeva. I brasiliani arrivano, ti riempiono la vita, poi vanno via come non ci fossero mai stati. I brasiliani, anche se è crollata la casa, dicono “Tudo bom..”».
Ornella Vanoni con Lucio Dalla
Chi ti manca di più di quelli che non ci sono più?
«Fai un nome a caso, uno di Bologna. Senza Lucio vivo a metà. Per me è stato il più grande in assoluto».